Sunday, January 17, 2021

Del come vivere

Del come vivere
Di che cosa abbiamo bisogno per riuscire a conservare il dominio di noi stessi di fronte agli eventi che possono accaderci? Abbiamo bisogno di discorsi veri e razionali rispondono gli antichi. Sono questi discorsi che ci permettono di affrontare il reale e di vivere una vita saggia, equilibrata e rispettosa del pianeta che abitiamo.
A tale proposito si pongono tre questioni: la questione del modo di esistenza di tali discorsi veri, della loro natura, la questione dei metodi di tale appropriazione, l’importanza dell’ascolto, l’importanza della scrittura e delle pratiche ascetiche legate alla reminiscenza, alla rinuncia, allo sguardo verso se stessi, alla cura dell’anima. Si tratta di una pratica di sé, di una pratica interiore che comporta dei veri esercizi spiritali. Essa ha il significato di un’ingiunzione, e precisamente un’ingiunzione che ha valore in relazione all’intero svolgimento dell’esistenza.
La pratica di sé come sostiene Foucault nel suo corso: L’ermeneutica del soggetto, si identifica e deve far corpo, ormai, con la stessa arte di vivere. Arte di vivere e arte di se stessi, si identificano, sono diventate la stessa cosa. Per raggiungere un’interiorità che sappia guardare il mondo e comprendere il discorso vero occorre un rovesciamento, un ribaltamento da ciò che ci sembra essere la realtà, verso se stessi per poi arrestarvisi, immobili, definitivamente.
Occorre guardare dentro se stessi, distogliersi da tutto ciò che è esterno a sé per poi rivolgersi di nuovo all’esterno e guardare il mondo, saperlo guardare, interrogare. Ci avviciniamo così alla nozione di conversione. Una conversione del sé che si rivolge alla natura del nostro essere, a qualcosa che ci connette all’altro e al divino.
Quel che c’è di grande in tale conversione è avere la propria anima, come diceva Seneca, a fil di labbra e pronta ad andarsene. Si potrà pervenire al sé, solo percorrendo quel grande ciclo del mondo che è conoscenza della natura e della totalità del mondo, ma che sappia anche rinunciare alla vita, pur amandola. La stessa vecchiaia per l’urgere di questo cammino è sibi vacare come diceva Seneca, il che vuol dire volgere il proprio sguardo verso la contemplazione di sé, nel movimento stesso della fuga del tempo. Il che ha a che fare con le grandi domande sull’esistenza; domande che l’epoca in cui viviamo ha cancellato. Domande sul come vivere, che valore dare alla vita, cosa accade nell’aldilà, esiste un “oltre” altro da qui?
Per raggiunger la pienezza del sé occorre, come scrive Seneca nelle sue lettere a Lucillo, essere virtuosi e vincere i propri vizi e non avere paura della morte. Significa essere liberi dalla servitù delle cose inutili, che non hanno senso per il nostro vivere in sintonia con la natura, con il tutto. Ma in che cosa consiste questa pratica del sé, questa conversione di se stessi verso il tutto della natura ?
Così dice Foucault nel corso L’ermeneutica del linguaggio tenuto al College de France: La forma iniziale all’ascesi è concepita come soggettivazione del discorso vero nel fare propria la verità ovvero nel diventare soggetto d’enunciazione del discorso vero. A essere al contempo il primo momento, la prima tappa, ma anche il supporto permanente di tale ascesa, intesa come soggettivazione del discorso vero, saranno tutte le tecniche e tutte le pratiche che riguardano l’ascolto, che riguardano la lettura e la scrittura e il fatto di parlare. Ascoltare , sapere ascoltare come si deve, leggere e scrivere come si deve e inoltre parlare come si deve, è tutto questo a costituire, come tecnica del discorso vero quello che sarà il supporto permanente della pratica ascetica. In primo luogo l’ascolto come pratica di ascesi, in secondo luogo la lettura e la scrittura, in terzo luogo infine la parola.
Questa conversione può essere intesa come un viaggio che porta a riconsiderare la ricchezza dell’esistenza non più come servitù ad un sapere che induce a portarci lontano dal vero discorso ma come ricchezza interiore, salvezza, transizione. Non si tratta di trovare una verità nel soggetto, né di fare dell’anima il luogo in cui per un‘affinità d’essenza o per origine la verità dovrebbe risiedere, e neppure di fare dell’anima l’oggetto di un discorso vero. Il problema è, al contrario, quello di armare il soggetto di una verità che in precedenza questi non conosceva e che non risiedeva in lui; il problema è fare di una verità che è stata appresa, memorizzata e progressivamente applicata, un quasi oggetto che regna indelebilmente in noi.
Tra gli esercizi che gli antichi consideravano necessari per la pienezza del sé oltre a quello celebre della “meletè thanàtou” (meditazione o piuttosto esercizio della morte) e che sono ancora ora di grande attualità, vale la pena ricordare quelli di Epitteto nelle diatribe. Oltre all’esercizio sulla “meditatio” ed “excercitatio”, penso soprattutto a quello che potremmo definire “il controllo delle rappresentazioni”. Epitteto esige che, nei confronti delle rappresentazioni che possono emergere all’interno del pensiero, si adotti un atteggiamento di sorveglianza, un atteggiamento di sorveglianza permanente. E’ un esercizio che possiamo benissimo paragonare a ciò che oggi dobbiamo adottare, se vogliamo salvarci e interpretare le immagini che ci attraversano.
In questa dimensione l’artista, soprattutto oggi con la pandemia che sembra non volersi arrestare, la mancanza di una morale civile e l’intangibilità dei corpi che non si toccano più, può ritrovare le vere ragioni del suo fare. L’artista si ricongiunge ad un’etica che diventa l’essenza stessa dell’arte contemporanea, la quale corrisponde a quella dell’estetica dell’esistenza. La virtù dell’esistenza, così diventa anche la virtù dell’arte che non è tecnica o applicazione, ma svelamento delle immagini, del loro potere di seduzione e al contempo pratica concettuale.
Se il cammino dell’arte contemporanea è qualcosa che ha a che fare con la vita stessa, con ciò che accade e non è solo universo rappresentazionale, allora le pratiche del sé, dell’uscita dal sé, il discorso vero, assumono un ruolo di primo piano per l’artista. E’ solo in questo modo che possiamo comprendere il versante etico dell’arte contemporanea. L’arte, in quanto rigeneratrice di senso, riprende un ruolo di svelamento e di interpretazione della natura delle immagini, una dimensione edificante, non solo con esse, ma anche con gli stessi modi del pensare, della meditazione intorno al Mondo e intorno alle pratiche del soggetto. L’arte contemporanea, anche se non è del tutto compresa, ci esercita ad una conversione dello sguardo, ad un modo di essere nel reale che possiamo considerare ascetico ed etico. Si tratta ancora di più di una pratica del sé che consiste proprio nel discorso vero sulle immagini e di conseguenza anche sull’arte e del come vivere bene..
immagini 1 Francesco Correggia 2 Adrian Piper 3 Ritratto di Michel Foucault 4 Twombly, leda e il cigno 5 Ozu Sotia di erbe fluttuanti 6 Il tuffatore di Paestum 7 J. Baldessari Beethoven's Trumpet (With Ear), 2007 8 Erik Dietman, wandhaff, 2017 9 Busto di Seneca 10 Marcel Broodthaers, Pense-Bête (Reminder), 1966 11 Vito Acconci multi bed 1992 12 Francesco Correggia, udire l'indicibile, 2010