I
paradossi, le contraddizioni, l’insensatezza fanno parte della nostra vita e
non bisogna allarmarsi se sono presenti più di frequente nel nostro vivere
quotidiano. Non c’è quindi niente di male se agiamo e ci comportiamo in un
universo del paradosso e direi in un mondo sempre più dominato
dall’irrazionalità. Una grande dose di antico illuminismo e di sana ragione ci
libererebbe dagli spettri dell’apparenza. Purtroppo non è così. Mai come
nell’estate di quest’anno abbiamo assistito alla manifestazione
dell’insensatezza che ormai domina il mondo. Mi soffermerei su quanto accade nel
nostro bellissimo paese piuttosto che riferirmi a ciò che si manifesta nel resto
del pianeta. È ovvio ormai che ciò che accade qui si proietta e si estende su
tutto il globo e viceversa. Bisogna comunque fare attenzione a non
generalizzare ma mantenersi dentro i limiti della sola ragione, come avrebbe
detto un grande filosofo come Kant riferendosi alla religione.
Quest’anno
il rumore assordante dei media sulle vacanze degli italiani e sulla presenza
dei turisti stranieri è stato ininterrotto, plateale, spropositato rasentando
il ridicolo. I numeri e i dati riportati dalle agenzie di questo successo balneare
sono stati quasi da record rispetto alle scorse stagioni. Bande di vacanzieri
hanno invaso le nostre città, hanno assediato le nostre spiagge, riempito musei,
i ristoranti, gli alberghi. Non c’è stato giorno che il messaggio di un paese
felice e ricco non sia circolato nei media televisivi, sui social, giornali e
riviste. Messaggio ampiamente documentato, finalizzato a convincere i
cittadini che la politica turistica ha
avuto un successo e dobbiamo esserne fieri. Certo il rito agostano della
vacanza fa parte ormai della consuetudine italiana, è una specie di aspetto
simbolico del nostro benessere, anche quando esso proprio non c’è. È una festa
che ha bisogno di essere celebrata anche se ahimè non ha niente a che fare con
la vergine Maria. Il messaggio è stato
chiaro e suona: raggiungete le spiagge, le montagne, divertitevi e siate
felici.
Niente
di male se la massa degli italiani in agosto va al mare o in montagna
nonostante il costo per una vacanza al mare o solo per andare in spiaggia sia
salito alle stelle rispetto al passato e siamo a rischio di una terza guerra mondiale.
Vuol dire, al solito, che gli italiani stanno bene e preferiscono godersi lo spettacolo.
Ma non è proprio così. È una questione
culturale. Siamo ossessionati dalle vacanze, siamo concepiti per farle e niente
ci può fermare, né le guerre, né il clima e neppure il cambiamento climatico in
atto. Il verbum è l’evasione non appena si può, dallo stress quotidiano, dai problemi, da tutto il resto che
ci ostacola. Mai ci viene da pensare che non è così e quello che lasciamo qui
lo troviamo intatto o forse peggiorato altrove. Non ci soffermiamo su quanti
non possono andare in vacanza per problemi economici, sulla povertà che ormai
in Italia dilaga e sta diventando endemica, sui salari che non crescono, sullo
sviluppo economico e produttivo malato.
Non
è mia intenzione scrivere in questa sede un saggio da un punto di vista
sociologico sulle vacane degli italiani
e sulla presenza dei turisti stranieri che ogni anno puntualmente aumentano ma
solo, appunto, richiamare a un paradosso a una specie di controsenso che fa
emergere quanto siamo fragili ed esposti
senza saperlo. Né tantomeno il mio scopo è far sentire in colpa chi riesce a
concedersi una vacanza seppure ridotta, ma esprimere un dubbio, pone una
riflessione sulla condizione sociale e culturale attuale e sulla comunicazione
con la quale si organizza il consenso generalizzato.
I
media ci hanno altresì fatto sapere con puntualità, anche questa esasperante,
insieme alle cifre entusiastiche del turismo presente nelle nostre città,
l’aumento delle temperature con conseguente afa e umidità richiamando i
cittadini a non uscire nelle ore più calde. Ci viene detto che, in particolare
per il nostro paese, siccità, ondate di caldo, venti e piogge intense sono
destinati ad aumentare nei prossimi dieci anni e che le vittime delle guerre in
Ucraina e nel Medio oriente sono sempre più preponderanti e che è quasi
impossibile trovare un accordo. Mentre siamo in vacanza, non appena tornati dalla
spiaggia vediamo la giornalista inviata dalla Rai che corre da una linea di
confine all’altra raccontandoci la guerra, intervistando i soldati ucraini e la
stessa popolazione come se fosse un film, con interviste di parte e sconfinamenti.
L’inviata ci racconta ciò che ha visto come se il vedere non fosse un atto intenzionato,
interpretativo della realtà e non un fatto oggettivo. Ci sediamo in poltrona, beviamo un buon vino,
gustiamo la cena e siamo felici. Tutto questo non ci tocca anche se le imprese
della nostra inviata ci mettono a rischio da un punto di vista di una
soluzione diplomatica della questione. Non è tutto questo un paradosso, un controsenso?
Secondo
il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, approvato dal ministero
dell’ambiente e della sicurezza energetica nei prossini 40 anni il livello dei
mari italiani aumenterà fino a 19 centimetri, la temperatura dell’acqua
aumenterà di 2,3 gradi con conseguenze tragiche per tutto il sistema climatico
e ambientale, per tutto il pianeta e non solo per l’Italia. Per la maggioranza
delle persone tutto ciò sembra frutto dell’immaginazione o di qualche isolato
pessimista. Continuiamo a comportarci come prima. Non rinunciamo a niente. Non riflettiamo
abbastanza su quanto possiamo singolarmente contribuire per cambiare l’andamento
climatico e fermare le guerre in corso. Ci sembra uno sforzo inutile e
impossibile. Perciò continuiamo a comportarci come prima senza neppure pensarci.
Ma cosa hanno a che fare le vacanze e il turismo
con i cambiamenti climatici e le guerre? C’entrano, eccome. Le strade intasate
dalle macchine, il consumo di carburanti, lo spreco, l’incoscienza con cui
trattiamo le nostre spiagge, il modo con cui continuiamo a inquinare, a
trattare i nostri corpi, a rumoreggiare, a usare i nostri cellulari, a
frequentare i musei a invadere le città, a ricercare il lusso e a speculare sono alleati del disastro ambientale e
paradossalmente producono incomprensioni e guerre. Manca un senso di
responsabilità, il che vuol dire essere chiamati a rispondere per quanto
possiamo al disastro che ormai ci avvolge. Le estati saranno sempre più calde e
non so se riusciremo ad andare in spiaggia o in montagna nel futuro, perciò
cerchiamo di essere razionali e capaci di pensare alle conseguenze di ciò che
consideriamo sviluppo produttivo, anche quando andiamo in vacanza.
Bisogna
intervenire fin da subito con interventi non solo da parte dei governi con
politiche green ma anche
individualmente con una presa di coscienza adeguata, saper rinunciare al
superfluo e soprattutto bisogna opporsi alla propaganda
dei media, che fanno di tutto per generalizzare, disinnescare qualsiasi critica
che non sia conforme allo status quo. Nella critica della ragione pratica, come
è noto Kant parla “della legge morale dentro di me e del cielo stellato sopra
di me”. Sono punti fermi nella nostra vita, ci danno sostegno e ci guidano
nella comprensione di ciò che conta veramente. Il principio della morale
dovrebbe essere per noi una bussola orientativa che certo non sempre funziona
ma ad ogni modo ci consente di distinguere, confortati anche dall’etica, ciò
che è bene da ciò che è male. Anche se tale principio non è sufficiente ad orientarci
con tutti gli aspetti della nostra vita tuttavia esso ci aiuta a preservare noi
stessi come essere razionali.
Occorre
un’etica ambientale rispettosa della natura, una razionalità nuova che sappia
distinguere ciò che fa bene da ciò che fa male. Etica che non può essere sempre
cavalcata dal profitto, dal dominio del più forte o di quello che appare il più
forte. In breve bisogna saper discernere. Il discernimento è consapevolezza di
sé e delle ragioni oggettive che governano il mondo. Vuol dire, saper selezionare
e rinunciare all’eccesso. Affinché le
azioni dell’uomo siano coerenti e razionali, oltre ad avere un senso è
fondamentale che siano portatori di fede, speranza e carità. Una fede che c’è
qualcuno là, che ci potrà rispondere, poi la speranza che vuol farlo, infine la
carità che deve insegnarci la via della buona risposta. In mancanza di questo
saremmo perduti.
Il rito agostano delle vacanze ci consegna
alla fallacia, alla mancanza, al dramma e non è il sintomo del benessere
piuttosto lo è del suo contrario. Esso è il risultato di una
spettacolarizzazione a tutto campo che si rende visibile e ci ammalia. Il film
del 1964: il sorpasso di Dino Risi con il quale vorrei concludere questo mio breve
intervento racconta il ferragosto a Roma negli anni sessanta. Esso viene celebrato come un rito che coinvolge i due
protagonisti , Roberto Mariani, studente di legge al quarto anno, timido e riservato rimasto
in città per preparare gli esami, intrepretato da Trintignant
e Bruno Cortona, interpretato da
Gassman trentaseienne vigoroso ed
esuberante, amante della guida sportiva e delle belle donne, prototipo
dell’italiano medio, al volante della sua Lancia Aurelia. Il film oltre a essere una testimonianza sul
modo con cui gli italiani trascorrevano il loro ferragosto nell’era del boom
economico è anche una metafora attuale sulla nostra condizione duale.
Nella tragica conclusione che si
materializza durante l'ennesimo sorpasso avventato: per evitare l'impatto
frontale con un camion, Bruno sterza violentemente e finisce per urtare un
paracarro. Nell'impatto, Bruno viene sbalzato fuori dall'auto riuscendo così a salvarsi,
mentre Roberto perde la vita finendo in una scarpata. Agli agenti intervenuti
Bruno confesserà, dato il tempo limitato trascorso con il suo occasionale
compagno di viaggio, di non conoscerne neppure il cognome. Finale appunto
tragico e paradossale.
Immagini:
1
– Autoritratto
2
– Francesco Correggia. Frame da una performance su
Hegel 2004
3
– Città
affollate, overturism agosto 2024
4
- Roxi
Paine, Mailstrom, 2008
5
– Rembrandt. Il ritorno del figliol prodigo,
1661
6 7 -
La guerra in Ucraina
8
- Joseph Beuyes, Oak, 1982
9
– Magritte, Gli amanti 1926 ca
10 –
Fotogramma Il sorpasso di Dino Risi, 1964
11 –
Francesco Correggia, sta dentro le cose, olio su tela, 2021