Monday, April 1, 2024

Il dono dell'arte

 



L’arte contemporanea si trova su un bordo che somiglia molto al bordo libero di una nave da dove si può precipitare in mare oppure rimanere sul suo bordo libero tra un ponte e l’altro.  In questo bilico tra il cadere in mare aperto con il rischio di perdere la vita e rimanere a bordo della nave si sta in equilibrio tra la tradizione e l’attualità. L’artista contemporaneo preferisce stare all’asciutto dimenticando di avere a che fare con la storia. La perdita di coscienza è una specie di sincope contemporanea, una dimenticanza da cui ci si può sottrarre solo attraverso l’offerta sublime dell’arte.  

  

 

Solo se l’arte diventa offerta che contiene in sé il gesto e la rinuncia sottraendosi ai riti nefasti del commercio che ci può essere un discorso vero, almeno una sua traccia. Purtroppo oggi quel che appare è solo la dimensione mercantile dell’arte. L’arte è diventata totalmente merce, il che non giustifica il suo stesso esserci nel mercato. Se non si ha a che fare con una istanza di libertà rispetto alle merci che cosa possiamo pensare intorno all’arte se non nell’unica prospettiva ontologia che la costituisce?  Il suo poter essere nella storia, di essere testimone di un’epoca si dona nel presente come bene prezioso.

 


 Per l’arte contemporanea questa questione dell’impegno verso un’ermeneutica del soggetto come conoscenza di sé e degli altri sembra sia stata esclusa, quando invece è proprio questa la vera questione dell’arte. È la pratica del dono   che deve essere posta al centro di quel fare e non fare. Se il cammino dell’arte contemporanea è qualcosa che ha a che fare con la stessa esistenza, con ciò che accade, e non è solo universo rappresentazionale dell’immediatezza, cioè un discorso tecnico, allora le pratiche del sé, dell’uscita dal sé, il discorso vero, assumono un ruolo di primo piano. Il pensiero della fine è il limite stesso anche se essa viene procrastinata come possibilità aperta. È il bordo dell’arte. Il limite toccato, la vita sospesa, il cuore che batte. La sofferenza di un sentimento che sente e tocca lo stesso limite.

 


 È solo in questa prospettiva che possiamo comprendere il versante etico dell’arte contemporanea. L’arte, in quanto rigeneratrice di senso là dove esso non c’è, riprende un ruolo di svelamento e di interpretazione della natura delle immagini in un’etica della rappresentazione. Si tratta di una dimensione nuova che ha a che fare non solo con l’etica ma anche con gli stessi modi del pensare, con la meditazione intorno al mondo, alle pratiche del soggetto e agli stessi linguaggi dell’arte. Le pratiche dell’arte sono pratiche del senso d’essere, del discorso vero e anche pratiche di disubbidienza costante e senza condizioni. E quale può essere questo discorso oggi? Esso si presenta come interrogazione e come capacità di stare al confine della storia fra natura e cultura. L’arte contemporanea non può fare a meno di essere una ferita aperta nello stesso suo sistema, come non può fare a meno di praticare una disubbidienza verso ciò che la abbaglia. La vera luce sta’ dietro ogni apparenza e si rivela proprio attraverso un donarsi oltre ogni limite.

 


Il discorso artistico dominante identica l’arte con il mercato e resta cieco davanti a qualsiasi opera prodotta e distribuita secondo qualsiasi altro meccanismo. In questo senso non si può eliminare il sospetto che l’esclusione dell’arte non prodotta secondo le condizioni standard del mercato abbia una sola base e cioè la soppressione di ogni elemento critico, la coercizione della rappresentazione visiva.   L’arte, non solo quella contemporanea che ormai è una locuzione spenta, non può essere un circo all’aperto, un parco giochi dove si sperimentano le tecniche intermediali del consenso, le formule, i testi e le immagini dell’intelligenza artificiale, né può essere una provocazione costante ma deve saperci indicare una via differente che coniughi il presente con la tradizione, il pensiero con la pratica, la vita stessa con la veglia della morte. 


 Questo non significa demonizzare il mercato che ha le sue regole ma trovare un giusto equilibrio fra forze opposte che devono orientarsi verso il bene, verso un’ecologia della percezione.   Si tratta di una conversione dello sguardo, un modo di essere nel reale che possiamo considerare ascetico ed etico. L’arte, senza ricorrere per questo ad una sua specifica definizione, nonostante sembra che abbia perso il suo senso, è ancora di più una pratica del sublime che va verso il cuore delle cose e non è solo un prodotto da vendere. Solo nella preoccupazione dello svanimento essa ritorna a sé, al tempo stesso nel senso di raccogliersi e risvegliarsi, svegliarsi nel senso della coscienza in sé in generale. La qualità formale dell’opera, se ancora essa debba esistere, viene fuori da questo terreno instabile, da questa sincope tra l’immediato e la trascendenza. 

 

 

 È nell’arte come pratica della disubbidienza e della solitudine e al contempo come interrogazione etica che avviene l’offerta sublime del dono, della storia e dello stesso suo essere spirito che ascolta e va verso l’altro, soffia sull’altro, modificando la percezione delle cose e della stessa realtà. Con ciò si annulla la distanza fra essere e mondo fra mondo dell’arte con le sue peculiarità e il fare dell’arte, fra l’essere e gli enti che lo circondano, fra l’umano e il macchinico, il mondo e la terra.

 


Immagini

1-    Pontormo , Deposizione, 1528

2-    Magritte, gli amanti, 1928

3-    Richard Serra The Matter of time,  2011.

4-    Marc Quinn gli amanti, 2016

5-    Francesco Correggia, Resurrezione, 1987

6-    Bill Viola a palazzo Strozzi

7-    Francesco Correggia , Erlebnis, 2034