Friday, May 10, 2019








La distanza e la parola sostenibile

Si sta a distanza quando l’arroganza che alimenta questo mondo è diventata insopportabile. Arroganza e dimenticanza sono indici della disperazione umana che non sa più riconoscere la storia, ciò che conta e che quindi fluttua nell’indistinto. E’ meglio starsene a distanza. La distanza poi non è stare ai margini, anzi è il contrario, significa essere consapevoli e anche protagonisti.  Significa sottrazione e memoria ma anche prendere parte.  Quando niente ha senso, tutto può avere senso anche le piccole cose, anche starsene lontani, scrivere quando nessuno ti legge, continuare a pensare che l’opera d’arte possa cambiare il mondo anche quando non è più così. Starsene a distanza non significa che si è spettatori neutrali di qualcosa che accade. La dimensione dell’accadere ormai è precipitata nella dimensione della ripetizione. 


 


Il mondo standardizzato ha i suoi riti e ciò che accade non è l’accadimento ma solo la ripetizione dell’eguale. Accadimento è sempre qualcosa che inizia, che fa cambiare o invita al cambiamento e perciò è sempre incomprensibile. Qui non accade nulla. O meglio ciò che si ripete è l’immediatezza con la quale tutto ciò che è presente deve essere pubblicizzato, amalgamato con il resto, sostenuto dal mercato, dalla spettacolarizzazione, dal consumo.   

 


 Ecco perché ormai le parole non significano più niente. Esse sono state assoggettate alla mera commercializzazione, al rito mediale della comunicazione di massa della diffusione e delle vendite a tutto campo, in ogni dove. Ne è un altro esempio non certo rasserenante la fiera del cibo a Milano: Milano food city, una settimana di eventi legata al mondo del cibo. Tutto di tutto per questi sciagurati manager inventori dell'innovativo sistema di match-making che consente l'incontro tra espositori e compratori.   


 


Non bastavano, la fiera del mobile, del design, della moda, dell’arte, dell’artigianato, del turismo ora anche quella del cibo.  Ma come il pianeta è sfinito, agonizza forse non ne può più di noi e noi continuiamo a ingozzarci senza ritegno, a celebrare il sensualismo del cibo come un cult, un aspetto della nostra soddisfazione di vivere il piacere, un appagamento del nostro desiderio ?

 


Anche il cibo è un godimento soprattutto se si mangia con ingordigia. La sua importanza nella sfera umana  somiglia a quella del sesso. Mangiare in maniera sfrenata è la metafora della nostra colpevole presenza sulla terra, la quale deve essere sublimata, spostata sul piano del piacere. Solo che il sesso, almeno, non dona solo soddisfazione al gusto, al palato, non appaga i nostri appetiti alimentari, ma alimenta l’amore, l’eros, il desiderio, l’attrazione, l’ignoto e l’avventura. Il cibo, al contrario di come si suppone oggi nei riti festaioli della mondanità,  non dona senso alla vita, non espone l’essere alla sua responsabilità, non è un atto di piacere, di donazione verso l’altro ma solo una disposizione temporanea di molecole che culmina con la defecazione. 


 

Il cibo nella digestione avvicina alla morte. Forse si potrebbe dedurne che ciò indica  il nostro desiderio di morire davanti all’inarrestabile vortice distruttivo che l’essere umano ha innescato con lo sfruttamento delle risorse del pianeta terra. Che alcune specie animali stiano sparendo da questa terra è la premessa anche della nostra sparizione. Quindi consumiamo felici, non c’è fretta prima che tocchi a noi ne passerà di tempo. 

 


L’essere umano ha inventato una nuova strategia per continuare imperterrito a festeggiare e a divinizzare il denaro, il consumo e il capitalismo finanziario: l’appropriazione di parole che finiscono per diventare neutre; come con la parola “sostenibile”.  Ora ogni cosa deve essere sostenibile. Diciamo sostenibile come un tempo usavamo la parola “ecologia” come per dire che la produzione umana deve esser attenta al pianeta, non inquinante e rispettosa della natura e della terra. La priorità oggi sembrerebbe andare verso un’economia sostenibile, un prodotto sensibile, un’arte sostenibile. 


 


Guru dell’arte fanno a gara per appropriarsene e fanno dell’arte pubblica sociale sostenibile un modo per resistere al tempo, per essere ancora più presenti nel mercato dell’arte globalizzato.  Che cosa vuol dire questa sostenibilità ? Usano materiali biodegradabili, riciclati, trasparenti ? No è il contrario.  Essi adoperano tutto ciò che è utile a diffondere il loro verbo e a far comprare le loro opere, a volte smodatamente supervalutate e costose.  Questi santoni dell’arte con la parola “sostenibile”, intendono rivelare al mondo la loro presenza taumaturgica. Essi reclutano fedeli al loro vangelo, ognuno di loro ne ha uno ad uso e consumo dei partecipanti alla setta.  


 

Questi artisti dai nomi costantemente ripetuti dagli apparati di spettacolarizzazione dell’arte appagano il loro narcisismo facendo ancora leva sulle emozioni, anche quando non ne avrebbero bisogno. Si proclamano particolarmente inclini all’inclusione degli altri, alla salvezza del pianeta. Fautori di nuovi paradisi, essi in realtà agiscono sulla sfera dei sentimenti con meccanismi tipici della pubblicità, del camuffamento e a volte dell’eccesso continuando a inquinare il mondo.  


 


La parola “sostenibile” tanto abusata finisce per svuotarsi di significato davanti all’inarrestabile velocità con cui consumiamo e continuiamo a fare quello che facevamo prima anche se con un po’ più di attenzione. Non ha alcun senso dire che l’alimentazione deve essere sostenibile, l’arte sostenibile, il mobile sostenibile, il design sostenibile quando i modelli produttivi di riferimenti sono gli stessi di prima, quando continuiamo a sprecare, a inondare il pianeta di spazzatura, di plastica, quando il nostro atteggiamento è votato al proprio egoismo individuale, ad un tecno-capitalismo finanziario senza controllo, quando l’eccesso e la menzogna dilagano, dai programmi televisivi a internet.  

 


La parola, invece di dire l’essenziale e avvicinarci alla verità, nel mondo alla rovescia della produzione a tutto spiano è usata, replicata, assoggetta alla quantificazione economica, alla pubblicità in una specie di portale verso il disgusto e la stupidità. Altro che leggerezza dell’essere qui siamo davanti all’ingordigia, al gonfiore e alla pesantezza del corpo. Forse è la parola che deve essere sostenibile e   sottratta alla  sua falsificazione o forse siamo già dentro l’inizio della fine della  specie umana.      

 



      Indice delle immagini:

1        Francesco Correggia, fermo immagine dal video Kosmos, 2008
2         Uno stand della fiera del cibo a Milano 2019  
3         Fa la cosa giusta: il cibo sostenibile
4         Disastro ambientale
5          Nationmetrix. Ieva Saudargaitè Douaihi e Roula Salamun, arte sostenibile.
6          Stephane Clement, questa sobria virtù,  2015
7         Soldato tedesco al fronte prima guerra mondiale
8         Toulouse Lautrec, prima performance e merda d’artista contro il mondo, 1898
9         Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967
10      Gruppo Gelatin, vorm Fellows - attitude, 2018
11      Piero Manzoni, merda d’artista, 1961
12      F. Correggia, La parola, 2008