Wednesday, May 14, 2025

Senso e non senso

 


                                           ritratto Francesco Correggia, 1998 

Nell’era dell’intelligenza artificiale e della digitosi torna prepotentemente un’istanza che si riteneva superata, quella del senso   e più esattamente del desiderio di senso. Nel pensiero di Deleuze, nel suo celebre libro Logica del senso il senso si giocava tramite entità nuove e paradossali, che erano l'evento, la macchina, il rizoma, il ritornello, il flusso, lo stile, la sobrietà. Se prima l’accezione abituale di senso alludeva a qualcosa di definito, l'idea di Deleuze era quella di un senso indefinito, onnidirezionale, che si articolava in momenti eterogenei e, soprattutto, era qualcosa di assolutamente instabile e squilibrato. Più precisamente, l’espressione rimandava alla riflessione stessa sviluppata dall’opera del suo maestro  Hyppolite Taine,  la quale si occupava delle condizioni di un discours absolu in grado di eliminare l’opposizione intellettualistico-astratta dei due opposti come l'intenzione psicologica e quella materialista verso  l'obiettivo di una scienza dell'uomo e delle società umane nel tempo.  La prima condizione recitava: l’essere è solamente senso; la seconda corrispondeva al fatto che il pensiero è l’essere in quanto senso che si pensa; la terza equivaleva all’affermazione che il linguaggio è il senso del pensiero. Per Hippolite il sapere assoluto si dava in quanto discorso assoluto, il quale non è au de-là, bensì è il più vicino, il più semplice, il est là, in altre parole, non vi è nulla da vedere dietro il sipario.

Thomas Struth


Ora questa idea di un senso assoluto sembra avere perso la sua logica, la sua più profonda ragione anche rispetto alla crisi della modernità. Tuttavia nella logica di un sapere incondizionato e aperto alla logica non più linguistica di Deleuze, ma frammentata e aperta dall’Intelligenza artificiale, questa esigenza di un significato, di una sensazione, di un orientamento si fa oggi sentire con ineluttabile forza. Stiamo consegnando la scrittura, l’arte la letteratura ad una specie di simbionte che annichilisce il desiderio di senso, ma al contempo lo ravviva. Il processo di mercificazione del linguaggio è già in atto. Dal momento in cui saranno i dispositivi tecnici a manipolare il linguaggio, anzi a crearlo dal niente attraverso la logica degli algoritmi, niente impedisce di farlo pagare. Nell’istante in cui le parole non sono più di origine umana, non si cercano più le condizioni di un sapere che fa senso ma l’apertura a più sensi mercificata, senza l’essere che prima l’agglutinava, lo dimensionava verso l’anima e la stessa natura. 


                                                                Thierry De Cordier

Siamo entrati ancora nella caverna platonica senza accorgercene così persuasi che tutto quello che proviene dall’ombra sia la verità. Si tratta di un capitalismo linguistico oltre che del linguaggio.  Gli umani ora cercano di nuovo un senso ma questo senso è stato espropriato della scrittura ora consegnata alle macchine, ai circuiti, alle chat-GPT, alle reti, ai social, ma il rischio è che ci venga espropriato anche il senso nella sua interezza. Si rimane soli davanti alla morte che nullifica non solo la vita, ma la stessa morte che è anche un non senso del senso stesso. È questa un’eternità senza fine oppure stiamo sull’orlo di un precipizio?

                                     Spencer Tunick

Ritrovare un senso là dove il mescolamento tecnico della comunicazione integrata insieme all’intelligenza artificiale, ha artificialmente costruito un simbionte, appare un’impresa ardua e direi quasi impossibile in un regime di sottomissione e forse di nuove schiavitù. Il Leviatano si erge ancora innanzi a noi ma l’Intelligenza artificiale sembra aprire ad una nuova possibilità, far nascere un nuovo senso, un senso aperto come scrive Pascal Chabot nel suo libro: Un senso alla vita, sta a noi poterlo cogliere. Bisogna rivolgersi all’essenziale, a ciò che la vita sostiene, alle piccole cose, allo sguardo verso la natura, verso l’altro scrive  Chabot. È in corso una nuova mutazione o tutto cambia per non cambiare niente.

La pittrice Robot

Con il transumanesimo e i generatori artificiali di senso le tecnologie offrono agli umani la possibilità di mutare come mai pima d’ora sulla base di programmi elaborati dalle grandi aziende del settore digitale e dai governi di alcune potenze tecnologiche asiatiche. Queste proposte si collocano nel vivo di una ricerca che l’umanità ha sempre perseguito, scrive Chabot, quella di trasformarsi, quella del desiderio di metamorfosi che ha ispirato un gran numero di miti. E tuttavia non possiamo fare a meno di richiamarci alla natura evenemenziale di tali trasformazioni che ci collocano in un universo dove l’altro è essenziale, dove la natura ci richiama ad un senso di responsabilità verso la Terra e lo stesso pianeta, dove l’opera d’arte può ricostruire  un senso fra etica e responsabilità come ho scritto nel mio libro del 2007 dal titolo Di nuovo il senso.  Bisogna saper cogliere le possibilità che le nuove tecnologie ci offrono per salvare ciò che è necessario, ciò a cui la stessa natura ci obbliga.

Sterlac


Bisogna abbondonare il Medesimo per andare verso l’altro in uno strappo radicale che è solo possibile attraverso l’esperienza dell’incontro con il volto dell’altro scrive Levinas. È questa esperienza che sembra mancare nella dimensione di autoapprendimento delle macchine artificiali, quella dell’incontro con la natura non solo trascendente del volto dell’altro ma immanente alla nostra esistenza: Nell’esperire il volto dell’altro io stesso mi faccio senso. L’altro non solo mi somiglia ma mi parla, mi guarda, mi dice parole, verbi, suoni, mi ricorda, mi obbliga all’ascolto, ad uscire dal Medesimo e infine mi orienta di nuovo verso il senso. Sarà questo l’essenziale per tornare al senso delle cose? L’uomo è un essere per cui nella sua esistenza ne va sempre di questa esistenza stessa. O, ancora, l’uomo esiste in vista della propria esistenza. È il fatto stesso dì esistere, compiendo la nostra esistenza anche nell’errore, che ci rapportiamo al nostro potere essere per altro o meglio ancora per altri.  È la vita che ci richiama all’essere e con questo a tutte le grandi e le piccole cose della vita: dall’ambiente, all’amore, dal paesaggio al fiore, dall’arte alla natura e viceversa.


Francesco Correggia





 


Tuesday, April 22, 2025

La morte di Papa Francesco

 




La morte di Papa Francesco mi ha molto addolorato. Ho visto nella sua morte la mia, non per un processo di identificazione, ma per qualcosa che riguarda la memoria, gli anni che passano, la stessa storia. Forse anche il come è morto, stroncato da un Ictus cerebrale ha ricordato tanto il mio di anni fa, che per fortuna non ha avuto conseguenze letali. Come non pensare che questo Papa per tutti noi e non solo per me abbia rappresentato la dimensione del dolore, della sofferenza? Forse è veramente l’ultimo Papa della storia.  Il richiamo alla pace, la denuncia al capitalismo sfrenato, alle industrie delle armi, il suo essere fino all’ultimo insieme ai sofferenti, ai bisognosi, agli ultimi di questo mondo, non sono stati solo un messaggio ripetuto fino alla fine ma un bisogno, un avvertimento, un invito a rinunciare ai beni superflui, alle vaghezze esistenziali, allo spreco, alla menzogna prima che il nostro pianeta imploda. Ho molto riflettuto sul ruolo dei media in questo momento storico così particolare, pieno di conseguenze imprevedibili e mi sono convinto che ancora una volta i media stravolgono la realtà uniformando tutto alla banalità, alla mediocrità, ad un universo di speculazioni meramente prive di fondamento. Ognuno ha detto la sua, rendendo l’essenziale evanescente, la verità taciuta. È ritornato il ritornello martellante della condanna di Israele per i bombardamenti su Gaza che il Papa avrebbe pronunciato con parole dure ignorando la sua condanna altrettanto vigorosa dei terroristi di Hamas che hanno ancora nelle loro mani gli ostaggi catturati il 7 ottobre 2023 dopo aver barbaramente ucciso 1194 civili e militari. Per i media quei terroristi sono improvvisamente diventati dei bravi ragazzi. L’antisemitismo continua ancora ad aleggiare sulle nostre teste come un cancro inestirpabile.

 Anche le riflessioni critiche del Papa sul pericolo dell’intelligenza artificiale e sugli algoritmi sono state quasi sottaciute, rese superflue dalla fiducia cieca verso le tecnologie.   Tutto è diventato industria pubblicitaria, standardizzazione del consenso, interpretazione strumentale perfino della morte quando essa appare. L’ultimo papa della storia ha insistito con le parole e i suoi gesti a prendere atto della catastrofe immanente se non facciamo qualcosa, se i nostri comportamenti continuano ad essere illogici, senza nessun riguardo verso la natura e il creato. Si, debbo confessare che la morte del Papa è stata per me come precipitare in un torrente in piena senza potervi uscire. Mi ha lasciato l’angoscia verso un futuro che non solo appare incerto ma   privo di una possibile speranza.  Questo mondo non cambia o meglio non ne è capace. L’ipocrisia degli uomini ancora una volta ha avuto il sopravvento sul dolore e sulla pienezza del suo messaggio. Mi rimane il volto del Papa prima della sua morte lacerato dal dolore e dallo sconcerto per non aver potuto fermare, non solo le guerre in corso, ma ciò che sta dietro la loro logica.


Thursday, January 9, 2025

La Grande Brera e le mini-case di lusso a Milano.

 


Francesco Correggia 

Milano ha imboccato ormai da anni la strada della esagerazione senza porsi dei limiti. Così assistiamo ad una serie di eventi, mostre, inaugurazioni, passarelle di tutti i tipi, tutte grandi, tutte fuori dall’ordinario senza che qualcuno possa spiegare cosa sia l’ordinario rispetto all’eccezionale, l’estetica della città rispetto a quell’altra estetica, quella della verità. Oramai in questa citta assistiamo al tutto pieno, al mito della bellezza, al glamour, all’eccesso, alla invadenza professionale, alla celebrazione senza porsi alcuna domanda se tutto questo sia giusto, se corrisponde alla realtà delle cose, se ha a che fare con l’umano procedere? Si fa finta di niente e si risponde evasivamente, la città cresce, la crisi abitativa non c’è e anche se ci fosse è normale che ci sia, considerando l’attrazione che questa città ispira ai giovani professionisti, agli studenti e adesso anche ai turisti, al richiamo della moda, al design. Se li affitti sono alti, bene, vuol dire che quelli che non se lo possono permettere possono fare i pendolari andando a vivere fuori Milano. D’altronde è il mercato a dettare le regole del gioco e ciò giustifica l’aumento vertiginoso dei prezzi degli affitti. Lo spettacolo è salvaguardato; evviva lo spettacolo. Quanto di più falso e irragionevole pensare ad un mondo spettacolarizzato e inconsapevole, schiavo di desideri indotti, invaso da turisti, da una finanza selvaggia, da un narcisismo esasperato e fuori da ogni logica se non quella del profitto a tutti i costi.

                                                 La grande Brera
                                           

È inutile fare il confronto con la Milano di un tempo che certo era una città imprenditrice, con una vocazione industriale, dedita al commercio ma almeno aveva spazi, possibilità di cambiamento, promuoveva imprese culturali. Non c’era la grande Brera ma c’era Brera. Un luogo dove sono cresciute generazioni di artisti.  Era in luogo dell’avventura poetica esistenziale, dove gli artisti, i poeti s’incontravano, discutevano. Era appunto un vero luogo con una sua estetica un suo progetto etico. Non basta dire che non è più così. La Grande Brera è da anni che se ne parla, fin dagli anni settanta. Ora arriva in ritardo e non basta a dare uno slancio culturale al quartiere che ormai è diventata un’isola turistica e modaiola. Il mondo cambia e anche Milano è cambiata con tutte le problematiche che appartengono ad un mondo globalizzato, dominato dalla tecnica e dal lusso come in fondo sono tutte le capitali del mondo. La globalizzazione ci ha appiattiti ad un sistema unico, ad un pensiero unico.  E allora? Suonerebbe la risposta di chi vede un progresso, un movimento ininterrotto di possibilità in una città che si è al contrario denaturata, che si è appiattita a mere logiche di profitto, in ogni settore perfino nel rendere grandi e  lussuose le topaie, una città che è diventata brutta proprio puntando sul lusso. Là dove prima c’era condivisione, sostegno, comprensione, etica ora c’è solo sfruttamento, speculazione, guadagno immediato. Cos’è accaduto siamo tutti impazziti? La tecnica mostra la sua vera natura. Siamo stati tutti inghiottiti dagli schermi, schermini, da monolocali ridotti, da box, intercapedini? È probabile.

                                            Vittore Carpaccio , Visione di Sant'Agostino

Non c’è più spazio. Spazio caret diceva Sant’Agostino. Ex illo ergo, quod nondum est, per illud, quod spatio caret, in illud, quod iam non est. Quid autem metimur nisi tempus in aliquo spatio? E cioè: Da ciò che ancora non esiste, attraverso ciò che manca di spazio, a ciò che non esiste più.  Ma cosa misuriamo in uno spazio se non il tempo? Siamo quindi assistendo ad una logica drammatica di sottrazione, ad una involuzione dell’esistenza umana, ad una limitazione del corpo, ad una morte di lusso.  Milano, la capitale della moda e del design ha occupato tutti gli spazi perfino quelli dell’altra estetica e della stessa etica che ormai non si sa più cosa sia.

                                          La grande Brera

E veniamo ad uno di quegli aspetti non secondari della dimensione umana e moderna e cioè la casa, la ricerca di una possibilità abitativa.   Di chi è questa responsabilità di un aumento indiscriminato dei prezzi? Un monolocale di appena 14 metri quadri, con un canone mensile di 850 euro è semplicemente vergognoso. Il piccolo spazio, che include un ingresso, una cucina e un letto, privo di finestre, solleva non solo interrogativi sulla vivibilità e sul valore degli affitti nella capitale economica italiana, ma porta con sé anche una responsabilità nuova sul rapporto fra cittadini e ambiente, cittadini e politica, pubblico e privato, politica e morale. Di chi la colpa di questo aumento indiscriminato dei prezzi, degli immobiliaristi che ormai soffocano Milano, dei proprietari assetati di guadagni, degli Architetti, della finanza immobiliare, dello stesso mercato?

                                            Monolocale a Milano

Uno sviluppo deve sempre accompagnarsi a un’etica altrimenti è solo menzogna, sfruttamento. Che cosa dobbiamo dire che Milano non ha più una sua etica? È con il sostantivo grandezza che si misura lo sviluppo di una città? Grandezza rispetto a che cosa? Occorrerebbe una nuova responsabilità civile, etica, discorsiva e politica. Le stesse nuove potenzialità dell’agire esigono nuove regole dell’etica oltre che di una nuova estetica e forse perfino di una nuova responsabilità. Essa entra in scena in quanto istanza regolatrice di ogni agire sotto la guida del bene e del lecito. Responsabilità vuol dire saper rispondere alle domande essenziali dei cittadini, saper rispondere alle necessità ineludibili di una comunità, cercare una risposta. Se la politica ha da tempo abbandonato ogni valore di responsabilità etica, ciò non vuol dire che dobbiamo rinunciarvi. Il principio etico dal quale la dimensione valoriale trae la propria validità, suona: non si deve mai fare dell’esistenza o dell’essenza dell’uomo una posta in gioco nelle scommesse dell’agire economico senza equilibrio e del mercimonio.

                                            Vito Acconci, senza titolo

L’attività illimitata del moderno è semplicemente ripetizione, che conduce l’uomo lontano da se stesso, verso una città animale, un perfetto e definitivo formicaio. Quel metodo che ha reso l’uomo moderno non una realtà cristallizzata, bensì un sistema di riferimenti capace di costruire un’armonia fra le differenze, in primo luogo fra le differenti facoltà che vivono all’interno dello spirito stesso, cioè fra sensibilità e intelletto, tra ragione e retorica, tra descrizione e decostruzione è andato distrutto. Lo spazio simbolico, dove ciascuno ha indubbiamente la propria rete di rinvii immaginativi e affettivi, connessi alle singole esperienze e alle loro forme di vita, la singolarità dei vissuti non può dimenticare di doversi fondare su “costanti di senso”, che siano cioè comuni e condivisibili.

                                            Damien Ortega, Biennale di Venezia

È in questo senso che la casa è uno di quei diritti dell’essere umano che gli consentono di esistere, di sentirsi un cittadino libero e consapevole. Uno di quegli spazi che mette insieme cultura e memoria.  La casa, dunque, non è solo uno spazio ridotto all’osso dove si specula nel nome del lusso o di una vicinanza all’Università o alla Grande Brera ma un abito, uno spazio simbolico, aperto dove si misura l’equilibrio delle nuove responsabilità, l’orizzonte e la verticale e non un loculo. È proprio ciò che deve essere tutelato nell’interesse sia del proprietario che dell’affittuario; nell’interesse di tutti. Non è solo l’affittuario che deve dare delle garanzie economiche e sociali ma anche il proprietario nel nome dell’onestà e del diritto pubblico, nel nome di quell’etica a cui ci siamo richiamati. Accorrerebbe una specie di codice etico condiviso ma in questo senso che fa il grande Comune di Milano? Si silenzia o meglio fa finta di niente, si volta dall’altra parte oppure si richiama ai numeri, nuove case, nuovi edifici per gli studenti, i giovani, grande futuro per tutti mentre le file dei disperati aumentano.

                                           Celebre immobiliarista a Milano

L’ultima mini-casa di lusso meneghina viene mostrata nel corso del programma Zona Bianca. È l’ennesima follia di una Milano che tocca il fondo giocando al rialzo sul prezzo degli affitti. Una speculazione che colpisce studenti e lavoratori a tempo determinato in primis, ma che si ripercuote sulle famiglie e sulla difficoltà di trasferirsi. Chi propone l’abitazione in affitto la mostra nel corso del programma di Rete 4: si tratta di una stanza di 19 metri quadri (con bidet). Nei pensili della cucina di 2 metri e venti c’è lo scaldabagno, mini lavatrice e mini lavastoviglie e anche macchina del caffè. C’è un piccolo tavolo allestito per due persone, una finestra con vista sulle case d’epoca di milano, un divano a due posti che diventa anche letto, due armadi e un bagno senza finestra con mini-sanitari e box doccia, manca solo una bara per andare nell’altro mondo, ma su questo ci penserà Elon Musk .

Francesco Correggia, olio su tela, Kant il cielo stellato sopra di me
l'uomo morale dentro di me





Wednesday, November 27, 2024

Il dono

 

                                                                 


L’arte contemporanea si trova su un bordo che somiglia molto al bordo libero di una nave in balia delle onde da dove si può precipitare in mare oppure rimanere sul suo bordo tra un ponte e l’altro.  In questo bilico tra il cadere in mare aperto con il rischio di perdere la vita o rimanere a bordo della nave dove si sta in equilibrio tra limite e illimite consiste l’impossibilità di portare a compimento il nulla. L’artista contemporaneo preferisce stare all’asciutto dimenticando di avere a che fare con la storia. La perdita di coscienza è una specie di sincope, una dimenticanza da cui ci si può sottrarre solo attraverso l’offerta sublime dell’arte: il dono e la sottrazione.    

 

                                                 Francisco Zurbaran, Saint Serapion, 1628.

Solo se l’arte diventa offerta che contiene in sé il gesto del donarsi totalmente, rischiando la propria sparizione, sottraendosi ai riti nefasti della comunicazione, ci può essere un discorso vero sull’arte, almeno una sua traccia. Purtroppo oggi si dona solo la dimensione lussuosa dell’arte, la cupidigia mercantile e non la dimensione ontologica, la meditazione sull’inaudito che attraversa il mondo. Se non si ha a che fare con la necessità ontologica di ripensamento del senso nel prevalere della tecnica, che cosa possiamo pensare intorno all’arte se non in quell’unica prospettiva del nulla in cui precipita? 

 

                                                               Fra’ Arsenio, al secolo Donato Mascagni (Firenze, 1570 circa – 1637) raffigurante Il Conte Ugolino, del 1611 

Per l’arte contemporanea la questione dell’impegno verso un’ermeneutica del soggetto come conoscenza di sé e negazione inesausta degli apparati di regime sembra sia stata esclusa, quando invece è questo ripensamento la sua salvezza. La fuga dall’essere è il modo con cui l’arte insieme alla tecnica e al cantiere dell’artificio mettono in atto e s’insediano nel nuovo modo della volontà, della creazione e dei progetti. Scrive Peter Sloterdijk nel suo libro Non siamo ancora stati salvati: Il vecchio essere e il suo ente si vedono superati da un’aggiunta di nuove realizzazioni che hanno sempre più potere, realizzazione i cui prodotti si dispiegano come atti dell’artificializzazione nelle culture degli apparati e delle immagini. Ciò che un tempo si chiamava essere, già da oggi sembra una cappella fra grattacieli, o un cercare la prova dell’esistenza di Dio in una stampa da computer.  È la pratica del dono e del suo artificio   che deve essere posta al centro di quel fare e non fare, del Dire e non Dire. Se il cammino dell’arte contemporanea è qualcosa che ha a che fare con la vita stessa, con ciò che accade, e non è solo universo rappresentazionale dell’immediatezza, cioè un discorso tecnico, allora le pratiche del sé, dell’uscita dal sé, il discorso vero, assumono un ruolo di primo piano. Il pensiero della fine è il limite stesso. Ciò che realmente finisce è la possibilità di riflettere sulla storia dell’arte, della tecnica e della volontà a partire dalla storia dell’essere. È il bordo dell’arte. Il limite toccato, la vita sospesa, il cuore che batte, la sottrazione, la negatività disperata e insieme l’insonnia che si trasformano in un esilio che non ha più fondamento. È per questo che l’artista vero è inimitabile.

 

Marc Quinn Gli amanti 1994

È solo da questa prospettiva che possiamo comprendere il versante etico dell’arte contemporanea, l’inimitabilità. L’arte, in quanto rigeneratrice di senso là dove esso non c’è, riprende un ruolo di svelamento e di interpretazione della natura delle immagini in un’etica della rappresentazione che non ha volontà ma solo necessità ineludibile dell’in-essere nel mondo, il che si deve intendere come “esser dentro”, dentro il segreto dell’inafferrabile. 

 

Si tratta di una dimensione che ha a che fare non solo con l’etica ma anche con gli stessi modi del pensare, con la meditazione intorno al mondo, alle pratiche del soggetto e agli stessi linguaggi dell’arte. Le pratiche dell’arte sono pratiche del senso d’essere, del discorso vero e anche pratiche di disubbidienza costante e senza condizioni. E quale può essere questo discorso oggi? Esso si presenta come interrogazione e come capacità di stare ai bordi del limite e del senza limite, misura e dismisura fra natura e cultura. L’arte contemporanea non può fare a meno di pensare l’in-essere, come non può fare a meno di praticare una disubbidienza nuova verso ciò che abbaglia. La vera luce sta’ dietro ogni apparenza e si rivela proprio attraverso un donarsi oltre ogni limite.

 

Bill Viola, Video installazione  1998 

il discorso artistico dominante identifica l’arte con il mercato, il protagonismo, il successo personale e resta cieco davanti a qualsiasi opera prodotta e distribuita secondo qualsiasi altro meccanismo. In questo senso non si può eliminare il sospetto che l’esclusione dell’arte non prodotta secondo le condizioni standard del mercato abbia un solo scopo e cioè la soppressione di ogni elemento critico, la coercizione della rappresentazione visiva, la disumanizzazione e la soppressione del pensiero sull’essere.   L’arte, non solo quella contemporanea che ormai è una locuzione spenta, non può essere un circo all’aperto, un parco giochi dove si sperimentano le tecniche intermediali del consenso, le formule, i testi e le immagini dell’intelligenza artificiale ma deve saperci indicare una via differente che coniughi il presente con la tradizione, il pensiero con la pratica, riumanizzando il pensiero critico.

 

 Ad Reinhard, from the plach painting, 1966.

 È nell’arte come pratica della disubbidienza, dell’abbandono e al contempo come interrogazione etica che avviene l’offerta sublime del dono, della storia e dello stesso suo essere spirito che ascolta e va verso l’altro, soffia sull’altro, modificando la percezione delle cose e della stessa realtà. Dono che non è mai un donare secondo gli standard televisivi ma è anche denuncia verso il donatore, offerta di immunizzazione e una meditazione sull’inaudito. In questo senso è proprio l’arte che rende immune da ogni controllo, da ogni apparato, da qualsiasi tentativo di conciliarla con l’esistente.

                                   

 

                 Francesco Correggia, ruotando, olio e inserto fotografico  su tela, 1996

            

 

                                    

 

 

 

 


Friday, September 6, 2024

Sangiuliano - Boccia e la cultura

 




La vicenda del Ministro alla cultura Sangiuliano sfiora il ridicolo non solo per la cosa in sé ma per tutto quello che ha sollevato nel nostro paese. I media se ne sono impossessati, addirittura la Rai ha dedicato ampi spazi sul rapporto fra il Ministro e questa arrampicatrice sociale che lo accompagnava di recente in tutte le manifestazioni pubbliche. Intere trasmissioni sono state dedicate a questo caso   che appare sempre di più come un romanzetto da rotocalco.  Non è mia intenzione aggiungere altro intorno a ciò che i giornali, la politica e i media hanno sostenuto sull’argomento ma solo stigmatizzare quanto questo banale incontro sentimentale con strascichi non solo personali ma anche politici sia la rappresentazione di come intendiamo la cultura nel nostro bellissimo paese. Che essa ormai sia diventata semplice spettacolarizzazione, evento pubblico che ha bisogno di essere diffuso sui social come un qualsiasi prodotto è ormai evidente a tutti. Ciò su cui invece dovremmo riflettere è  cosa vuol dire oggi far cultura e se essa non sia solo un saper fare ma anche un non fare, una sospensione, un atteggiamento dell’uomo che riflette su se stesso e sul mondo che lo circonda, una spinta non solo verso un sapere che si rinnova sempre  ma come un  processo di emancipazione a volte disturbante. La cultura lavora per il tuttoIl suo orizzonte è l’insieme di uomini, oggetti immagini, tecnologie e parole che compongono un quadro d’insieme, ricostruzioni panoramiche che permettano di situare in una stessa prospettiva personaggi apparentemente lontani fra loro.

 


La cultura non è solo prodotto di consumo, abbellimento esteriore, monumento, merce ma è qualcosa d’altro che vale la pena di essere compreso, indagato, testimoniato e non solo spettacolizzato. Intanto bisogna dire che la diffusione di un prodotto non commerciale non è necessariamente pubblicizzazione spettacolizzata del medesimo e che la cultura non ha bisogno di essere  addomesticata, banalizzata, ma interpretata, vissuta, sofferta.

 


Che un Ministro alla cultura si dedichi semplicemente ad onorare con la sua presenza le fiere, i monumenti le scoperte archeologiche insieme ad una consigliera di grande fascino che riverbera della sua presenza ogni cosa che la circonda compreso il ministro stesso mi sembra veramente non solo semplicistico e banale ma quasi offensivo rispetto  agli scrittori, i teorici, gli studiosi i pensatori che in questo paese, in silenzio fanno fatica ad avere una loro visibilità o addirittura a pensare  tanto da mendicare una loro presenza sui canali televisivi, nei talk show per poter esprimere un pensiero. La cultura non è mai evasione o dimensione speculare alla politica, ma approfondimento, rigore, analisi critica a volte indisciplinata di ciò che oggi appare sempre di più come un regime scopico.   Un regime cioè che è fatto  di immagini, sguardi e dispositivi e non più di saperi condivisi. Che questa destra si alimenti di una politica culturale di basso profilo appare evidente ed è altrettanto riconoscibile che essa possa trasformarsi in un regime. Il comportamento del Ministro non solo è fastidioso per una destra che vorrebbe rappresentare, valori, principi, tradizioni nei quali riconoscersi ma è oltremodo offensivo rispetto all’etica pubblica di questo paese. In questo senso dovremmo pretendere dalla politica una qualche responsabilità che in questo paese ormai è merce rara. Occorrerebbe, dunque, che chi governa chieda scusa a tutti gli italiani per la mancanza di etica, di saggezza politica, di comportamento civile  da parte di molti Ministri e non solo di  Sangiuliano.

 


Che ci si innamori o ci s’invaghisca di una giovane donna, imprenditrice e bella  è normale e in linea con il costume degli italiani ma che venga usato il proprio potere politico per avere un certo successo e ottenere un qualche vantaggio sentimentale mi pare  fuori da una concezione etica e civile  non solo della politica ma dell’intera società. Che eros abbia lanciato i suoi dardi amorosi è altrettanto condivisibile. Certo la consigliera è stata un’ospite ed è stato il Ministro in persona a pagare i suoi viaggi, cene e quant’altro e non il Ministero alla cultura ma ciò non lo solleva dalla responsabilità civile oltre che politica dell’uso che il medesimo ha fatto del suo potere, della fascinazione politica  e della sua funzione pubblica.

 


Che cosa dovremmo dirci che i politici sono attraenti perché sono al potere o che per essere riconosciuti e scalare la gerarchia sociale occorre sedurre, apparire, mostrarsi sempre sorridenti con i denti bianchi a vista? Occorrerebbe umiltà e senso del dovere e molte volte bisognerebbe fare silenzio piuttosto che apparire sui media e i social per far sentire la propria voce, e continuare a dire io ci sono. 

      


 Brava Dott.ssa Maria Rosaria Boccia sei riuscita a far breccia e a far parlare di te tutta l’Italia e non solo. Caro Ministro Sangiuliano, se avessi un minimo di dignità ed etica pubblica dovresti dimetterti invece di piangere lacrime di coccodrillo sulla televisione pubblica. Ora facciamo silenzio e cerchiamo di comprendere cosa voglia dire cultura e su come farla !

 


Sunday, August 18, 2024

Agostana

 



I paradossi, le contraddizioni, l’insensatezza fanno parte della nostra vita e non bisogna allarmarsi se sono presenti più di frequente nel nostro vivere quotidiano. Non c’è quindi niente di male se agiamo e ci comportiamo in un universo del paradosso e direi in un mondo sempre più dominato dall’irrazionalità. Una grande dose di antico illuminismo e di sana ragione ci libererebbe dagli spettri dell’apparenza. Purtroppo non è così. Mai come nell’estate di quest’anno abbiamo assistito alla manifestazione dell’insensatezza che ormai domina il mondo. Mi soffermerei su quanto accade nel nostro bellissimo paese piuttosto che riferirmi a ciò che si manifesta nel resto del pianeta. È ovvio ormai che ciò che accade qui si proietta e si estende su tutto il globo e viceversa. Bisogna comunque fare attenzione a non generalizzare ma mantenersi dentro i limiti della sola ragione, come avrebbe detto un grande filosofo come Kant riferendosi alla religione.




Quest’anno il rumore assordante dei media sulle vacanze degli italiani e sulla presenza dei turisti stranieri è stato ininterrotto, plateale, spropositato rasentando il ridicolo. I numeri e i dati riportati dalle agenzie di questo successo balneare sono stati quasi da record rispetto alle scorse stagioni. Bande di vacanzieri hanno invaso le nostre città, hanno assediato le nostre spiagge, riempito musei, i ristoranti, gli alberghi. Non c’è stato giorno che il messaggio di un paese felice e ricco non sia circolato nei media televisivi, sui social, giornali e riviste. Messaggio ampiamente documentato, finalizzato a convincere i cittadini   che la politica turistica ha avuto un successo e dobbiamo esserne fieri. Certo il rito agostano della vacanza fa parte ormai della consuetudine italiana, è una specie di aspetto simbolico del nostro benessere, anche quando esso proprio non c’è. È una festa che ha bisogno di essere celebrata anche se ahimè non ha niente a che fare con la vergine Maria.  Il messaggio è stato chiaro e suona: raggiungete le spiagge, le montagne, divertitevi e siate felici.



Niente di male se la massa degli italiani in agosto va al mare o in montagna nonostante il costo per una vacanza al mare o solo per andare in spiaggia sia salito alle stelle rispetto al passato e siamo a rischio di una terza guerra mondiale. Vuol dire, al solito, che gli italiani stanno bene e preferiscono godersi lo spettacolo. Ma non è proprio così.  È una questione culturale. Siamo ossessionati dalle vacanze, siamo concepiti per farle e niente ci può fermare, né le guerre, né il clima e neppure il cambiamento climatico in atto. Il verbum è l’evasione non appena si può, dallo stress quotidiano, dai problemi, da tutto il resto che ci ostacola. Mai ci viene da pensare che non è così e quello che lasciamo qui lo troviamo intatto o forse peggiorato altrove. Non ci soffermiamo su quanti non possono andare in vacanza per problemi economici, sulla povertà che ormai in Italia dilaga e sta diventando endemica, sui salari che non crescono, sullo sviluppo economico e produttivo malato.



Non è mia intenzione scrivere in questa sede un saggio da un punto di vista sociologico   sulle vacane degli italiani e sulla presenza dei turisti stranieri che ogni anno puntualmente aumentano ma solo, appunto, richiamare a un paradosso a una specie di controsenso che fa emergere  quanto siamo fragili ed esposti senza saperlo. Né tantomeno il mio scopo è far sentire in colpa chi riesce a concedersi una vacanza seppure ridotta, ma esprimere un dubbio, pone una riflessione sulla condizione sociale e culturale attuale e sulla comunicazione con la quale si organizza il consenso generalizzato.


I media ci hanno altresì fatto sapere con puntualità, anche questa esasperante, insieme alle cifre entusiastiche del turismo presente nelle nostre città, l’aumento delle temperature con conseguente afa e umidità richiamando i cittadini a non uscire nelle ore più calde. Ci viene detto che, in particolare per il nostro paese, siccità, ondate di caldo, venti e piogge intense sono destinati ad aumentare nei prossimi dieci anni e che le vittime delle guerre in Ucraina e nel Medio oriente sono sempre più preponderanti e che è quasi impossibile trovare un accordo. Mentre siamo in vacanza, non appena tornati dalla spiaggia vediamo la giornalista inviata dalla Rai che corre da una linea di confine all’altra raccontandoci la guerra, intervistando i soldati ucraini e la stessa popolazione come se fosse un film, con interviste di parte e sconfinamenti. L’inviata ci racconta ciò che ha visto come se il vedere non fosse un atto intenzionato, interpretativo della realtà e non un fatto oggettivo.  Ci sediamo in poltrona, beviamo un buon vino, gustiamo la cena e siamo felici. Tutto questo non ci tocca anche se le imprese della nostra inviata ci mettono a rischio da un punto di vista di una soluzione  diplomatica della questione.  Non è tutto questo un paradosso, un controsenso?




Secondo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, approvato dal ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica nei prossini 40 anni il livello dei mari italiani aumenterà fino a 19 centimetri, la temperatura dell’acqua aumenterà di 2,3 gradi con conseguenze tragiche per tutto il sistema climatico e ambientale, per tutto il pianeta e non solo per l’Italia. Per la maggioranza delle persone tutto ciò sembra frutto dell’immaginazione o di qualche isolato pessimista. Continuiamo a comportarci come prima. Non rinunciamo a niente. Non riflettiamo abbastanza su quanto possiamo singolarmente contribuire per cambiare l’andamento climatico e fermare le guerre in corso. Ci sembra uno sforzo inutile e impossibile. Perciò continuiamo a comportarci come prima senza neppure pensarci.



 Ma cosa hanno a che fare le vacanze e il turismo con i cambiamenti climatici e le guerre? C’entrano, eccome. Le strade intasate dalle macchine, il consumo di carburanti, lo spreco, l’incoscienza con cui trattiamo le nostre spiagge, il modo con cui continuiamo a inquinare, a trattare i nostri corpi, a rumoreggiare, a usare i nostri cellulari, a frequentare i musei a invadere le città, a ricercare il lusso e a speculare   sono alleati del disastro ambientale e paradossalmente producono incomprensioni e guerre. Manca un senso di responsabilità, il che vuol dire essere chiamati a rispondere per quanto possiamo al disastro che ormai ci avvolge. Le estati saranno sempre più calde e non so se riusciremo ad andare in spiaggia o in montagna nel futuro, perciò cerchiamo di essere razionali e capaci di pensare alle conseguenze di ciò che consideriamo sviluppo produttivo, anche quando andiamo in vacanza.



Bisogna intervenire fin da subito con interventi non solo da parte dei governi con politiche green ma anche individualmente con una presa di coscienza adeguata, saper rinunciare al superfluo   e soprattutto bisogna opporsi alla propaganda dei media, che fanno di tutto per generalizzare, disinnescare qualsiasi critica che non sia conforme allo status quo. Nella critica della ragione pratica, come è noto Kant parla “della legge morale dentro di me e del cielo stellato sopra di me”. Sono punti fermi nella nostra vita, ci danno sostegno e ci guidano nella comprensione di ciò che conta veramente. Il principio della morale dovrebbe essere per noi una bussola orientativa che certo non sempre funziona ma ad ogni modo ci consente di distinguere, confortati anche dall’etica, ciò che è bene da ciò che è male. Anche se tale principio non è sufficiente ad orientarci con tutti gli aspetti della nostra vita tuttavia esso ci aiuta a preservare noi stessi come essere razionali.



Occorre un’etica ambientale rispettosa della natura, una razionalità nuova che sappia distinguere ciò che fa bene da ciò che fa male. Etica che non può essere sempre cavalcata dal profitto, dal dominio del più forte o di quello che appare il più forte. In breve bisogna saper discernere. Il discernimento è consapevolezza di sé e delle ragioni oggettive che governano il mondo. Vuol dire, saper selezionare e rinunciare all’eccesso.  Affinché le azioni dell’uomo siano coerenti e razionali, oltre ad avere un senso è fondamentale che siano portatori di fede, speranza e carità. Una fede che c’è qualcuno là, che ci potrà rispondere, poi la speranza che vuol farlo, infine la carità che deve insegnarci la via della buona risposta. In mancanza di questo saremmo perduti.



 Il rito agostano delle vacanze ci consegna alla fallacia, alla mancanza, al dramma e non è il sintomo del benessere piuttosto lo è del suo contrario. Esso è il risultato di una spettacolarizzazione a tutto campo che si rende visibile e ci ammalia. Il film del 1964: il sorpasso di Dino Risi con il quale vorrei concludere questo mio breve intervento racconta il ferragosto a Roma negli anni sessanta. Esso  viene celebrato come un rito che coinvolge i due protagonisti ,  Roberto Mariani, studente di legge al quarto anno, timido e riservato rimasto in città per preparare gli esami, intrepretato da Trintignant e Bruno Cortona, interpretato da Gassman  trentaseienne vigoroso ed esuberante, amante della guida sportiva e delle belle donne, prototipo dell’italiano medio, al volante della sua Lancia Aurelia. Il film oltre a essere una testimonianza sul modo con cui gli italiani trascorrevano il loro ferragosto nell’era del boom economico è anche una metafora attuale sulla nostra condizione duale.



 Nella   tragica conclusione che si materializza durante l'ennesimo sorpasso avventato: per evitare l'impatto frontale con un camion, Bruno sterza violentemente e finisce per urtare un paracarro. Nell'impatto, Bruno viene sbalzato fuori dall'auto riuscendo così a salvarsi, mentre Roberto perde la vita finendo in una scarpata. Agli agenti intervenuti Bruno confesserà, dato il tempo limitato trascorso con il suo occasionale compagno di viaggio, di non conoscerne neppure il cognome. Finale appunto tragico e paradossale.

 


Immagini:

1        – Autoritratto

2         Francesco Correggia.  Frame da una performance   su Hegel  2004

3         Città affollate, overturism agosto 2024

4        -  Roxi Paine, Mailstrom, 2008

5        – Rembrandt. Il ritorno del figliol prodigo, 1661

6      7      -  La guerra in Ucraina

8        - Joseph Beuyes, Oak, 1982

9        – Magritte, Gli amanti 1926 ca

10    – Fotogramma Il sorpasso di Dino Risi, 1964

11    – Francesco Correggia, sta dentro le cose, olio su tela, 2021