A proposito dei cambiamenti climatici
Anni fa scrissi
qualcosa a proposito della sottrazione. Curai nel 2015 perfino una mostra dal
titolo per sottrazione presso la Galleria Brentano. Il tema era appunto un libro di
Maurice Blanchot dal
titolo la scrittura del disastro, fra
frammentazione e ricostruzione. Gli artisti che avevo invitato erano: Renata Boero, Ugo Carrega, Luc Feriens, Paola
Fonticoli, Alberto Garutti, Nick Lamia, Ivens Machado, Ernesto Jannini, Anna Spagna, Cristina Ruffoni.
Ora l’argomento sembra tornare
d’attualità spinto dai cambiamenti climatici a cui assistiamo impotenti. Nel
mio libro “Inquietudini” edito da Lanfranchi avevo giù affrontato
l’argomento, anticipando ciò che sarebbe accaduto se non fossimo
intervenuti in tempo. L’assunzione di responsabilità e l’invito a cambiare i
propri modelli di vita erano un richiamo
costante del libro. Forse gli sforzi di ognuno di noi non bastano a
salvare il pianeta ma almeno possono servire ad indicar un cambiamento di rotta,
a riorientare l’essere umano ad avere rispetto
dell’ambiente e di tutti gli altri esseri viventi, a smettere di usare
energie inquinanti, dal carbon fossile al petrolio. Ma come si fa ? Non abbiamo
più rispetto della terra , vige una falsificazione a tutto campo, l’iper
produzione coatta, e la corsa selvaggia all’autoaffermazione personale sono impossibili da fermare . Anche le manifestazioni e le proteste dei giovami sempre più numerosi a difesa
dell’ambiente e del pianeta, seppure lodevoli,
sembrano nullificarsi dalla moda,
dalla dimenticanza, apparendo come fenomeni passaggieri, tanto poi, finita la
festa, si continua come prima.
L’incastro fra comunicazione, nuove tecnologie
mediali, reti sociali, apparati televisivi, sistema produttivo sta diventando così stringente da far pensare
che ciò che stiamo vivendo sia un regime da cui non si può sfuggire. La
comunicazione ormai segue logiche
pubblicitarie e sembra sfuggire ad ogni criterio etico e morale. I canali televisivi e la rete sono appiattite ad una
logica di consenso mediatico senza precedenti. Anche i pochi programmi di
informazione a carattere culturale sono per lo più ripetizioni di ciò che
propina il sistema seguendo le linee
giornalistiche di appiattimento generale.
In televisione vengono invitati a presentare i loro libri sempre gli
stessi, coloro che hanno accesso ai canali della comunicazione pubblicitaria,
dai giornalisti, ai magistrati, ai
filosofi opinionisti. L’informazione, la
comunicazione, il falso e la verità si mescolano insieme. Il regime diventa non
solo quello delle parole ma anche quello estetico,, delle
immagini. In questa griglia di responsabilità di anestesia globale culturale ed estetica, emozioni, sentimenti, proteste fanno una specie di
minestrone nella nostra società dello spettacolo. Cosa si può fare ? Andare
alla ricerca di modelli di riferimento nuovi ? Si ma quali?
Forse non occorrono più modelli di
riferimento ma solo pensieri differenti, modi di vivere e pensare la realtà con
i suoi bisogni sociali di comunicare in maniera totalmente diversa. Occorre
ripristinare il senso delle cose, il senso della vita, uscire dalla retorica dell’informazione
teleguidata, vivere quasi in segreto,
scoprire ciò che si sottrae e che esprime una sostanza di libertà, una ricerca
di verità, una complessità nuova che non può piegarsi all’appiattimento
generale delle retoriche generaliste.
Anche l’arte ormai partecipa a
questo groviglio di consenso mediale, di appiattimento linguistico, di
cortigianeria, di divulgazione di massa spettrale. Chi non appartiene a questa logica deve essere respinto, sia che esso sia di un
colore diverso sia che abbia da dire qualcosa.
La risposta dunque sarebbe
sottrarsi a qualsiasi logica sistematica di consenso, dire sempre “preferisco di no” come fa lo scrivano Bartleby nel racconto di Hermann Melville quando il suo capoufficio gli da un compito
da svolgere.
Certo che in una logica di regime
come appare oggi il nostro vivere quotidiano non ci si può aspettare che cambi
qualcosa, che le persone pensino, che esercitino una qualche riflessione
critica, che rinuncino ai consueti
modelli di vita. Anzi le analisi profonde vanno abolite salvo quelle
banali e semplicistiche che ci propongono i soliti opinionisti nei nostri spettacoli di conversazione politica da
salotto.
Scrivevo in un mio intervento sul
Blog cultura della Stampa già nel 2014:
D’altra parte non si deve dimenticare che quel che
rende particolarmente urgente, interventi decisi e una presa di coscienza del
mondo attuale che di disastri ne ha visti tanti, è anche la portata planetaria,
globale senza precedenti della devastazione ambientale causata dai sistemi
dominanti di produzione e consumo, il che sta
provocando, l'esaurimento delle risorse, una massiccia estinzione di specie viventi
dell’intero pianeta, un cambiamento climatico senza precedenti.. Intere
comunità vengono distrutte e d’altra parte, i benefici dello sviluppo non sono
equamente distribuiti e il divario tra ricchi e poveri sta crescendo sempre di
più. L’ingiustizia, l’ignoranza, la prevaricazione sociale del più forte
rispetto al più debole, la povertà, l’esclusione aumentano velocemente. In
questo senso ormai il grande disastro si accompagna a una specie
di stravolgimento interiore dei soggetti della
scena umana e sociale globale. Esso ormai è ovunque, nel depauperamento del paesaggio, nelle
istituzioni, nell’economia, nella finanza, nel quotidiano ma anche, cosa
abbastanza inedita, nello spirito, nelle relazioni umane, nell’arte e nella cultura.
Sembra svanito il tempo di un’emergenza , poetica e scritturale che ci porta a
una nuova dimensione etica, una rigenerazione del pensiero che ricomincia
guardando più in là, in una prospettiva mutata, in un rinvenimento ontologico di ricostruzione del senso delle cose e di
amore verso il pianeta.
Non vorrei qui rimarcare quanto sia stato previgente già
prima che i fatti mi dessero ragione e mostrassero tutta la loro evidenza. Vorrei solo rilevare se ce ne fosse bisogno
quanto ormai la questione del cambiamento climatico, il disastro ambientale,
l’economia finanziaria, le parole che diciamo, tutta la comunicazione,
l’estetica e la stessa arte facciano parte di un regime, di una dittatura delle
immagini e delle parole in rete. Tutto ciò non solo ci domina ma ci costringere
tramutarci in esseri , succubi di un potere assolutistico e totalitario.
L’emergenza climatica è
solo un aspetto di questa griglia incombente. Essa è solo la punta dell’Iceberg
di qualcosa che ha origini lontane e che tocca la storia del progresso tecnico
scientifico dell’essere umano. Non sono gli artisti a poter salvare il pianeta
né le loro opere a far pensare. Essi sono compromessi con il successo personale
e il guadagno. Certo, artisti famosi che ormai dominano il
circuito della diffusione mediale fanno a gara per contendersi quel che resta
ancora del cadavere dell’arte rivolgendosi al rapporto fra arte e terra o ad
arte e natura. Ma anche questo è un modo
di essere presenti nel mondo dell’arte, una tendenza modaiola e non una vera assunzione di responsabilità e
di impegno etico ora che la crisi del mercato tocca soprattutto l’arte contemporanea. Mi sembra paradossale reiterare
certi atteggiamenti riprendendo vecchie e desuete locuzioni come l’inesauribile rapporto fra arte e
natura. Ancora una volta assistiamo al grande evento dell’arte che simula
l’impegno.
L’arte contemporanea
così declamata dai curatori nostrani non è altro che lo specchio di un fenomeno
globale di appiattimento e di inappropriatezza rispetto alle autentiche problematiche
ambientali e climatiche. Sfruttare il tema dei cambiamenti climatici in atto e
dello scioglimento dei ghiacci per non perdere di vista il momento attuale e farsi
un po’ di pubblicità è vergognoso oltre ad essere inefficace. Il danno aumenta alimentando il regime mediale e l’apparato di
una comunicazione standardizzata e di basso profilo. Il dominio si espande
ormai in rete. Una coltre di volgarità si stende come una fitta nebbia mentre continuiamo
a sperperare, a lucrare, a consumare senza tregua, a riempire la terra d’immondizia.
Forse occorrono parole nuove. Sottrarsi al
rumore, al lusso e allo sperpero.
Essere parchi nel giudizio e nei modi di vivere. Rimodellare la propria vita in
senso etico. E’ancora il corpo, il nostro corpo che dovrà riconnettersi alla
terra, al pianeta.
Noi siamo corpo unico
con la sostanza di questo pianeta. Il nostro corpo non è solamete il corpo
desiderante che deve riempire una mancanza, possedere, vivere in eterno senza
eternità, nella moda e nella morte che essa propina nei suoi messaggi ma è il corpo sensibile, esposto che abbraccia
il pianeta e diventa esso stesso pianeta nel suo tornare alla terra. Io sono il
vivente che sa d’essere essenza, corpo che rinuncia, che non si piega che
rinasce dalle ceneri.
Corpo dell’invisibile. La sottrazione è donazione di
senso dove esso manca. E’ apertura alla piega del mondo. Piegarsi e ripiegarsi
senza tregua, Cauterizzare la ferita non vuol dire chiuderla o nasconderla, ma
mostrarla come segno della nostra possibile sparizione. Se tutti fossimo
coscienti di questo andare verso il nulla che ci contiene già sarebbe un bene.
Un ordito di parole, di sottrazioni, di
filigrane di vapori digiunanti. Forse
sapremmo che accumulare danaro non serve
a nulla se non per dominare e distruggere.
Occorrono parole sapienti per
dirlo e farlo capire. Salveremmo così il
pianeta ? Sottrarsi all’iper-produzione
coatta, al regime della comunicazione
pubblicitaria, al lusso, al consumismo, pensare
all’infinito che con noi passa e si perde, avere cura di sé come dice Foucault
nelle sue lezioni dal titolo l’ermeneutica del soggetto: sarebbe già qualcosa in questo letamaio di
falsità e di menzogne.
Forse
un mattino andando in un’aria di vetro come scrive
Montale in Ossi di seppia vedremo ciò
che occorre, una folata di vento che
solleva nuovi aromi. Forse è il vuoto la vera sostanza del mondo, il corpo
mondo e il mondo corpo che giocano ai confini dell’universo in una danza
infinita con la materia oscura. Salvare il pianeta significa proprio
ricollegarsi e unirsi a questa danza.
Indice delle immagini
1 – Francesco
Correggia, Faremo gli occhiali così, olio su tela mis.1,20x 1,60 2019
2 - Francesco Correggia in occasione della mostra
dedicata a Blanchot, 2015
3 – Lucas Cranach, Les amoreux, 1472
4 - Donald Sultan, lemons, 2002
5 -
Anonimo, Testa di morente
6- Anonimo, comandante militare, 1500
7 – Foto
scattata in occasione della mostra alla Fondazione Prada curata da Wes Anderson e Juman Malouf, 2019
8– Sofonisba
Albissola, Le sorelle della pittrice, 1550
9 . Christo, land-art
la nuova sistemazione del lago d'iseo, 2016
10 - Mendieta,
Ana Silueta Muerta 1978
11 – Pistoletto,
piantumazione Installazione nuovo
Paradiso. Residenza d’artista nel Sannio, Arpaise
12 – Mark Dion,
Radical Nature, 2002
13 - Henri Matisse, La Dance, 1910
14 – Francesco
Correggia , re birth, 2019