ritratto Francesco Correggia, 1998
Nell’era dell’intelligenza
artificiale e della digitosi torna prepotentemente un’istanza che si riteneva superata,
quella del senso e più esattamente del desiderio di senso. Nel
pensiero di Deleuze, nel suo celebre libro Logica
del senso il senso si giocava tramite entità nuove e paradossali, che erano
l'evento, la macchina, il rizoma, il ritornello, il flusso, lo stile, la
sobrietà. Se prima l’accezione abituale di senso
alludeva a qualcosa di definito, l'idea di Deleuze era quella di un senso
indefinito, onnidirezionale, che si articolava in momenti eterogenei e,
soprattutto, era qualcosa di assolutamente instabile e squilibrato. Più precisamente, l’espressione rimandava alla
riflessione stessa sviluppata dall’opera del suo maestro Hyppolite Taine, la quale si occupava delle condizioni di un discours absolu in grado di eliminare l’opposizione
intellettualistico-astratta dei due opposti come l'intenzione psicologica e
quella materialista verso l'obiettivo di una scienza dell'uomo e delle
società umane nel tempo. La prima condizione recitava: l’essere è
solamente senso; la seconda corrispondeva al fatto che il pensiero è l’essere
in quanto senso che si pensa; la terza equivaleva all’affermazione che il
linguaggio è il senso del pensiero. Per Hippolite il sapere assoluto si dava in
quanto discorso assoluto, il quale non è au
de-là, bensì è il più vicino, il più semplice, il est là, in altre parole, non vi è nulla da vedere dietro il
sipario.
Ora questa idea di un senso assoluto sembra avere perso la sua logica, la sua più profonda ragione anche rispetto alla crisi della modernità. Tuttavia nella logica di un sapere incondizionato e aperto alla logica non più linguistica di Deleuze, ma frammentata e aperta dall’Intelligenza artificiale, questa esigenza di un significato, di una sensazione, di un orientamento si fa oggi sentire con ineluttabile forza. Stiamo consegnando la scrittura, l’arte la letteratura ad una specie di simbionte che annichilisce il desiderio di senso, ma al contempo lo ravviva. Il processo di mercificazione del linguaggio è già in atto. Dal momento in cui saranno i dispositivi tecnici a manipolare il linguaggio, anzi a crearlo dal niente attraverso la logica degli algoritmi, niente impedisce di farlo pagare. Nell’istante in cui le parole non sono più di origine umana, non si cercano più le condizioni di un sapere che fa senso ma l’apertura a più sensi mercificata, senza l’essere che prima l’agglutinava, lo dimensionava verso l’anima e la stessa natura.
Siamo entrati ancora nella caverna platonica
senza accorgercene così persuasi che tutto quello che proviene dall’ombra sia
la verità. Si tratta di un capitalismo linguistico oltre che del linguaggio. Gli umani ora cercano di nuovo un senso ma
questo senso è stato espropriato della scrittura ora consegnata alle macchine,
ai circuiti, alle chat-GPT, alle reti, ai social, ma il rischio è che ci venga
espropriato anche il senso nella sua interezza. Si rimane soli davanti alla
morte che nullifica non solo la vita, ma la stessa morte che è anche un non
senso del senso stesso. È questa un’eternità senza fine oppure stiamo sull’orlo
di un precipizio?
Ritrovare un senso là dove il
mescolamento tecnico della comunicazione integrata insieme all’intelligenza
artificiale, ha artificialmente costruito un simbionte, appare un’impresa ardua
e direi quasi impossibile in un regime di sottomissione e forse di nuove
schiavitù. Il Leviatano si erge ancora innanzi a noi ma l’Intelligenza
artificiale sembra aprire ad una nuova possibilità, far nascere un nuovo senso,
un senso aperto come scrive Pascal
Chabot nel suo libro: Un senso alla vita,
sta a noi poterlo cogliere. Bisogna rivolgersi all’essenziale, a ciò che la
vita sostiene, alle piccole cose, allo sguardo verso la natura, verso l’altro scrive
Chabot. È in corso una nuova mutazione o
tutto cambia per non cambiare niente.
Con il transumanesimo e i generatori
artificiali di senso le tecnologie offrono agli umani la possibilità di mutare
come mai pima d’ora sulla base di programmi elaborati dalle grandi aziende del
settore digitale e dai governi di alcune potenze tecnologiche asiatiche. Queste
proposte si collocano nel vivo di una ricerca che l’umanità ha sempre
perseguito, scrive Chabot, quella di trasformarsi, quella del desiderio di
metamorfosi che ha ispirato un gran numero di miti. E tuttavia non possiamo
fare a meno di richiamarci alla natura evenemenziale di tali trasformazioni che
ci collocano in un universo dove l’altro è essenziale, dove la natura ci
richiama ad un senso di responsabilità verso la Terra e lo stesso pianeta, dove
l’opera d’arte può ricostruire un senso
fra etica e responsabilità come ho scritto nel mio libro del 2007 dal titolo Di nuovo il senso. Bisogna saper cogliere le possibilità che le
nuove tecnologie ci offrono per salvare ciò che è necessario, ciò a cui la
stessa natura ci obbliga.
Bisogna abbondonare il Medesimo per andare
verso l’altro in uno strappo radicale che è solo possibile attraverso l’esperienza
dell’incontro con il volto dell’altro scrive Levinas. È questa esperienza che
sembra mancare nella dimensione di autoapprendimento delle macchine artificiali,
quella dell’incontro con la natura non solo trascendente del volto dell’altro
ma immanente alla nostra esistenza: Nell’esperire il volto dell’altro io stesso
mi faccio senso. L’altro non solo mi somiglia ma mi parla, mi guarda, mi dice
parole, verbi, suoni, mi ricorda, mi obbliga all’ascolto, ad uscire dal Medesimo
e infine mi orienta di nuovo verso il senso. Sarà questo l’essenziale per
tornare al senso delle cose? L’uomo è un essere per cui nella sua esistenza ne
va sempre di questa esistenza stessa. O, ancora, l’uomo esiste in vista della
propria esistenza. È il fatto stesso dì esistere, compiendo la nostra esistenza
anche nell’errore, che ci rapportiamo al nostro potere essere per altro o
meglio ancora per altri. È la vita che
ci richiama all’essere e con questo a tutte le grandi e le piccole cose della
vita: dall’ambiente, all’amore, dal paesaggio al fiore, dall’arte alla natura e
viceversa.
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