Saturday, November 30, 2019








A proposito dei  cambiamenti climatici


 

Anni fa scrissi qualcosa a proposito della sottrazione. Curai nel 2015 perfino una mostra dal titolo per sottrazione presso la  Galleria Brentano. Il tema   era appunto un  libro di   Maurice Blanchot dal titolo  la scrittura del disastro, fra frammentazione e ricostruzione. Gli artisti che avevo invitato   erano:  Renata Boero, Ugo Carrega, Luc Feriens, Paola Fonticoli, Alberto Garutti, Nick Lamia, Ivens Machado, Ernesto Jannini,  Anna Spagna, Cristina Ruffoni.

 

Ora l’argomento sembra tornare d’attualità spinto dai cambiamenti climatici a cui assistiamo impotenti. Nel mio libro “Inquietudini” edito da Lanfranchi avevo giù  affrontato  l’argomento, anticipando ciò che sarebbe accaduto se non fossimo intervenuti in tempo. L’assunzione di responsabilità e l’invito a cambiare i propri modelli di vita erano un richiamo  costante del libro. Forse gli sforzi di ognuno di noi non bastano a salvare il pianeta ma almeno possono servire ad indicar un cambiamento di rotta, a riorientare l’essere umano ad avere rispetto  dell’ambiente e di tutti gli altri esseri viventi, a smettere di usare energie inquinanti, dal carbon fossile al petrolio. Ma come si fa ? Non abbiamo più rispetto della terra , vige una falsificazione a tutto campo, l’iper produzione coatta, e la corsa selvaggia all’autoaffermazione personale  sono  impossibili da fermare .  Anche le manifestazioni e le proteste  dei giovami sempre più numerosi a difesa dell’ambiente e del pianeta, seppure lodevoli,  sembrano nullificarsi  dalla moda, dalla dimenticanza, apparendo come fenomeni passaggieri, tanto poi, finita la festa, si continua come prima.

 

 L’incastro fra comunicazione, nuove tecnologie mediali, reti sociali, apparati televisivi, sistema produttivo  sta diventando così stringente da far pensare che ciò che stiamo vivendo sia un regime da cui non si può sfuggire. La comunicazione ormai  segue logiche pubblicitarie e sembra sfuggire ad ogni criterio etico e morale. I canali  televisivi e la rete sono appiattite ad una logica di consenso mediatico senza precedenti. Anche i pochi programmi di informazione a carattere culturale sono per lo più ripetizioni di ciò che propina  il sistema seguendo le linee giornalistiche di appiattimento generale. 

 
In televisione vengono  invitati a presentare i loro libri sempre gli stessi, coloro che hanno accesso ai canali della comunicazione pubblicitaria, dai giornalisti,  ai magistrati, ai filosofi opinionisti.  L’informazione, la comunicazione, il falso e la verità si mescolano insieme. Il regime diventa non solo quello delle parole ma anche quello estetico,,  delle  immagini. In questa griglia di responsabilità di anestesia globale  culturale ed estetica, emozioni,  sentimenti, proteste fanno una specie di minestrone nella nostra società dello spettacolo. Cosa si può fare ? Andare alla ricerca di modelli di riferimento nuovi ? Si ma quali?  

 

Forse non occorrono più modelli di riferimento ma solo pensieri differenti, modi di vivere e pensare la realtà con i suoi bisogni sociali di comunicare in maniera totalmente diversa. Occorre ripristinare il senso delle cose, il senso della vita, uscire dalla retorica dell’informazione teleguidata,  vivere quasi in segreto, scoprire ciò che si sottrae e che esprime una sostanza di libertà, una ricerca di verità, una complessità nuova che non può piegarsi all’appiattimento generale delle retoriche generaliste.    
Anche l’arte ormai partecipa a questo groviglio di consenso mediale, di appiattimento linguistico, di cortigianeria, di divulgazione di massa spettrale. Chi  non appartiene a questa logica  deve essere respinto, sia che esso sia di un colore diverso sia che abbia da dire qualcosa.  La risposta dunque sarebbe  sottrarsi a qualsiasi logica sistematica di consenso,   dire sempre “preferisco di no” come fa  lo scrivano Bartleby  nel racconto di Hermann Melville   quando il suo capoufficio gli da un compito da svolgere.
Certo che in una logica di regime come appare oggi il nostro vivere quotidiano non ci si può aspettare che cambi qualcosa, che le persone pensino, che esercitino una qualche riflessione critica, che rinuncino ai consueti  modelli di vita. Anzi le analisi profonde vanno abolite salvo quelle banali e semplicistiche che ci propongono i soliti opinionisti nei nostri  spettacoli di conversazione politica da salotto. 

Scrivevo in un mio intervento sul Blog cultura della Stampa  già  nel 2014:

 

 D’altra parte non si deve dimenticare che quel che rende particolarmente urgente, interventi decisi e una presa di coscienza del mondo attuale che di disastri ne ha visti tanti, è anche la portata planetaria, globale senza precedenti della devastazione ambientale causata dai sistemi dominanti di produzione e consumo, il che sta
provocando, l'esaurimento delle risorse,  una massiccia estinzione di specie viventi dell’intero pianeta, un cambiamento climatico senza precedenti.. Intere comunità vengono distrutte e d’altra parte, i benefici dello sviluppo non sono equamente distribuiti e il divario tra ricchi e poveri sta crescendo sempre di più. L’ingiustizia, l’ignoranza, la prevaricazione sociale del più forte rispetto al più debole, la povertà, l’esclusione aumentano velocemente. In questo senso ormai il grande disastro si accompagna a una specie di stravolgimento interiore dei soggetti della  scena umana e sociale globale. Esso ormai è ovunque, nel depauperamento del paesaggio, nelle istituzioni, nell’economia, nella finanza, nel quotidiano ma anche, cosa abbastanza inedita, nello spirito, nelle relazioni umane, nell’arte e nella cultura. Sembra svanito il tempo di un’emergenza , poetica e scritturale che ci porta a una nuova dimensione etica, una rigenerazione del pensiero che ricomincia guardando più in là, in una prospettiva mutata, in un rinvenimento ontologico  di ricostruzione del senso delle cose e di amore verso il pianeta.

 

Non vorrei  qui rimarcare quanto sia stato previgente già prima che i fatti mi dessero ragione e mostrassero tutta la loro evidenza.  Vorrei solo rilevare se ce ne fosse bisogno quanto ormai la questione del cambiamento climatico, il disastro ambientale, l’economia finanziaria, le parole che diciamo, tutta la comunicazione, l’estetica e la stessa arte facciano parte di un regime, di una dittatura delle immagini e delle parole in rete. Tutto ciò non solo ci domina ma ci costringere tramutarci in esseri , succubi di un potere assolutistico e totalitario.

 

L’emergenza climatica è solo un aspetto di questa griglia incombente. Essa è solo la punta dell’Iceberg di qualcosa che ha origini lontane e che tocca la storia del progresso tecnico scientifico dell’essere umano. Non sono gli artisti a poter salvare il pianeta né le loro opere a far pensare. Essi sono compromessi con il successo personale e il guadagno.   Certo, artisti famosi che ormai dominano il circuito della diffusione mediale fanno a gara per contendersi quel che resta ancora del cadavere dell’arte rivolgendosi al rapporto fra arte e terra o ad arte e natura. Ma anche questo è un  modo di essere presenti nel mondo dell’arte, una tendenza modaiola  e non una vera assunzione di responsabilità e di impegno etico ora che la crisi del mercato tocca soprattutto  l’arte contemporanea. Mi sembra paradossale reiterare certi atteggiamenti riprendendo vecchie e desuete locuzioni  come l’inesauribile rapporto fra arte e natura. Ancora una volta assistiamo al grande evento dell’arte che simula l’impegno. 

 

L’arte contemporanea così declamata dai curatori nostrani non è altro che lo specchio di un fenomeno globale di appiattimento e di inappropriatezza rispetto alle autentiche problematiche ambientali e climatiche. Sfruttare il tema dei cambiamenti climatici in atto e dello scioglimento dei ghiacci per non perdere di vista il momento attuale e farsi un po’ di pubblicità è vergognoso oltre ad essere inefficace. Il danno aumenta  alimentando il regime mediale e l’apparato di una comunicazione standardizzata e di basso profilo. Il dominio si espande ormai in rete. Una coltre di volgarità si stende come una fitta nebbia mentre continuiamo a sperperare, a lucrare, a consumare senza tregua, a riempire la terra d’immondizia. Forse occorrono parole nuove. Sottrarsi al  rumore, al lusso  e allo sperpero. Essere parchi nel giudizio e nei modi di vivere. Rimodellare la propria vita in senso etico. E’ancora il corpo, il nostro corpo che dovrà riconnettersi alla terra, al pianeta. 

 

Noi siamo corpo unico con la sostanza di questo pianeta. Il nostro corpo non è solamete il corpo desiderante che deve riempire una mancanza, possedere, vivere in eterno senza eternità, nella moda e nella morte che essa propina nei suoi messaggi  ma è il corpo sensibile, esposto che abbraccia il pianeta e diventa esso stesso pianeta nel suo tornare alla terra. Io sono il vivente che sa d’essere essenza, corpo che rinuncia, che non si piega che rinasce dalle ceneri. 


 

Corpo dell’invisibile. La sottrazione è donazione di senso dove esso manca. E’ apertura alla piega del mondo. Piegarsi e ripiegarsi senza tregua, Cauterizzare la ferita non vuol dire chiuderla o nasconderla, ma mostrarla come segno della nostra possibile sparizione. Se tutti fossimo coscienti di questo andare verso il nulla che ci contiene già sarebbe un bene. Un ordito di parole, di sottrazioni,  di filigrane di vapori  digiunanti. Forse sapremmo che accumulare  danaro non serve a nulla se non per dominare e distruggere.
 
 

 Occorrono parole sapienti   per dirlo e farlo capire.  Salveremmo così il pianeta ?  Sottrarsi all’iper-produzione coatta, al regime della  comunicazione pubblicitaria, al lusso,  al consumismo, pensare all’infinito che con noi passa e si perde, avere cura di sé come dice Foucault nelle sue lezioni dal titolo l’ermeneutica del soggetto:   sarebbe già qualcosa in questo letamaio di falsità e di menzogne.
   
 

Forse un mattino andando in un’aria di vetro come scrive Montale   in Ossi di seppia vedremo ciò che occorre, una folata di vento  che solleva nuovi aromi. Forse è il vuoto la vera sostanza del mondo, il corpo mondo e il mondo corpo  che giocano  ai confini dell’universo in una danza infinita con la materia oscura. Salvare il pianeta significa proprio ricollegarsi e unirsi a questa danza.        





Indice delle immagini
1 – Francesco Correggia, Faremo gli occhiali così, olio su tela mis.1,20x 1,60 2019
2 -  Francesco Correggia in occasione della mostra dedicata a Blanchot, 2015
3 – Lucas Cranach, Les amoreux, 1472
4 -  Donald Sultan, lemons, 2002
5 - Anonimo,  Testa di morente
6-  Anonimo, comandante militare, 1500
7 – Foto scattata in occasione della mostra alla Fondazione Prada curata da  Wes Anderson e Juman Malouf,  2019
8– Sofonisba Albissola, Le sorelle della pittrice, 1550
9 . Christo, land-art la nuova sistemazione del lago d'iseo, 2016
10 - Mendieta, Ana  Silueta Muerta 1978 
11 – Pistoletto, piantumazione Installazione  nuovo Paradiso.  Residenza d’artista  nel Sannio, Arpaise
12 – Mark Dion, Radical Nature, 2002
13 -  Henri Matisse, La Dance, 1910
14 – Francesco Correggia , re birth, 2019

Saturday, November 2, 2019









L'editoria e i libri



Quasi ogni mattina mi reco al RED, bistrot libreria  in Porta romana. Mi siedo al tavolo, prendo un cappuccino e consulto i libri esposti nelle vetrine. E’ un’abitudine che mantengo fin dai tempi in cui abitavo in via Faruffini. Anche in quel caso era la Feltrinelli in piazza Piemonte ad essere la meta delle mie peregrinazioni mattutine. Queste buone consuetudini non sono venute meno anche se lo scoramento e il disgusto per i titoli e gli autori esposti sugli scaffali in bella evidenza continua a tormentarmi. E’ così anche adesso. Di solito cerco di individuare qualche nuovo autore ma poi non appena comincio e mi inoltro fra le pagine del libro la noia e la rabbia continuano ad alimentare il mio disgusto. Cosa sono questi libri? Chi li ha scritti e perché mai sono stati pubblicati?

 

Che ormai non ci sia più una buona letteratura o una scrittura che sappia raccontare senza usare frasi leziose e retoriche è ormai una questione che scopre i nervi scoperti della cultura italiana che non sa più pensare, parlare, raccontare. Molti dei libri esposti con così grande cura insieme a libri con dei titoli suggestivi sono scritti da giornalisti televisivi, scrittori mediocri che appaiono in televisione, vecchie volpi della società dei consumi e dei media, opinionisti dell’ultima ora, falsi sciamani, urlatori e cialtroni. 

 

L’elenco sarebbe lungo ma per il lettore avveduto è facile individuarli. Faccio solo alcuni nomi: si va da Augias a Concita De Gregori e Chiara  Gamberale, da Elena Ferrante a Mauro Corona,  da Alessandro Baricco a Gianrico  Carofiglio, da Sgarbi a Giovanni Floris da Michela Murgia a  Ferruccio De Bortoli.  Tutti sempre  in televisione a partecipare a un qualche dibattito e a pubblicizzare i loro libri. Si invitano tra loro senza alcun ritegno.  Gli editori li pubblicano perché fanno cassa, sono conosciuti, esaltati, decantati, ammirati. Tutti pubblicano libri, dalla presentatrice, al magistrato, dall’opinionista al cantante ma nessuno è davvero uno scrittore che si avvicina alla letteratura. Basta essere  nel sistema integrato televisivo e mediale che il libro viene pubblicato e pubblicizzato mentre gli altri scrittori, quelli fuori dal sistema dei media,  anche se  originali e bravi devono aspettare oppure essere rimandati all’infinito o ancore peggio annichilirsi e morire. 
  
 


Tutto questo, blocca ogni crescita, ogni nuova possibilità. Il sistema non si rinnova ma rimane chiuso in se stesso. Una situazione del genere non solo è scoraggiante ma è anche pericolosa. Autoalimentarsi senza rinnovarsi crea un regime, una dittatura. Spesso i messaggi che arrivano dai media si confondono con le scritture di questa orda di nuovi tecnocrati della narrativa contemporanea.  Non ho alcun dubbio che i  libri di questi celebrati divi  si vendano, siano richiesti, esibiti anche se ottenebrano, accecano le menti  di chi li legge e li compra. Leggere buona letteratura ormai è diventato difficile, quasi impossibile, bisogna passare nel  retrobottega delle librerie, cercare  fra scaffali polverosi e nascosti. Per trovare l’Uomo senza qualità di Robert Musil o La Recherche di  Marcel Proust per non parlare di autori come Carl Ove Knasusgard, Roberto Bolano, Julio Cortazar, Mario Tobino, Giovanni Arpino, Giuseppe Berto, bisogna esplorare percorsi quasi segreti o rivolgersi al commesso che il più delle volte ti risponde: per il momento non lo abbiamo  ma lo faremo arrivare.

 


La domanda si ripropone: siamo proprio in un regime mediologico, in una società globale dello spettacolo, feroce e maligna che fa saltare il linguaggio e distrugge la lingua parlata  come aveva anticipato Guy Debord, oppure siamo in un mondo dove la cultura, l’estetica  e l’arte rispecchiano la nostra società, i suoi processi di produzione capitalistica   come aveva scritto György Lukacs ?  Direi proprio che è così . Il tecnocapitalisno finanziario vive di questi stereotipi,  modelli a cui sottostare alimentando la sottocultura, la falsificazione a tutto spiano. Capitalismo, media,  potere, sesso e apparizione si riconcorrono  nella logica di un nuovo populismo,  dell’ingiustizia, della violenza.   

 

  
L’assedio è totale e investe tuti i mezzi di comunicazione. Non ho vergogna ad affermare che guardo spesso la televisione, soprattutto la sera, prima di addormentarmi. Guardo soprattutto qualche buon film o qualche programma di storia ma spesso mi capita di guardare programmi di conversazione politica, di attualità. Orami debbo eliminare alcuni programmi come Carta Bianca di Bianca  Berlinguer. Non sopporto più di veder Mauro Corona, scrittore, alpinista e scultore ligneo, un invenzione catastrofica della sinistra italiana. Egli appare come una star, vestito come un pirata, sebbene oramai frequenti e soggiorni in alberghi di lusso, altro che boschi. Mario  Giordano nel suo programma:  Fuori dal coro grida, salta,  sbraita come un  ossesso  dello spettacolo, anche lui ha capito che per farsi ascoltare occorre non essere  fuori dal coro ma nel coro come gli altri personaggi televisivi, gridare, esaltarsi, ingiuriare. 

 

Sempre più  sono  i libri di  costoro  ad essere esposti a  bella posta tra le novità librarie.  E’ un vero e proprio tormentone, un festival delle banalità. Tra i programmi che fanno informazione pubblica, come non citare Agorà, per il suo soporifero e prevedibile confronto politico  o Che tempo che fa con Fabio Fazio. Anche in questo ultimo  vengono invitati personaggi illustri da Saviano a Turturro.  Per darsi un tono si invitano alcuni  mistici della cultura italiana, anche questi sempre gli stessi;  Il Filosofo Cacciari,  Fusaro, Rampini, Sgarbi anche loro  a recitare il loro credo, a farci la lezioncina filosofica, letteraria. Ma qui almeno si usano parole discrete. Le credenze si mischiano con la letteratura. Sfuggire diventa quasi impossibile, bisogna ascoltarli anche se dicono banalità a meno che  non si voglia  cambiar paese  e andarsene lontano. Ma dove ?


 

Da qui emerge un’altra questione cioè l’identificazione nefasta fra comunicazione e informazione, immagine e realtà. Fare comunicazione non è la stessa cosa che fare informazione. Si può benissimo comunicare qualcosa di falso. La pubblicità e la comunicazione vanno a braccetto creando una specie di onda lunga del falso (fake news)  che invade la vita quotidiana. Un’altra cosa è fare informazione. L’informazione ha sempre a che fare con ciò che accade, è accaduto, con ciò che è reale, che deve essere verificato e diffuso.  Informare qualcuno  su qualcosa dovrebbe avere  un carattere eminentemente oggettivo, scientifico. 
 
 

L’informazione va dall’emittente al ricevente attraverso un canale, codici di riferimento condivisi, una verifica dei codici che un tempo erano verbali e ora sono anche visivi. L’oggetto dell’informazione deve essere riconosciuto, accertato, verificato, dalle parole, dal linguaggio, dai fatti.  L’informazione attiene quasi sempre qualcosa di nuovo e di veritativo,  qualcosa che deve essere saputa, conosciuta. Purtroppo anche per quanto attiene l’informazione c’è una manipolazione.


 


Essa è possibile attraverso le nuove tecnologie elettroniche che modificano l’immagine e la rimettono in rete, falsificando la realtà. Le parole non fanno altro che rivestire l’immagine di apparente verità . Ecco perché dobbiamo sempre di più controllare l’immagine, saperne di più. Esercitare il diritto all’informazione è importante ma occorre anche verificarne i contenuti, la provenienza, le immagini, le parole, le manipolazioni tecnologiche.  

 

Purtroppo non abbiamo nessun paradigma a cui richiamarci e perciò crediamo a tutto quello che ci viene propinato. Siamo da soli. La sparizione dei paradigmi corrisponde anche a una banalizzazione della storia e alla sua contraffazione. E’ in questo modo che s’inquinano non solo il pianeta ma anche il nostro modo di pensare, di vivere. L’ecologia dovrebbe passare  anche dai nostri modi di pensare e guardare le cose. Purtroppo non è così.

 

Di chi è la responsabilità di questo disastro, di questa  mediocrità inter mediale, di questo strapotere dei media, di questa messa al bando della buona letteratura  oggi che si parla sempre più spesso di sostenibilità, di lotta all’inquinamento ?
La responsabilità va ripartita su vari piani: quella dei media televisivi, di internet delle reti sociali, mi pare abbastanza evidente.  

 
     
C’è poi la responsabilità degli editori appiattiti alla logica del  mero commercio,   così  come accade nel mondo dell’arte. Le gallerie, le fiere dell’arte,  le aste  sono diventati luoghi  ciechi della falsificazione, della copia, della  banalità,  dello spaccio di merce di basso profilo  estetico, critico e artistico. I cosiddetti artisti  cortigiani del sistema economico finanziario sono corresponsabili di questo abbassamento del livello, critico ed estetico.



E’ palese  la responsabilità di alcuni personaggi politici che hanno provveduto ad identificarsi con lo spettacolo integrato della comunicazione eliminando ogni apparato critico, teorico di lettura delle immagini e  ogni pensiero capace individuare la complessità dell’epoca attuale e le derive razziste che ad esso corrispondono. Una responsabilità delle istituzioni che sono conniventi con chi esercita il potere del controllo delle masse e dell’opinione pubblica. C’è ancora il ruolo della scuola e dell’educazione che non aiuta i giovani a pensare in maniera riflessiva
Responsabilità  grave della pubblicità che crea stereotipi falsi,  modelli di riferimento erronei. Un giornalismo senza alcuna dimensione etica a volte irresponsabile e corrotto. 

 

Tutto questo paradossalmente non solo blocca un paese e il suo modo di esprimersi e guardare le cose essenziali, ma favorisce la  corruzione,  inquina la nostra società nel profondo e lo stesso pianeta. Da qui dovrebbe partire una ecologia globale, sana e responsabile, dal linguaggio, dalle cose che diciamo e scriviamo, dal modo di raccontare.   Forse occorrerebbe un ospedale delle parole, una specie di pronto soccorso della lingua dove la parola ritrovi la sua natura originaria, la sua nobilita e sapienza.


 
 
Per quanto attiene i libri e la letteratura bisogna  infine  comprendere che essi sono la chiave insieme al mondo dell’arte per capire l’epoca in cui viviamo. La letteratura non è solo racconto del reale ma di ciò che sta dietro  quel che sembra reale.  Il suo compito sarebbe quello di smontare le credenze a cui siamo legati ed  aprici ad un pensiero riflessivo che appunto sappia dirsi e tradursi in scrittura, in racconto. Sappia cioè guarirci dal male oscuro della banalità  e della mediocrità che imperversa nel nostro be paese. 

 


Immagini:
1   Francesco Correggia in ospedale
2   Gaz a tous les étages
3   Marcel Duchamp, perché   non starnutisce
4  Libreria Feltrinelli interno
5  Giuseppe Chiari, i sei scalini sono la musica, 1979
6  Hanna Hoch, address book 
7  Mauro Corona
8  Hugo Ball, Almanacco
9  Kurt-Schwitters  Haus Merz House Merz 1920 Photograph Archive
10  Michela Murgia
11  Robert Musil
12 Marcel Janco, ballo a Zurigo,  1917
13 Tristan Tzara
14  Theo van Doesburg, la rivoluzione dadaista
15  Francis Picabia , occhio cacodilato 1917
16 Water  Benjamin,  una pagina  del libro : Sul concetto di storia
17  Francesco Correggia, dicente. 2019