Friday, September 6, 2024

Sangiuliano - Boccia e la cultura

 




La vicenda del Ministro alla cultura Sangiuliano sfiora il ridicolo non solo per la cosa in sé ma per tutto quello che ha sollevato nel nostro paese. I media se ne sono impossessati, addirittura la Rai ha dedicato ampi spazi sul rapporto fra il Ministro e questa arrampicatrice sociale che lo accompagnava di recente in tutte le manifestazioni pubbliche. Intere trasmissioni sono state dedicate a questo caso   che appare sempre di più come un romanzetto da rotocalco.  Non è mia intenzione aggiungere altro intorno a ciò che i giornali, la politica e i media hanno sostenuto sull’argomento ma solo stigmatizzare quanto questo banale incontro sentimentale con strascichi non solo personali ma anche politici sia la rappresentazione di come intendiamo la cultura nel nostro bellissimo paese. Che essa ormai sia diventata semplice spettacolarizzazione, evento pubblico che ha bisogno di essere diffuso sui social come un qualsiasi prodotto è ormai evidente a tutti. Ciò su cui invece dovremmo riflettere è  cosa vuol dire oggi far cultura e se essa non sia solo un saper fare ma anche un non fare, una sospensione, un atteggiamento dell’uomo che riflette su se stesso e sul mondo che lo circonda, una spinta non solo verso un sapere che si rinnova sempre  ma come un  processo di emancipazione a volte disturbante. La cultura lavora per il tuttoIl suo orizzonte è l’insieme di uomini, oggetti immagini, tecnologie e parole che compongono un quadro d’insieme, ricostruzioni panoramiche che permettano di situare in una stessa prospettiva personaggi apparentemente lontani fra loro.

 


La cultura non è solo prodotto di consumo, abbellimento esteriore, monumento, merce ma è qualcosa d’altro che vale la pena di essere compreso, indagato, testimoniato e non solo spettacolizzato. Intanto bisogna dire che la diffusione di un prodotto non commerciale non è necessariamente pubblicizzazione spettacolizzata del medesimo e che la cultura non ha bisogno di essere  addomesticata, banalizzata, ma interpretata, vissuta, sofferta.

 


Che un Ministro alla cultura si dedichi semplicemente ad onorare con la sua presenza le fiere, i monumenti le scoperte archeologiche insieme ad una consigliera di grande fascino che riverbera della sua presenza ogni cosa che la circonda compreso il ministro stesso mi sembra veramente non solo semplicistico e banale ma quasi offensivo rispetto  agli scrittori, i teorici, gli studiosi i pensatori che in questo paese, in silenzio fanno fatica ad avere una loro visibilità o addirittura a pensare  tanto da mendicare una loro presenza sui canali televisivi, nei talk show per poter esprimere un pensiero. La cultura non è mai evasione o dimensione speculare alla politica, ma approfondimento, rigore, analisi critica a volte indisciplinata di ciò che oggi appare sempre di più come un regime scopico.   Un regime cioè che è fatto  di immagini, sguardi e dispositivi e non più di saperi condivisi. Che questa destra si alimenti di una politica culturale di basso profilo appare evidente ed è altrettanto riconoscibile che essa possa trasformarsi in un regime. Il comportamento del Ministro non solo è fastidioso per una destra che vorrebbe rappresentare, valori, principi, tradizioni nei quali riconoscersi ma è oltremodo offensivo rispetto all’etica pubblica di questo paese. In questo senso dovremmo pretendere dalla politica una qualche responsabilità che in questo paese ormai è merce rara. Occorrerebbe, dunque, che chi governa chieda scusa a tutti gli italiani per la mancanza di etica, di saggezza politica, di comportamento civile  da parte di molti Ministri e non solo di  Sangiuliano.

 


Che ci si innamori o ci s’invaghisca di una giovane donna, imprenditrice e bella  è normale e in linea con il costume degli italiani ma che venga usato il proprio potere politico per avere un certo successo e ottenere un qualche vantaggio sentimentale mi pare  fuori da una concezione etica e civile  non solo della politica ma dell’intera società. Che eros abbia lanciato i suoi dardi amorosi è altrettanto condivisibile. Certo la consigliera è stata un’ospite ed è stato il Ministro in persona a pagare i suoi viaggi, cene e quant’altro e non il Ministero alla cultura ma ciò non lo solleva dalla responsabilità civile oltre che politica dell’uso che il medesimo ha fatto del suo potere, della fascinazione politica  e della sua funzione pubblica.

 


Che cosa dovremmo dirci che i politici sono attraenti perché sono al potere o che per essere riconosciuti e scalare la gerarchia sociale occorre sedurre, apparire, mostrarsi sempre sorridenti con i denti bianchi a vista? Occorrerebbe umiltà e senso del dovere e molte volte bisognerebbe fare silenzio piuttosto che apparire sui media e i social per far sentire la propria voce, e continuare a dire io ci sono. 

      


 Brava Dott.ssa Maria Rosaria Boccia sei riuscita a far breccia e a far parlare di te tutta l’Italia e non solo. Caro Ministro Sangiuliano, se avessi un minimo di dignità ed etica pubblica dovresti dimetterti invece di piangere lacrime di coccodrillo sulla televisione pubblica. Ora facciamo silenzio e cerchiamo di comprendere cosa voglia dire cultura e su come farla !

 


Sunday, August 18, 2024

Agostana

 



I paradossi, le contraddizioni, l’insensatezza fanno parte della nostra vita e non bisogna allarmarsi se sono presenti più di frequente nel nostro vivere quotidiano. Non c’è quindi niente di male se agiamo e ci comportiamo in un universo del paradosso e direi in un mondo sempre più dominato dall’irrazionalità. Una grande dose di antico illuminismo e di sana ragione ci libererebbe dagli spettri dell’apparenza. Purtroppo non è così. Mai come nell’estate di quest’anno abbiamo assistito alla manifestazione dell’insensatezza che ormai domina il mondo. Mi soffermerei su quanto accade nel nostro bellissimo paese piuttosto che riferirmi a ciò che si manifesta nel resto del pianeta. È ovvio ormai che ciò che accade qui si proietta e si estende su tutto il globo e viceversa. Bisogna comunque fare attenzione a non generalizzare ma mantenersi dentro i limiti della sola ragione, come avrebbe detto un grande filosofo come Kant riferendosi alla religione.




Quest’anno il rumore assordante dei media sulle vacanze degli italiani e sulla presenza dei turisti stranieri è stato ininterrotto, plateale, spropositato rasentando il ridicolo. I numeri e i dati riportati dalle agenzie di questo successo balneare sono stati quasi da record rispetto alle scorse stagioni. Bande di vacanzieri hanno invaso le nostre città, hanno assediato le nostre spiagge, riempito musei, i ristoranti, gli alberghi. Non c’è stato giorno che il messaggio di un paese felice e ricco non sia circolato nei media televisivi, sui social, giornali e riviste. Messaggio ampiamente documentato, finalizzato a convincere i cittadini   che la politica turistica ha avuto un successo e dobbiamo esserne fieri. Certo il rito agostano della vacanza fa parte ormai della consuetudine italiana, è una specie di aspetto simbolico del nostro benessere, anche quando esso proprio non c’è. È una festa che ha bisogno di essere celebrata anche se ahimè non ha niente a che fare con la vergine Maria.  Il messaggio è stato chiaro e suona: raggiungete le spiagge, le montagne, divertitevi e siate felici.



Niente di male se la massa degli italiani in agosto va al mare o in montagna nonostante il costo per una vacanza al mare o solo per andare in spiaggia sia salito alle stelle rispetto al passato e siamo a rischio di una terza guerra mondiale. Vuol dire, al solito, che gli italiani stanno bene e preferiscono godersi lo spettacolo. Ma non è proprio così.  È una questione culturale. Siamo ossessionati dalle vacanze, siamo concepiti per farle e niente ci può fermare, né le guerre, né il clima e neppure il cambiamento climatico in atto. Il verbum è l’evasione non appena si può, dallo stress quotidiano, dai problemi, da tutto il resto che ci ostacola. Mai ci viene da pensare che non è così e quello che lasciamo qui lo troviamo intatto o forse peggiorato altrove. Non ci soffermiamo su quanti non possono andare in vacanza per problemi economici, sulla povertà che ormai in Italia dilaga e sta diventando endemica, sui salari che non crescono, sullo sviluppo economico e produttivo malato.



Non è mia intenzione scrivere in questa sede un saggio da un punto di vista sociologico   sulle vacane degli italiani e sulla presenza dei turisti stranieri che ogni anno puntualmente aumentano ma solo, appunto, richiamare a un paradosso a una specie di controsenso che fa emergere  quanto siamo fragili ed esposti senza saperlo. Né tantomeno il mio scopo è far sentire in colpa chi riesce a concedersi una vacanza seppure ridotta, ma esprimere un dubbio, pone una riflessione sulla condizione sociale e culturale attuale e sulla comunicazione con la quale si organizza il consenso generalizzato.


I media ci hanno altresì fatto sapere con puntualità, anche questa esasperante, insieme alle cifre entusiastiche del turismo presente nelle nostre città, l’aumento delle temperature con conseguente afa e umidità richiamando i cittadini a non uscire nelle ore più calde. Ci viene detto che, in particolare per il nostro paese, siccità, ondate di caldo, venti e piogge intense sono destinati ad aumentare nei prossimi dieci anni e che le vittime delle guerre in Ucraina e nel Medio oriente sono sempre più preponderanti e che è quasi impossibile trovare un accordo. Mentre siamo in vacanza, non appena tornati dalla spiaggia vediamo la giornalista inviata dalla Rai che corre da una linea di confine all’altra raccontandoci la guerra, intervistando i soldati ucraini e la stessa popolazione come se fosse un film, con interviste di parte e sconfinamenti. L’inviata ci racconta ciò che ha visto come se il vedere non fosse un atto intenzionato, interpretativo della realtà e non un fatto oggettivo.  Ci sediamo in poltrona, beviamo un buon vino, gustiamo la cena e siamo felici. Tutto questo non ci tocca anche se le imprese della nostra inviata ci mettono a rischio da un punto di vista di una soluzione  diplomatica della questione.  Non è tutto questo un paradosso, un controsenso?




Secondo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, approvato dal ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica nei prossini 40 anni il livello dei mari italiani aumenterà fino a 19 centimetri, la temperatura dell’acqua aumenterà di 2,3 gradi con conseguenze tragiche per tutto il sistema climatico e ambientale, per tutto il pianeta e non solo per l’Italia. Per la maggioranza delle persone tutto ciò sembra frutto dell’immaginazione o di qualche isolato pessimista. Continuiamo a comportarci come prima. Non rinunciamo a niente. Non riflettiamo abbastanza su quanto possiamo singolarmente contribuire per cambiare l’andamento climatico e fermare le guerre in corso. Ci sembra uno sforzo inutile e impossibile. Perciò continuiamo a comportarci come prima senza neppure pensarci.



 Ma cosa hanno a che fare le vacanze e il turismo con i cambiamenti climatici e le guerre? C’entrano, eccome. Le strade intasate dalle macchine, il consumo di carburanti, lo spreco, l’incoscienza con cui trattiamo le nostre spiagge, il modo con cui continuiamo a inquinare, a trattare i nostri corpi, a rumoreggiare, a usare i nostri cellulari, a frequentare i musei a invadere le città, a ricercare il lusso e a speculare   sono alleati del disastro ambientale e paradossalmente producono incomprensioni e guerre. Manca un senso di responsabilità, il che vuol dire essere chiamati a rispondere per quanto possiamo al disastro che ormai ci avvolge. Le estati saranno sempre più calde e non so se riusciremo ad andare in spiaggia o in montagna nel futuro, perciò cerchiamo di essere razionali e capaci di pensare alle conseguenze di ciò che consideriamo sviluppo produttivo, anche quando andiamo in vacanza.



Bisogna intervenire fin da subito con interventi non solo da parte dei governi con politiche green ma anche individualmente con una presa di coscienza adeguata, saper rinunciare al superfluo   e soprattutto bisogna opporsi alla propaganda dei media, che fanno di tutto per generalizzare, disinnescare qualsiasi critica che non sia conforme allo status quo. Nella critica della ragione pratica, come è noto Kant parla “della legge morale dentro di me e del cielo stellato sopra di me”. Sono punti fermi nella nostra vita, ci danno sostegno e ci guidano nella comprensione di ciò che conta veramente. Il principio della morale dovrebbe essere per noi una bussola orientativa che certo non sempre funziona ma ad ogni modo ci consente di distinguere, confortati anche dall’etica, ciò che è bene da ciò che è male. Anche se tale principio non è sufficiente ad orientarci con tutti gli aspetti della nostra vita tuttavia esso ci aiuta a preservare noi stessi come essere razionali.



Occorre un’etica ambientale rispettosa della natura, una razionalità nuova che sappia distinguere ciò che fa bene da ciò che fa male. Etica che non può essere sempre cavalcata dal profitto, dal dominio del più forte o di quello che appare il più forte. In breve bisogna saper discernere. Il discernimento è consapevolezza di sé e delle ragioni oggettive che governano il mondo. Vuol dire, saper selezionare e rinunciare all’eccesso.  Affinché le azioni dell’uomo siano coerenti e razionali, oltre ad avere un senso è fondamentale che siano portatori di fede, speranza e carità. Una fede che c’è qualcuno là, che ci potrà rispondere, poi la speranza che vuol farlo, infine la carità che deve insegnarci la via della buona risposta. In mancanza di questo saremmo perduti.



 Il rito agostano delle vacanze ci consegna alla fallacia, alla mancanza, al dramma e non è il sintomo del benessere piuttosto lo è del suo contrario. Esso è il risultato di una spettacolarizzazione a tutto campo che si rende visibile e ci ammalia. Il film del 1964: il sorpasso di Dino Risi con il quale vorrei concludere questo mio breve intervento racconta il ferragosto a Roma negli anni sessanta. Esso  viene celebrato come un rito che coinvolge i due protagonisti ,  Roberto Mariani, studente di legge al quarto anno, timido e riservato rimasto in città per preparare gli esami, intrepretato da Trintignant e Bruno Cortona, interpretato da Gassman  trentaseienne vigoroso ed esuberante, amante della guida sportiva e delle belle donne, prototipo dell’italiano medio, al volante della sua Lancia Aurelia. Il film oltre a essere una testimonianza sul modo con cui gli italiani trascorrevano il loro ferragosto nell’era del boom economico è anche una metafora attuale sulla nostra condizione duale.



 Nella   tragica conclusione che si materializza durante l'ennesimo sorpasso avventato: per evitare l'impatto frontale con un camion, Bruno sterza violentemente e finisce per urtare un paracarro. Nell'impatto, Bruno viene sbalzato fuori dall'auto riuscendo così a salvarsi, mentre Roberto perde la vita finendo in una scarpata. Agli agenti intervenuti Bruno confesserà, dato il tempo limitato trascorso con il suo occasionale compagno di viaggio, di non conoscerne neppure il cognome. Finale appunto tragico e paradossale.

 


Immagini:

1        – Autoritratto

2         Francesco Correggia.  Frame da una performance   su Hegel  2004

3         Città affollate, overturism agosto 2024

4        -  Roxi Paine, Mailstrom, 2008

5        – Rembrandt. Il ritorno del figliol prodigo, 1661

6      7      -  La guerra in Ucraina

8        - Joseph Beuyes, Oak, 1982

9        – Magritte, Gli amanti 1926 ca

10    – Fotogramma Il sorpasso di Dino Risi, 1964

11    – Francesco Correggia, sta dentro le cose, olio su tela, 2021

 


Wednesday, June 19, 2024

i nuovi vandali

 



Quello che accade a Milano è il sintomo di una volgarità diffusa che si sta riversando su tutto il paese e che proprio in questa città assume toni esasperanti. Oltre che ospitare eventi mondani dedicati alla moda in spazi importanti sia da un punto di vista estetico che monumentale, di recente questo vezzo si è trasformato in volgarità esasperata, in una specie di vandalismo della comunicazione. È il caso della festa dell’Estetista Cinica alla Biblioteca Braidense di Brera.  Per il lancio di un  nuovo progetto spagnolo, l’Estetista ha scelto una location storica unica per i festeggiamenti: la Biblioteca Nazionale Braidense e il cortile d’onore di Brera. Certo il divertimento festaiolo, l’aperitivo non si negano a nessuno ma ciò che vogliamo dire è   che ormai si è raggiunto l’apice della supponenza e della volgarità che dal  web e dai  social scorre inarrestabile sulle nostre vite come un fiume nero che tutto inghiotte. Che Lilia Fogazzi l’imprenditrice estetista abbia  trovato il modo tutto suo di guadagnare sui social e sia diventata una celebrità, può anche essere plausibile, anche se non condivisibile, nel mortale e amorale gioco degli influencer. Ciò comunque non giustifica che questa orda di nuovi barbari possa impossessarsi, anche solo per una serata,  di luoghi pubblici  di alto valore simbolico  come la Braidense. 



Chi ha consentito questo scempio? L’attuale direttore della Braidense un certo Angelo Crespi sostiene che affittare lo spazio per manifestazioni di quel tipo è sempre accaduto e che normalmente i proventi di queste serate sono destinati a sponsorizzare la cultura. Quanto di più menzognero. Che tipo di sponsorizzazione è mai questa e la cultura si è proprio certi che debba essere sponsorizzata con tali spettacoli e poi di quale cultura si tratta? È dalla riforma Franceschini che la concessione di luoghi in affitto da parte delle istituzioni culturali rappresenta una voce di bilancio per finanziare restauri, conservazione, valorizzazione. Ma siamo proprio certi che è così che si valorizza il nostro patrimonio culturale e  artistico, con le  sfilate di moda, con i banchetti, le cene lussuose?  O non è anche questa una trovata pubblicitaria che in sostanza è quella della logica del guadagno, del denaro e di un sistema panottico che tutto controlla? 



Che i prodotti della Estetista Cinica siano in crescita nelle vendite on line grazie alla comunicazione sui mezzi digitali tanto da essere quotata in borsa è fuori discussione.  Ciò comunque non toglie che non gli si può consentire di invadere la vita dei cittadini,  di abbagliarli , di  umiliarli con modi osceni di occupare  spazi pubblici, beni architettonici storici , artistici a fini festaioli e  pubblicitari di basso profilo anche se con la dichiarata finalità di dare un sostegno alla cultura.



Qui ci vuole responsabilità morale a dichiarare questi scopi. Il rapporto fra privato e pubblico, in questa città è andato tutto a favore del privato che nel nome di un’azione benefica, quella di sostenere il pubblico, invade, trasforma, occupa spazi e gestisce economie e immobili. Tutti sono a conoscenza che a Milano è ormai difficile trovare un appartamento a prezzi ragionevoli. La città è diventata un centro di produzione del lusso e del divertimento, altro che produzione sostenibile. 

                                                   

Tutto concorre ad una distruzione immane, ad un Restyling di facciata, ad un turismo di massa, a una ristorazione ossessiva a cui siamo sottomessi nel nome di una felicità annunciata, di un modello da seguire, quello di una città dai ritmi di produzione alta. Ma che senso ha tutto questo se poi alla fine siamo in mano ad una scellerata vertigine, ad un gioco di simulazioni, dove il potere fa parte proprio dell’orizzonte sacro dell’apparenza e la povertà aumenta, le diseguaglianze sociali crescono. Gli apparati della comunicazione; dal web alla televisione fino all’editoria non sono solo la manifestazione dell’eccesso, della menzogna e della banalità sistematica ma anche sono ciò che travolge il senso, la storia, la bellezza. Gli stessi apparati costituiscono un vero e proprio sistema repressivo rispetto a chi non è in sintonia con quella logica.



Chi ha incarichi di responsabilità istituzionali dovrebbe mantenersi fuori dalla dimensione fagocitante del denaro, delle apparenze, dai dispositivi, dagli imperi mediatici del web, dei simulacri e prendersi cura dell’integrità fondante del bene che gli è stato affidato. Proteggerne l’immagine, la storia e la stessa parola fondante.








 


Monday, April 1, 2024

Il dono dell'arte

 



L’arte contemporanea si trova su un bordo che somiglia molto al bordo libero di una nave da dove si può precipitare in mare oppure rimanere sul suo bordo libero tra un ponte e l’altro.  In questo bilico tra il cadere in mare aperto con il rischio di perdere la vita e rimanere a bordo della nave si sta in equilibrio tra la tradizione e l’attualità. L’artista contemporaneo preferisce stare all’asciutto dimenticando di avere a che fare con la storia. La perdita di coscienza è una specie di sincope contemporanea, una dimenticanza da cui ci si può sottrarre solo attraverso l’offerta sublime dell’arte.  

  

 

Solo se l’arte diventa offerta che contiene in sé il gesto e la rinuncia sottraendosi ai riti nefasti del commercio che ci può essere un discorso vero, almeno una sua traccia. Purtroppo oggi quel che appare è solo la dimensione mercantile dell’arte. L’arte è diventata totalmente merce, il che non giustifica il suo stesso esserci nel mercato. Se non si ha a che fare con una istanza di libertà rispetto alle merci che cosa possiamo pensare intorno all’arte se non nell’unica prospettiva ontologia che la costituisce?  Il suo poter essere nella storia, di essere testimone di un’epoca si dona nel presente come bene prezioso.

 


 Per l’arte contemporanea questa questione dell’impegno verso un’ermeneutica del soggetto come conoscenza di sé e degli altri sembra sia stata esclusa, quando invece è proprio questa la vera questione dell’arte. È la pratica del dono   che deve essere posta al centro di quel fare e non fare. Se il cammino dell’arte contemporanea è qualcosa che ha a che fare con la stessa esistenza, con ciò che accade, e non è solo universo rappresentazionale dell’immediatezza, cioè un discorso tecnico, allora le pratiche del sé, dell’uscita dal sé, il discorso vero, assumono un ruolo di primo piano. Il pensiero della fine è il limite stesso anche se essa viene procrastinata come possibilità aperta. È il bordo dell’arte. Il limite toccato, la vita sospesa, il cuore che batte. La sofferenza di un sentimento che sente e tocca lo stesso limite.

 


 È solo in questa prospettiva che possiamo comprendere il versante etico dell’arte contemporanea. L’arte, in quanto rigeneratrice di senso là dove esso non c’è, riprende un ruolo di svelamento e di interpretazione della natura delle immagini in un’etica della rappresentazione. Si tratta di una dimensione nuova che ha a che fare non solo con l’etica ma anche con gli stessi modi del pensare, con la meditazione intorno al mondo, alle pratiche del soggetto e agli stessi linguaggi dell’arte. Le pratiche dell’arte sono pratiche del senso d’essere, del discorso vero e anche pratiche di disubbidienza costante e senza condizioni. E quale può essere questo discorso oggi? Esso si presenta come interrogazione e come capacità di stare al confine della storia fra natura e cultura. L’arte contemporanea non può fare a meno di essere una ferita aperta nello stesso suo sistema, come non può fare a meno di praticare una disubbidienza verso ciò che la abbaglia. La vera luce sta’ dietro ogni apparenza e si rivela proprio attraverso un donarsi oltre ogni limite.

 


Il discorso artistico dominante identica l’arte con il mercato e resta cieco davanti a qualsiasi opera prodotta e distribuita secondo qualsiasi altro meccanismo. In questo senso non si può eliminare il sospetto che l’esclusione dell’arte non prodotta secondo le condizioni standard del mercato abbia una sola base e cioè la soppressione di ogni elemento critico, la coercizione della rappresentazione visiva.   L’arte, non solo quella contemporanea che ormai è una locuzione spenta, non può essere un circo all’aperto, un parco giochi dove si sperimentano le tecniche intermediali del consenso, le formule, i testi e le immagini dell’intelligenza artificiale, né può essere una provocazione costante ma deve saperci indicare una via differente che coniughi il presente con la tradizione, il pensiero con la pratica, la vita stessa con la veglia della morte. 


 Questo non significa demonizzare il mercato che ha le sue regole ma trovare un giusto equilibrio fra forze opposte che devono orientarsi verso il bene, verso un’ecologia della percezione.   Si tratta di una conversione dello sguardo, un modo di essere nel reale che possiamo considerare ascetico ed etico. L’arte, senza ricorrere per questo ad una sua specifica definizione, nonostante sembra che abbia perso il suo senso, è ancora di più una pratica del sublime che va verso il cuore delle cose e non è solo un prodotto da vendere. Solo nella preoccupazione dello svanimento essa ritorna a sé, al tempo stesso nel senso di raccogliersi e risvegliarsi, svegliarsi nel senso della coscienza in sé in generale. La qualità formale dell’opera, se ancora essa debba esistere, viene fuori da questo terreno instabile, da questa sincope tra l’immediato e la trascendenza. 

 

 

 È nell’arte come pratica della disubbidienza e della solitudine e al contempo come interrogazione etica che avviene l’offerta sublime del dono, della storia e dello stesso suo essere spirito che ascolta e va verso l’altro, soffia sull’altro, modificando la percezione delle cose e della stessa realtà. Con ciò si annulla la distanza fra essere e mondo fra mondo dell’arte con le sue peculiarità e il fare dell’arte, fra l’essere e gli enti che lo circondano, fra l’umano e il macchinico, il mondo e la terra.

 


Immagini

1-    Pontormo , Deposizione, 1528

2-    Magritte, gli amanti, 1928

3-    Richard Serra The Matter of time,  2011.

4-    Marc Quinn gli amanti, 2016

5-    Francesco Correggia, Resurrezione, 1987

6-    Bill Viola a palazzo Strozzi

7-    Francesco Correggia , Erlebnis, 2034

 

 

 

                                  

 

 


Saturday, January 13, 2024

continua blog poesie Francesco Correggia

 


Un giorno

 

Mi sono alzato / per guardare fuori / nello spazio aperto / Niente più singhiozzi /

né sofferenze da consumare / tra ricordi affumicati / e cene indigeste / Niente scatole

da chiudere / Ho visto il giorno / che mi guardava / freddo / smunto / paffuto / con lo sguardo rivolto / ad un incrocio / Non ho trovato nessuno / intorno a me / Qualcuno con gli occhi abbassati / aveva fretta / qualcun’altro guardava un muro / illuminato da lampioni / Un cane andava sogghignando / In un prato di fiori secchi / Un tram entrava in una casa / un  nano gridava del suo amore / un prete guardava il cielo / col dito puntato ad una rosa / un vecchio su una panchina / fissava un albero senza foglie / un bambino giocava con un passero / mentre un gabbiano scivolava dal cielo / Un mendicante senza mani / offriva il suo pane / Mi sono alzato / sibilando preghiere / non c’erano ombre / né lamenti / ognuno parlava da solo

 

 Sciolto

 

Allo scoperto / si va avanti / nella città ferrosa / La nebbia / lo scrittoio / il fornello

il barattolo / il ghigno della roccia / della radice del parco / in  strade lastricate / di silenzio spumeggiante / Un vapore bianco scorre / su sottili mucchi di foglie / trascinate dal paradosso / Il fondo di una botte vuota / abbandonata sul selciato / cerca l’ebbrezza del ricordo / Altra luce riempie  l’essere / dagli occhi svuotati / mentre io canto / versi fra i pini / Se vi fosse almeno / il suono dell’onda / della pioggia radente la spuma / saprei cosa fare / Invece vivo /  in  luoghi sepolti /bruciati dal ronzio degli  anni / Scivolo incappucciato / nella conca  del giorno / tra profumi sintetici / e paradossi lunari / La gioventù si nutre del gorgo / di un sapere fragile / mentre l’orizzonte / è lontano / Il palazzo segna le ore / del nostro vincolo cieco / e noi strisciamo / con la testa in giù / accoccolati davanti alla pozza / Tu  mi hai dato giacigli  / il desiderio ci tenne caldi / tremando forte / bussando alla porta verde / per dimenticare il deserto / Imbottiti di fiaba / le cose che non puoi vedere / hanno lasciato uno spazio vuoto intorno / e volti lavorati d’orgoglio / Le ore che rimandano al resto /nella realtà scheggiata / di un mosaico fin troppo umano / si sono intrecciati con i nostri corpi / Viviamo accanto al robot / al ferro seducente / al luccichio elettronico / all’agonia di viaggi possibili / di colori strazianti / di segni uniformi /specchianti

  


Luce

Luce dal colore rosso rame /maschere vaganti / nel cielo libero / confuso col nulla / respirare quel vuoto / ed essere cristallino / fragile / effimero e composto / Sciogliersi fra i rami / nella densità organica / nella realtà demente / col cartellone pubblicitario al collo / e il giornale / attaccato al braccio / Un tempo / prima di volare / bisognava consumarsi / lentamente / appollaiati ad un albero / C’era l’amore / il  lavoro / la tregua  e i  sogni / per dimenticare d’esistere / Ogni notte / il vento spavaldo / della coscienza / spargeva intorno / i semi dell’angoscia / Sguardi immobili / vivevano  il tempo / scivolando da una speranza all’altra / da un’urna all’altra / Ora il mare ha bagnato le mie ali / e bramo te / che segreta / su una rupe /  te ne stai a distanza

 

 

Dove vado

 

Prima di andare / ho provato a stringere / fra le mani / il porto vago

della mia esistenza / Ora che tutto /si confonde / con i battiti del mondo / posso ancora sperare / di percorrerla quella strada d’essere / senza toccare il nulla / senza il tormento / di una eterna rivolta / Prima di andare / mi logora / la febbre del tempo /che mai si sazia / C’è troppo di vuoto / forse è questa l’eterna promessa

                  

Immaginate

 

Un giorno sospeso  / in un calice di vino rosso / Immaginate /  una foglia delusa / che cade all’incontrario / in un luogo /senza porte / Immaginate / solo per poco / il cielo come un letto / dove uno sbronzo / beve / i suoi sogni impossibili / Immaginate una valigia / senza fretta / davanti un treno malato / Immaginate / la vostra immagine / prolungata all’infinito / seguire la rotta / di una rondine / verso un nido d’acqua / Immaginate tutto / fuggire /  su un viale inventato / di parole / di echi scomposti / di ripetizioni / di miti e di sostanze lacunose / Immaginate

 

NO

No al successo / costruito su misura / no alle piccole gioie / alle vendette di ogni giorno / no agli insulti / dell’oppio sociale / di volti truccati  e disfatti / No alle cose che devi fare / per raggiungere / spazi inconsistenti / dove la tua coscienza naufraga / No alla misura di tutte le cose / all’amore / alla famiglia / No all’arte delle convenzioni /   Dire continuamente No / senza smarrirsi in approdi / di vanità / Trovarsi ogni notte /

in un letto rancoroso / e dire ancora di No / No per sapere quello che sei / quello che fai / per non sentirsi mai solo / in questo cortile della menzogna / Un giorno anche tu

saprai dire /  No

 


Un prete solo

La piazza imbottita / di titoli al neon / di visi a festa / Il bar catechizzato / da sermoni liquidi / I suoni e le voci / di un copione antico / Al mattino ho scoperto / un cielo limpido / l’ombra negli angoli / e la malinconica certezza / di un non ancora / Un prete solo / pregava / tra vestiti nuovi / Il soffitto / delle parole mai dette / La mensa isterica del popolo / la terra / la vita / la caduta e il cielo / Tutti i lamenti / scivolano  al vento / in palafitte di speranze

 


L’urna

 

Un fiume scorre / svanisce / lungo sentieri inauditi / come un canto che m’abbandona

/ Poggiare la testa / su un cumulo di vimini / e ascoltare il senso delle cose

mentre l’universo si arena nel gorgo / Il sogno all’improvviso / scopre

l’ombra di una presenza umana / Appare / Tu addormentata / nuda al mio fianco

nell’urna gelida / del caso / Il tuo nome / sillabato lontano / mormora le tue grazie / ed io  gemo / come un infante assetato / La sera declina / nel vino rosso / in una ripetizione di gesti / sempre uguali / Questo rimpianto / lasciato correre / su  un’onda tumultuosa / Ora la tua bocca / scorre sul mio corpo / come in  un vagone vuoto / mentre raccolgo certezze / esauste / Mi sei rimasta sulla pelle / come una farfalla

 

Alba

All’alba un uomo si sveglia / barcolla tremante / l’acqua bagna il dolore

del suo viso / La soglia lo separa / dalla strada intrisa di pioggia / Un autobus si ferma / cerca un passeggero / sguardi incerti / l’accompagnano / Cose segnate / parole inesplorate / luccicano nel caos / L’infanzia ha le forme smarrite / di una donna esile / come un giacinto / la chioma d’oro al vento / Il giardino delle idee / piegate / L’uomo ha rimorsi / le mani dure / incallite / da laceranti abbandoni / La notte c’è un posto / anche per lui / nella sua libertà murata / Un foro rosso in testa / gorgoglia