Thursday, June 20, 2019










Il sistema dell’arte, la comunicazione e l’estetica triste

Tutti sappiamo, senza entrare nel merito degli aspetti ormai conosciuti della diffusione e circolazione dell’arte contemporanea, che muoversi nel vasto territorio dell’arte vuol dire fare sistema, creare relazioni tra diversi soggetti dell’arte.   Anche se l’arte ormai è sempre più un fenomeno di  mercato globale, ciò che ancora  caratterizza la sua  singolarità  è proprio la  tendenza all’internalizzazione, a una prassi di sistemi misti, mediali, economici e sociali,  in una maniera e in una logica sempre più aperta e dinamica. Le parti di questo sistema, il quale si presenta come un tutto ben registrato  sono: artisti, gallerie pubbliche e private, istituzioni culturali, musei di arte moderna contemporanea, collezionisti, fondazioni, manager, curatori, critici, riviste di settore, alcune biennali e fiere internazionali. A queste figure dobbiamo ora aggiungere le aste internazionali, le fiere, e le vendite on-line. Il meccanismo oltre a espandersi si fa più complesso. In qualche misura rispetto all’arte moderna c’è uno spostamento, una specie   di ribaltamento delle orbite assiali dell’arte e della sua diffusione.  

 
Art Dusseldorf, 2018

                                          
Non vogliamo  qui fare un elenco definitivo dei  soggetti dell’arte,  bensì  rimarcare quanto questo insieme sia molto mobile e veloce e riguarda anche la realtà di un paese, di una nazione, di una geopolitica globale, di un’economia.   E’ altrettanto noto che il Mondo dell’arte è sempre più un sistema di relazioni su diversi piani culturali, sociologici, antropologici, politici.  Proprio per il fatto che l’arte contemporanea è contemporanea solo a se stessa, la sua unica realtà è quella della sua operazione in tempo reale, e del suo confondersi con la realtà.  Niente più trascendenza verso il passato o il futuro. L’operatività dell’arte contemporanea è solo un gioco speculare con il mondo così  come esso ha luogo ed è  per tale ragione che l’arte  è molto più esposta alle logiche del  sistema finanziario ed economico, riflettendone le logiche e  anche le crisi . 

                               
                                             Saatchi Gallery is a London gallery for contemporary art,


Lo vediamo soprattutto oggi proprio in Italia dove gli artisti o presunti tali fanno  fatica ad affermarsi nel gioco degli specchi dell’arte contemporanea. Il contrario è avvenuto negli altri paesi come la Germania, la Francia, l’Inghilterra, gli  Stati uniti. Essi hanno favorito lo sviluppo dell’arte, imponendola a livello mondiale, difendendone la ricerca, attraverso varie forme d’interventi istituzionali  tra pubblico e privato  con la creazione di spazi appositi per la diffusione dell’opera d’arte contemporanea, dai Kunstverein, al Turner prize, dalle Gallerie a capitale misto  alle Fondazioni, ai centri culturali polifunzionali, ai nuovi Musei che costituiscono il fondamento di tutto il sistema fino ad arrivare  a politiche di  detassazione per chi compra arte contemporanea. Questa logica istituzionale è stata comunque accompagnata da scelte selettive, nel ricercare non solo una logica commerciale ma anche una dimensione interrogante intorno al senso del fare arte.  Da noi sembra che esista  solo  il turismo che prende d’assalto le biglietterie  delle mostre più gettonate, le chiusure dei porti e un’intolleranza verso il diverso davvero preoccupante. 

                                Show cooking

Con la fine del  Postmoderno e la crisi  delle società occidentali si è accelerato il processo di decomposizione critica rispetto alla realtà politico e sociale. Nell’arte è accaduto non solo qualcosa di analogo ma addirittura uno sradicamento, una sostanziale assenza di linee teoriche e di impegno rispetto alle cose del mondo. Ora   è  sempre più necessario cambiare il modo con cui l’opera d’arte deve esser letta, esperita, guardata, offerta al pubblico.  Lo stesso meccanismo con cui finora l’arte contemporanea si è consolidata in una forma di sistema, appare proficuo per il collezionismo soprattutto nei paesi dove gli investimenti sul contemporaneo  sono stati forti e sostanziali, e hanno permesso di resistere alla crisi finanziaria.  Questo  sistema in Italia  non esiste. Riusciamo a produrre tante mostre, forse più che negli altri paesi, ma  sono  mostre inutili, celebrative senza alcun  senso. Esse servono solo alla voglia di protagonismo del curatore e al giovane artista che vuole emergere;   lo sguardo rimane di breve gittata e una nausea improvvisa sale dallo stomaco. La politica poi in questo nostro paese fragile e imprevedibile ignora totalmente l’importanza dell’arte non solo come fatto culturale,  crescita  e conoscenza del mondo e delle visioni che se ne hanno ma anche come questione del reale, elemento  economico e finanziario.     


 
  Brassai, Matisse in satudio

 Le cose dell’arte sono molto più complesse di come il sistema politico del nostro paese le vuole ridurre. Mostrare l’opera d’arte contemporanea al più grande pubblico,  esporla nelle fiere, nelle biennali di prestigio, nei musei accreditati,  darle senso e valore solo attraverso il culto celebrativo delle aste e del solito circuito di diffusione e di mercato è solo un’operazione, tecnica, pubblicitaria, mediatica che niente ha a che fare con l’opera d’arte ma solo con il populismo delle mode. L’arte si è svuotata di senso e gira intorno al non senso poiché   la stessa opera pretenderebbe il silenzio, la vasca protettiva del riconoscimento non del pubblico ma della sua  estraneità rispetto alla mercificazione. Ciò che vorrebbe l’opera non è solo essere vista  ma guardata  come   l’affermazione  della sua essenzialità ermeneutica, della sua costante opposizione, della sua natura simbolica. Accade invece il contrario essa è allineata all’insignificanza , ha come unica destinazione finale un universo fluido della comunicazione,  delle reti e dell’interazione.


 
 H.R. Ginger sarnen


Nel continuo ribaltamento tra alti e bassi, guadagni e perdite è tutta la logica di diffusione e comunicazione dell’arte tra Istituzioni pubbliche e private che deve essere sostanzialmente riletta e rimessa in discussione. In Italia i Musei dell’arte moderna e contemporanea  si reggono a stento con i proventi della vendita dei biglietti e di qualche donazione privata. Il resto è affidato al caso e molto dipende dalle competenze del Direttore del Museo che molte volte è una nomina politica, messo là per far da cuscinetto tra l’incapacità dei governanti a comprendere l’importanza dell’arte nella sfera pubblica ed economica  e le consuetudini ai favoritismi e alle clientele.  Non si sono create quelle sinergie fra Gallerie,  Fondazioni e Istituzioni museali,  tranne in rari casi, in grado di creare un sistema compatto ed efficace di circolazione dell’arte, di approfondimento e di criteri selettivi  e scientifici nell’organizzazione delle mostre. Tutto è affidato  all’improvvisazione. e alle simpatie dei membri di commissioni scientifiche incompetenti ai quali i direttori del Museo spesso affidano  la programmazione.      

                                                    Miecke Bal  DeathScene, installazione, 2016


In questo caos generalizzato dove il Museo di arte moderna  smarrisce il suo ruolo educativo ed istituzionale la  Galleria  rimane nel bene e nel male, nonostante tutto,  il punto di riferimento per l’artista e il pubblico. Essa , come accade nel resto del mondo dell’arte,   se sa far bene il proprio lavoro,  non solo può proporre  e far conoscere  l’artista ma anche  far comprendere lo sviluppo, il contesto, le dinamiche in cui l’opera è nata,  la stessa sua  qualità.

                                Jenny Holzer  I've just been shot, 2017

 Così la Galleria può ancora porsi  come punto di riferimento per quelle strutture  istituzionali che avrebbero il compito di informare,   curare e proporre l’arte contemporanea a livello internazionale.  Il profilo del gallerista potrebbe essere determinante nel formulare progetti  e proporre artisti  nel circuito internazionale dell’arte.   Non solo il gallerista può spingere l’opera a essere riconosciuta dal collezionismo e dal pubblico ma, in qualche modo, egli pone il sigillo del suo sguardo  sull’opera dei suoi artisti e sulle loro linee di ricerca,  essendo responsabile delle scelte e interprete di un modo di pensare, di vivere l’arte, fra interpretazione e riconoscimento.

 
 Huang  Jong Ping,  for Monumanta , Paris 2016

Purtroppo anche le Gallerie  non riescono più a ricoprire quel ruolo di primo piano  che prima avevano insieme al critico e allo storico  e che li distingueva. Ora sono tutti schierati e appiattiti al mondo della moda e del design, tanto da  far pensare che l’intreccio leopardiano  fra moda e morte ora riguardi anche l’arte.  Il processo di decadimento dei valori dell’arte parte da lontano  e si mostra  con la crisi della modernità, l’avvento del post-moderno, la globalizzazione e le tecnologie tecno – mediali della comunicazione.  Che rapporto ha l’opera d’arte con la comunicazione ? Nessuno. L’opera d’arte non è uno strumento di comunicazione. L’opera d’arte ha piuttosto a che fare con l’informazione e la comunicazione in quanto atto di resistenza. Tuttavia non ogni atto di resistenza è un’opera d’arte, benché in un certo senso lo sia . Non ogni opera d’arte è un atto di resistenza e tuttavia, in un certo senso lo è. Così scrive G. Deleuze nel suo  libro: L’atto di creazione. 

                                      
                                       H. Chopin. MH. ensamble 2000

 Senza mettere al centro di questa resistenza la nozione di evento, ormai volgarizzata dalla moda e dalla diffusione mediale, un’opera resiste in quanto sa portare allo scoperto la visione, sa cioè portare allo sguardo ciò che ci riguarda.    Si tratta di strigliare la storia contropelo.  Guardare vuol  dire anche essere implicati nel processo della visione.  Non è solo semplicemente vedere quella forma, ma saper cogliere una possibilità di esplicazione, di rapporto etico, di conoscenza, riformulando il nostro linguaggio. Ci sono dei motivi ora urgenti per  impiegare il concetto di lettura dell’arte dimodoché    l’opera possa essere non solo guardata ma letta. Il concetto di lettura  può rendere ancora  più rilevanti le cose dell’arte, cioè le pratiche, le consuetudini, le tradizioni che trattano e si occupano di arte non solo per quella  del passato ma anche di quella del presente.

                                
                                               Bill Brandt, girls looking out of a window 1930


Questi aspetti sono ora ancora più determinanti in  una dimensione dove esistono due mali estremi, da una parte l’evasione, il cibo, il lusso e il divertimento e dall’altra una logica fin troppo finanziaria dell’arte con spostamenti di capitali prima impensabili.  Che fare se l’opera d’arte del presente non viene più percepita da noi  come questione di senso, di rapporto con l’essere che è, con l’esistente, con il mondo ma solo come  merce, prodotto che si può vendere anche in un mondo Uber, ?  Pensare che il  grande pubblico  che gira intorno al mondo dell’arte, delle fiere, delle Biennali, delle gallerie, delle aste di prestigio per un semplice investimento economico sia ciò  che da  valore all’arte e non possa esserci invece qualcosa d’altro è  fuori dalla sua vera essenza.  Proprio oggi che le questioni si pongono in maniera problematica e drammatica  il  credere che lo stato dell’arte sia immutabile rispetto alle cose che accadono nel resto del mondo, mi sembra più che un luogo comune, una mera banalità. . Tutti i sistemi, anche quelli economici soffrono di crisi endemiche periodiche, quasi irrisolvibili, ma è proprio da queste crisi che il sistema dovrebbe rinnovarsi, ripartire, guardare la storia e ricomprenderla.


 
 Sterling Ruby installation view 2014

Occorre dire che la distanza fra pubblico e collezionista sembra abolita. Oramai si può accedere a un opera d’arte contemporanea a prezzi ragionevoli e il pubblico sta diventando sempre più consapevole della posta in gioco. Il grande pubblico delle Fiere dell’arte, delle aste e dei saloni espositivi delle fiere del mobile e del design è sempre più numeroso e disponibile a comprare, magari per abbinare al mobile di design, un quadro di un artista che esalta con i suoi colori, l’arredamento.  Ed è proprio questa la deriva dell’arte , il suo essere assorbita in una situazione dove moda , design, e ludicità entrano al servizio di quello che oggi appartiene ad un’estetica triste;  il tele-tecno- capitalismo delle nostre economie avanzate, scrive Fabio Merlino nel libro: L’estetica triste.  Il mondo che si avvale del nostro gusto per rinnovarsi compulsivamente, è il mondo preso in ostaggio da una coazione accelerativa del capitale, la quale tende ad allineare ogni possibile  idea di crescita sociale e individuale alla propria  affermazione espansiva. E’ così che si realizza  l’appiattimento  a  fenomeni di attualizzazione di massa, come il turismo radicale  e spettacolare, il design e il cibo  che  hanno invaso tutti i nostri sensi e anche le nostre capacità di giudizio , di critica e di pensamento. In questo senso l’estetica non ha più effetti rasserenanti ma,  in un presente privo di orizzonti,  distruttivi. 

                            George Bellow Stag at Sharkey’s  1909. 


 Ora la domanda che si fa avanti è un’altra: che cosa il pubblico o lo spettatore e  collezionista tale o presunto si aspetta da un’opera d’arte e che cosa veramente gli si offre ?  Le fiere o le aste  sono i luoghi  più accreditati per mostrare  arte contemporanea, ma che cosa si mostra davvero ? Niente. Quel che si mostra in questi luoghi dell’atopia è la nientificazione dell’arte, la sua sparizione, è solo arte che guarda se stessa nullificandosi.  Le opere d’arte oramai sono moneta contante e la loro circolazione deve essere veloce ed efficace. Il meccanismo di valutazione consiste nell’aumento di  prezzo nelle classifiche delle vendite. E’ proprio in questa direzione che le vendite  on-line stanno scatenando  un effetto net-work sorprendente. Ciò significa che le vendite on line nel futuro potrebbero diventare l’asse portante delle nuove dinamiche di vendita dell’arte ? Nei mondi digitali accade spesso che un’azienda possa prevalere ed imporre i propri  ritmi sugli altri. Questo significherebbe  la fine della dimensione  conoscitiva  dell’arte, la sparizione dell’opera così come l’abbiamo ereditata dalla storia. Sarebbe, dunque,  tutto denaro che circola in rete, è questo che dobbiamo aspettarci, un mondo spettrale, senza senso?
Non bastano i tentativi maldestri e finti  di  rinnovarsi come Galleria che si trasforma da casa d’asta a spazio impegnato che ora  apre ai giovani e a qualche  artista considerato storico degli anni ottanta novanta, con mostre  curate da un critico  o una conversazione, un talk come vengono ora chiamati  e tenere accesa la fiamma delle teorie e del pensiero sull’arte   come accade per l’arte fiera di  Bologna. 


  Arte fiera, Bologna 2018

 Nel caso dell’arte fiera di Bologna  è proprio il  meccanismo selettivo espositivo che individua le gallerie più importanti ad esibire un unico artista  che in maniera paradossale fa venir meno la logica di mercato a cui le fiere dovrebbero richiamarsi. Il tentativo di darsi un tono culturale  paradossalmente    le allontana non solo da ciò che è un opera d’arte  come  prassi estetica ed etica della sua circolazione,  ma anche dalla stessa possibilità di fare mercato e di promuoverlo. Proprio quel che appare l’ottica espositiva e celebrativa delle fiere  finisce per rivolgersi contro la stessa sua logica espansiva, di apertura verso il pubblico.  L’opera si annienta nella super visibilità, nella super esposizione delle fiere per poi  riapparire nella circolazione mediale della comunicazione, nel web.   


                               
                                              Sylvie Blocher  S'inventer autrement 2014

La Galleria in questa circolazione intermediale  rischierebbe di sparire dalla scena.  Per farsi riconoscere essa deve  accettare di essere non solo  presente nelle Fiere dell’arte che ormai in Italia, oltre a quella di Bologna e Milano, sono tante, ma deve anche prevedere che in un mondo globalizzato  le vendite on-line e le aste on line  potrebbero sostituirsi ai modi  tradizionali di vendere arte compreso quello delle Fiere. E’ questa la ragione sorprendente per cui le Gallerie potrebbero  ancora svolgere un ruolo di primo piano. Il che potrebbe accadere  se la loro logica fosse  più propriamente quella di distinguere, fra falsificazione espositiva e verità dell’opera d’arte, proporne la lettura,  fare delle scelte,  discernere e operare tatticamente insieme agli artisti, non solo quindi  inseguire le logiche tristi del mercato.  


                                     
                                                      Ann Veronica Janssens, Magic Mirror Green, 2014


Il rischio diventa così  previsto e contenuto nel momento in cui si acquista un opera d’arte contemporanea in Galleria. Questo rischio è anche il piacere di mettere in gioco qualcosa di nuovo, di rivolgersi al futuro, di operare una scelta, in una prassi di libertà e di senso. Esso può diventare una dialettica operosa che avvia una dimensione etica facendo ripartire il mondo dell’arte. Quando sia l’artista sia il gallerista fanno resistenza nell’epoca dell’immaginazione lacerata e della tecnoseduzione delle immagini; qualcosa accade, si manifesta. Forse è proprio questo che fa dell’arte ancora un evento, un vero evento.   In tale contesto  è la relazione e non solo la mediazione che diventa determinante.

 
F. Correggia, Turn on The light 2015


Sunday, June 2, 2019







Imitatori, copisti ed epigoni

La falsificazione è un problema che ha scosso non solo il mercato dell’arte ma anche le fondamenta istituzionali della sua circolazione.   Ci siamo già espressi sul sistema della falsificazione  dell’arte e dell’arte della  falsificazione nell’articolo su La Stampa in web del 16 luglio 2015 e non vogliamo qui ripeterci. Quel che va ancora segnalato è che insieme alla falsificazione si sta sviluppando una tendenza alla copia, all’imitazione materiale dell’opera di un’artista da parte di un nuovo arrivato  che intende così imporsi nel circuito dell’arte. Fin qui niente di male se a essere ricopiati o li si reinterpreta in maniera autentica e nuova sono i grandi dell’arte moderna.  La questione diventa più preoccupante quando non c’è interpretazione ma solo un ricopiare. Questo triste fenomeno riguarda tutta l’arte contemporanea e non soltanto l’arte  moderna.  Non abbiamo più a che fare con la logica dell’Autsider art o della Street art  ma con quella dimensione ingenua e pericolosa del fare la pittura o meglio del non farla,  tesa invece a imitare senza alcun ritegno  linguaggi e tecniche   di artisti contemporanei ancora operanti.   



L’invasione di falsi quadri e di prodotti confezionati solo per il mercato è purtroppo sostenuta e promossa da parte degli stessi soggetti del mondo dell’arte. Il loro funzionamento sembra oggi derivare dal sistema finanziario che ha tutti gli interessi a elevare a rango d’investimento economico elevato qualsiasi cosa appaia come novità anche ciò che si presenta come rivoluzionaria, antitetica al sistema. Ne è un esempio Banski, un caso che ormai imperversa dappertutto. Banski fa dell’arte di protesta la sua bandiera commerciale, con guadagni incredibili. Egli è uno street artist, vandal, political activist, and film director.  Una sua opera che si autodistruggeva non appena venduta all’asta per centinaia di migliaia di dollari è l’esempio tipico della follia e delle bolle del mercato. Qualcuno sospetta che dietro Banski si nasconda una società finanziaria con le idee molto chiare di ciò che è il sistema dell’arte e di come trarne profitti illimitati.  Quest’arte non è altro che un prodotto del mondo dell’arte, e prodotto è la parola giusta, perché non comporta alcun rischio per l’istituzione, il mercato e il pubblico in un mondo (quello dell’arte) che è diventato fragile, insicuro e senza valori. 

E’ vero che il concetto di valore può essere una tirannia, qualcosa che può diventare vettore di ideologie nel suo porsi come assolutezza ed esclusività e di cui vale la pena liberarsene. E’ comunque altrettanto vero che la nozione di valore cui qui ci riferiamo non è  quella  relativa alle problematiche del sistema economico  ma a quella   dell’etica, o ancora di quel pensiero che origina dall’opposizione tra Terra e Mondo. Pensiero che apre alla verità e alla dimensione del Nomos e non all’arbitrio indiscriminato. 

Alla falsificazione dell’arte dunque si aggiungono questi artisti dell’imitazione,  che copiano le opere di altri artisti senza sentire alcuna gratitudine o debito di riconoscimento. Il saccheggio diventa paradossale poiché questi epigoni/copisti si fanno passare per artisti del presente che, da un punto di vista stilistico, non hanno alcun precedente, ritenendo di essere i soli a usare quella tecnica, quel modo.  Intendo qui chiarire che non mi riferisco ai copisti o amanuensi, definiti scribi nell’antichità che attraverso l’estenuante lavoro della trascrizione hanno permesso la salvaguardia del patrimonio culturale antico ma a quei personaggi che girano nel mondo dell’arte e che letteralmente copiano le opere di un altro artista facendosi passare per gli unici inventori di quello stile, di quel linguaggio. La sostituzione appare perfetta, soprattutto se si aggiunge all’opera copiata il fascino seduttivo dell’artista che la propone . 


Gli epigoni di oggi  non riproducono opere dell’arte moderna con firme false per poi inserirle nel mercato dell’arte ma copiano, con risultati spregevoli, artisti contemporanei diminuendone e svalorizzando la portata significativa della loro opera.  Spesso ahimè sono proprio alcune gallerie, il mercato, le fiere, le aste a ospitare questa merce, a favorirne la diffusione e a decretarne il successo sui media mentre gli artisti veri sono tenuti a distanza e quasi temuti poiché mettono soggezione, costruiscono mondi, sono scomodi e non si sottomettono.   L’importante è comunque vendere. In fondo questi artisti del saccheggio e dell’immediatezza sono in perfetta sintonia con ciò che il mercato richiede e cioè l’assoluto servilismo e compiacenza. 

 

L’elenco dei nomi di questi artisti che copiano è lungo e disarmante. Essi sono degli artieri, artigiani dello spettacolo integrato dell’arte, vogliono sfondare a tutti i costi, guadagnare, fare affari con il loro presenzialismo, con il loro cicaleggio. Essi  s’infilano dappertutto, in tutte le Gallerie, in tutte le situazioni. Il loro verbo è esporre senza alcun ritegno riproponendo lo stesso lavoro per poi passare a un altro diametralmente opposto.


Non si tratta di un’interpretazione dello stile di un altro autore, o dello stesso maestro, il che corrisponderebbe ai meccanismi dell’arte già consolidati ma abbiamo a che fare con impostori, che hanno preso il posto dell’artista preso di mira pretendendo di scalzarlo fino alla sua eliminazione, perfino nella stessa Galleria presso cui lavora.  Il copista  disarciona  l’artista vero  rubandogli  quel modo, quella tecnica, in maniera pessima arrivando perfino a negarne l’identità e l’esistenza.  

 

Questi esperti della copia, emulatori del tratto veloce,  molte volte sono dei giovani, appena usciti dalle Accademie  oppure  non hanno fatto alcun studio specifico, ma sono sostenuti da genitori con amicizie potenti dentro i media televisivi. Talenti del disincanto e degli apparati illusori della comunicazione in rete vogliono farsi largo nel mondo dell’arte solo per raggiungere il successo, fregandosene della storia e di chi l’ha fatta quella storia, dei curriculum e di tutto il resto.  Io sono un artista e l’altro di cui mi parli non lo conosco. Questa è la frase tipica ripetuta da questi sedicenti opportunisti dell’arte quando qualcuno si azzarda a dire che stanno copiando il lavoro di un altro artista ancora in vita.  Tutto ciò è alimentato dalle generalizzazioni con cui leggiamo il mondo dell’arte, dalla non conoscenza, dall’incapacità di definirne gli statuti e il sistema di valori, dallo strapotere dei meccanismi di mercato che inficiano la profondità dell’opera e il suo percorso storico critico, dalla stessa immediatezza con cui oggi viviamo il tempo dell’arte.  Il sistema della copia non riguarda solo questi giovani talenti del mercato, ma anche una gran parte del Mondo dell’arte istituzionale.
 


C’è chi sostiene che è proprio questa libera espressione artistica senza regole e padri putativi cui questi sedicenti artisti si riferiscono che si manifesta qualcosa di nuovo, di inaspettato e ciò aiuterebbe la libera circolazione delle idee. Tale concetto di libertà espressiva non solo è falso ma è anche inquietante poiché dimostra una totale ignoranza delle cose dell’arte; è del tutto astratto , è quindi del tutto incurante della concreta realtà del suo effettivo esercizio.


La parola espressione cui questi persuasori, adepti della menzogna in rete si richiamano è qualcosa ben più importante della faciloneria con cui questa parola viene impiegata. Essa ha a che fare con ogni individuo, con l’essere umano, con la capacità di sapersi esprimere compitamente, con il linguaggio, la dialettica di norme e antinorme, di soggettività e oggettività, del dentro e del fuori e non con l’affermazione del proprio narcisismo, scambiato per interiorità, con la menzogna e la rapina.  La parola “espressione” con la quale giustifichiamo qualsiasi cosa ha si a che fare con l’arte ma in quanto  è sostanza del mondo che rimanda ad altro, senza che questo altro possa essere nominato.  


Nella sfera dell’espressione tocca al  linguaggio un posto preminente. E’ proprio in questo senso che le pratiche dell’arte non appagandosi nel suscitare sempre nuove apparenze fanno intervenire nella catena espressiva, come un doppio sussidiarlo, la parola. Esse sono sempre universi di un sapere teorico e interpretativo sulle cose del mondo,  sono sempre pratiche oggettive, ridefinizioni e ridescrizioni di mondi. Pratiche dove il soggetto nel suo rapporto con l’oggetto  si orienta e si perde, fa naufragio e rinasce.  Espressioni dell’esistenza e non solo del senso. Sono pratiche del conflitto e dell’apparizione, della sparizione e della rinascita, pratiche della sosta e non dell’immediatezza.

La mancanza di regole e l’immediatezza dell’espressione  possono far bene fino a un certo punto, ma poi bisogna accertarsi delle nefande conseguenze, delle violenze cui tali atteggiamenti alla fine conducono. E che cos’è l’immediatezza se non l’istantanea indifferente al tempo, la partenza e l’arrivo colti insieme, l’accadere privo d’interposizioni, senza intervalli, sprezzante di qualsiasi esitazione? Immediato è ciò per cui non esiste qualsiasi frattempo: è  il regno della presa diretta. E’ questo il mondo che abitiamo, costruito per noi dagli IPhone, dagli Smartphone, dai  nostri dispositivi cellulari,  dagli apparati di comunicazione intermediali a cui gli artisti che copiano  corrispondono, nella loro identificazione totale con il presente, la negazione della storia,  e la magica sfera di riproduzione.


L’assolutizzazione di tali aspetti contribuisce alla mancanza d’identificazione di un centro, dal quale partire,  da cui potersi orientare o magari cambiare rotta. Così la modalità del tempo vive della sua negazione e cioè dell’identificazione  fra l’espressione e l’immediatezza, l’immediatezza  e  la realtà. Ciò sottende un inganno e cioè l’illusione che sia possibile abitare con profitto un presente detemporalizzato e despazializzato. Esiste solo il mondo della presa diretta, quell’orizzonte in cui il  mondo stesso può essere reso disponibile senza alcuna  interferenza.


L’autolegittimazione avviene attraverso gli stessi meccanismi dell’immediatezza, attraverso il processo di autovalorizzazione e di autoproduzione infinito e allargato che permette di fare del presente l’unico orizzonte disponibile per ipotesi, progetti e realizzazioni. E’ proprio, in queste fughe in avanti che si disegna il cerchio invalicabile dell’odierno narcisismo. 

Ciò che prevale è il sensualismo  digitale e la riproduzione  dell’immagine  e non dell’arte e della sua essenza. Così spariscono dimensioni come la profondità, la  sosta,  la ricerca,  la durata, la storia. Nell’immediatezza il senso scorre dappertutto, esso è esposto a dismisura. Senso e sensualismo sono la poderosa macchina del regno digitale.  Ciò con cui abbiamo a che fare e di cui dovremmo occuparci,  nel mondo così come nell’arte, non è  più un orizzonte privo di senso, bensì  un senso privo di orizzonte.  





1   Francesco Correggia, L’opera non può che essere, 2004
2  Xart Fingerprint,  il sistema italiano per proteggersi dalle false opere d'arte.
3  Banski edition, Kate Moss, 2005
4  Andy Warhol e imagine di  Jean Clear
5  Glenn Brown the day the world turned Auerbach, 1991
6  Lorenzo-Puglisi Detail of Matteo e l’angelo, 2016
7  Ugo Carrega, decisione, 1962
8  Rapetti Mogol, 2018
9  Damien Hirst, competition instagram painting,  2017
10 Gunther Forg, senza titolo, 2007
11 Shozo Shimamoto, cofondatore del gruppo Gutai, Palazzo Magnani, Pologna
12 Ferruccio D’Angelo, 2017
13 Cecily Brown , the Homecoming, 2015
14 Willem De Kooning,  composition 1955
15 Blek le Rat, Ballerina, 2011
16  F. Correggia, installazione su Kant, 2002