Wednesday, February 6, 2019

ai bordi dell'arte


La metaforica dei bordi.  Naufragio e trascendenza

Ho sempre pensato che la metaforica del naufragio fosse rivelativa rispetto al vissuto dell’artista. Il mare e la navigazione, il rapporto con la terraferma sono indici della problematicità della relazione fra artista e opera. Sono la pagina bianca. Se è vero che l’opera non è mai compiuta e che essa ci lascia nell’incompiuto nel cui spazio muoriamo come scrive Edmond Jabès è anche vero che la metaforica del naufragio è assimilabile a quella dell’opera dove i nostri vocaboli costellano le notti del pensiero tra mare e cielo. Due premesse caratterizzano la pregnanza della metaforica di navigazione e naufragio: il mare come confine assegnato dalla natura verso l’ignoto che caratterizza lo spazio dell’impresa umana e d’altra parte la sua sfera dell’imprevedibilità, dell’anarchia del disorientamento. Ci sono altri elementi caratterizzati dalla liquidità: l’acqua e il denaro, quest’ultimo è caro ai mortali come la vita.  In quest’ambito immaginativo il naufrago è una specie di figura legittima della navigazione mentre il porto o la calma di mare sono l’aspetto ingannevole di una contrapposizione tra una metaforica dell’esistenza disponibile al guadagno e la sua paradossale ed interminabile crisi.  Mentre chi affronta il mare sa del rischio che incorre e non teme il naufragio chi resta sulla terra ferma  entra in un’ottica che non è estranea a quella dello spettatore.  Essa è assimilabile alla figura di chi guarda l’opera d’arte o meglio a quella del collezionista. Egli è come un estraneo e tuttavia è partecipe, osserva con attenzione tutti gli elementi che possono essergli utili, su cui approfondire e magari fargli decidere per l’acquisto dell’opera, ma preferisce non coinvolgersi nella sfida che l’artista intraprende con l’opera e con i suoi marosi. 

  
La figura del naufrago è solo possibile se ha un osservatore esterno che guarda inerme la sua lotta per sopravvivere. Molte volte il naufrago vi  riesce  e si costruisce  una nave con i resti del naufragio.  Con lo spettatore si  chiude lo schema della metaforica del naufragio e se ne apre un altro quello della trascendenza.  Scrive Blumenberg: il fenomeno metaforico e il fenomeno reale dell’attraversamento del limite  della terraferma alla volta del mare, si sovrappongono uno all’altro, come il rischio metaforico e il rischio reale del naufragio. Ciò che spinge l’uomo sul mare aperto è anche la trasgressione del limite dei propri bisogni naturali. Tuttavia bisogna considerare che tutta questa metaforica  è intrisa di uno  spirito  romantico. Ci si spingeva in mare alla ricerca di un cambiamento, di una possibilità.  Non era solo  un modo per fare fortuna. Si trattava del proprio rapporto con il mondo  e i naufragi erano il prezzo da pagare.
Ora il mondo è capovolto si rischia il naufragio non per fare un’esperienza letteraria, per affrontare le forze incontrollate dei venti e dei mari e sfidare la natura    ma  si fugge via per necessità. Si affronta il mare aperto anche in brevi ed estenuanti traversate per fuggire dalla guerra nei propri paesi,  per  sopravvivere. La metaforica del naufragio si aggancia a quella  dell’esistenza, alle problematiche planetarie, ai flussi migratori,  alla fame nel mondo.



Se prima lo spettatore mirava dall’esterno lo scenario del naufragio limitandosi ad una contemplazione immobile e comunque sublime e radiosa ora non può più farlo. Egli non è più la figura di un’esistenza d’eccezione del saggio ai margini della realtà. Lo spettatore   non può permettersi di essere estraneo e contemplare dalla terra ferma ciò che accade sul mare. L’occhio non può solo cogliere ciò che emerge ma deve farsi interrogante. Non più nella distanza ma ai  bordi del mondo tangibile. Essere ai  bordi significa entrare in contatto con la realtà senza penetrarvi del tutto. Sono proprio le nostre protesi tecnologiche che ci consentono di osservare dallo schermo ciò che accade intorno a noi. Sono loro i nostri bordi.
Qui l’ottica s’inverte. Il naufrago si dispone ai bordi dell’esistenza  e gode del frutto di quella sregolatezza, di quel destino che lo condanna  a prendere ancora il mare. L’artista nella metaforica del naufragio non si offre più allo spettatore che lo guarda mentre fa naufragio  ma lo  oltrepassa. La trascendenza è la nuova condizione del  navigante dell’arte e del farsi una nave con i resti del naufragio  dal suo bordo; un bordo di altri bordi. Egli riesce  a navigare ancora sul mare,  nonostante i naufragi subiti e non ha più spettatori che standosene all’esterno guardano indifferenti il naufragio.
Il bordo non è la cornice di un quadro o stare al  bordo di essa, ma è stare in bilico, nella sponda, nel  confine fra l’interno del quadro e il muro. Fra la pittura e ciò che la contiene e la fa essere altrove. Il bordo è l’altrove del quadro, è lo stesso attraversamento, non è mai  cornice che invece racchiude ma non apre al muro, e cioè all’immensità del naufragio e della sua metaforica. 


 Stare  ai bordi significa vivere nel limite, sopravvivere al naufragio e guardare a sua volta lo spettatore che ha perso la sua possibilità di contemplare ciò che è altro, che lo trascende. Ora entrambi, il naufrago e lo spettatore,  sono ai bordi di ciò che li trascende tra il mare e la terraferma. Scrive Jaspers:  L’esistenza è in grado di comprendere se stessa nella sua libertà solo quando percepisce, nello stesso atto, ciò che è altro da essa.  L’incondizionatezza  e i modi dell’essere appaiono per la metaforica nautica  come prospettive per il pensiero. 
Il pensiero stesso diventa  l’essere.  L’essere dei modi della trascendenza  si separa dall’immagine  e dal vedere, nel mare dell’opera e della sua sparizione. E’ da qui che l’artista/naufrago costruirà la sua opera futura  con che quel che resta del naufragio, la nave  che lo porterà  sulle rive della possibilità. Il naufrago non pretende la salvezza ma solo   la  possibilità di tornare ad essere nella trascendenza. Solo nel naufragio di quella ricerca , che voleva incontrare l’essere puro e semplice  si giunge al pensiero sull’arte. A quel pensiero che parte dall’esistenza possibile. E’ il suo  metodo  alla trascendenza che inverte la rotta dell’artista/naufrago verso approdi inusitati.
 Il mare aperto dell’opera pretende il silenzio, la non rappresentazione, la rinuncia a ciò che produce corruzione e inquinamento. Pretende che essa non venga vista e osservata, ma  sfiorata nel suo essere per altro sui bordi  dell’esistenza, in quel porto della trascendenza cui essa aspira.  Un non ente.
L'essere, non è un ente immutabile che risponde a rigide leggi logiche oggettive e deterministiche, ma un'ulteriorità, un qualcosa che sempre si arricchisce di significati, che si mostra, ma nel mostrarsi comunque si allontana dalla possibilità di una definizione definitiva. Il bordo è stare in bilico sul nulla e pretendere di attraversarlo, di coglierne la cifra.



L’esserci così si rende visibile solo nella trascendenza. Se io permango in essa  allora sono veramente capace di restare in piedi e guardare il volto dell’altro, di essere pieno   nella perdita, vuoto nella sazietà, senza punto di riferimento nel succedersi dei giorni eppure così vivo.  Sono finalmente nella finitezza pur pensando l’infinito. Sono, dunque, capace di ricominciare con quel che resta  del naufragio. Infine stare ai bordi vuol dire essere  naufrago ma al contempo spettatore. Naufrago perché prima o poi le onde, le tempeste ti faranno vacillare e cadere dal bordo. Spettatore perché tu stesso assisti al tuo naufragio, poiché non c’è più nessuno fuori che può vedere,  da dove puoi   guardare. Non c’è salvezza  ma solo l’abissale calarsi del fuori nel dentro, nell’immanenza della propria posizione, dove niente si può distinguere e solo la trascendenza può raccogliere i pezzi di quel che resta del naufragio.