Saturday, January 13, 2024

continua blog poesie Francesco Correggia

 


Un giorno

 

Mi sono alzato / per guardare fuori / nello spazio aperto / Niente più singhiozzi /

né sofferenze da consumare / tra ricordi affumicati / e cene indigeste / Niente scatole

da chiudere / Ho visto il giorno / che mi guardava / freddo / smunto / paffuto / con lo sguardo rivolto / ad un incrocio / Non ho trovato nessuno / intorno a me / Qualcuno con gli occhi abbassati / aveva fretta / qualcun’altro guardava un muro / illuminato da lampioni / Un cane andava sogghignando / In un prato di fiori secchi / Un tram entrava in una casa / un  nano gridava del suo amore / un prete guardava il cielo / col dito puntato ad una rosa / un vecchio su una panchina / fissava un albero senza foglie / un bambino giocava con un passero / mentre un gabbiano scivolava dal cielo / Un mendicante senza mani / offriva il suo pane / Mi sono alzato / sibilando preghiere / non c’erano ombre / né lamenti / ognuno parlava da solo

 

 Sciolto

 

Allo scoperto / si va avanti / nella città ferrosa / La nebbia / lo scrittoio / il fornello

il barattolo / il ghigno della roccia / della radice del parco / in  strade lastricate / di silenzio spumeggiante / Un vapore bianco scorre / su sottili mucchi di foglie / trascinate dal paradosso / Il fondo di una botte vuota / abbandonata sul selciato / cerca l’ebbrezza del ricordo / Altra luce riempie  l’essere / dagli occhi svuotati / mentre io canto / versi fra i pini / Se vi fosse almeno / il suono dell’onda / della pioggia radente la spuma / saprei cosa fare / Invece vivo /  in  luoghi sepolti /bruciati dal ronzio degli  anni / Scivolo incappucciato / nella conca  del giorno / tra profumi sintetici / e paradossi lunari / La gioventù si nutre del gorgo / di un sapere fragile / mentre l’orizzonte / è lontano / Il palazzo segna le ore / del nostro vincolo cieco / e noi strisciamo / con la testa in giù / accoccolati davanti alla pozza / Tu  mi hai dato giacigli  / il desiderio ci tenne caldi / tremando forte / bussando alla porta verde / per dimenticare il deserto / Imbottiti di fiaba / le cose che non puoi vedere / hanno lasciato uno spazio vuoto intorno / e volti lavorati d’orgoglio / Le ore che rimandano al resto /nella realtà scheggiata / di un mosaico fin troppo umano / si sono intrecciati con i nostri corpi / Viviamo accanto al robot / al ferro seducente / al luccichio elettronico / all’agonia di viaggi possibili / di colori strazianti / di segni uniformi /specchianti

  


Luce

Luce dal colore rosso rame /maschere vaganti / nel cielo libero / confuso col nulla / respirare quel vuoto / ed essere cristallino / fragile / effimero e composto / Sciogliersi fra i rami / nella densità organica / nella realtà demente / col cartellone pubblicitario al collo / e il giornale / attaccato al braccio / Un tempo / prima di volare / bisognava consumarsi / lentamente / appollaiati ad un albero / C’era l’amore / il  lavoro / la tregua  e i  sogni / per dimenticare d’esistere / Ogni notte / il vento spavaldo / della coscienza / spargeva intorno / i semi dell’angoscia / Sguardi immobili / vivevano  il tempo / scivolando da una speranza all’altra / da un’urna all’altra / Ora il mare ha bagnato le mie ali / e bramo te / che segreta / su una rupe /  te ne stai a distanza

 

 

Dove vado

 

Prima di andare / ho provato a stringere / fra le mani / il porto vago

della mia esistenza / Ora che tutto /si confonde / con i battiti del mondo / posso ancora sperare / di percorrerla quella strada d’essere / senza toccare il nulla / senza il tormento / di una eterna rivolta / Prima di andare / mi logora / la febbre del tempo /che mai si sazia / C’è troppo di vuoto / forse è questa l’eterna promessa

                  

Immaginate

 

Un giorno sospeso  / in un calice di vino rosso / Immaginate /  una foglia delusa / che cade all’incontrario / in un luogo /senza porte / Immaginate / solo per poco / il cielo come un letto / dove uno sbronzo / beve / i suoi sogni impossibili / Immaginate una valigia / senza fretta / davanti un treno malato / Immaginate / la vostra immagine / prolungata all’infinito / seguire la rotta / di una rondine / verso un nido d’acqua / Immaginate tutto / fuggire /  su un viale inventato / di parole / di echi scomposti / di ripetizioni / di miti e di sostanze lacunose / Immaginate

 

NO

No al successo / costruito su misura / no alle piccole gioie / alle vendette di ogni giorno / no agli insulti / dell’oppio sociale / di volti truccati  e disfatti / No alle cose che devi fare / per raggiungere / spazi inconsistenti / dove la tua coscienza naufraga / No alla misura di tutte le cose / all’amore / alla famiglia / No all’arte delle convenzioni /   Dire continuamente No / senza smarrirsi in approdi / di vanità / Trovarsi ogni notte /

in un letto rancoroso / e dire ancora di No / No per sapere quello che sei / quello che fai / per non sentirsi mai solo / in questo cortile della menzogna / Un giorno anche tu

saprai dire /  No

 


Un prete solo

La piazza imbottita / di titoli al neon / di visi a festa / Il bar catechizzato / da sermoni liquidi / I suoni e le voci / di un copione antico / Al mattino ho scoperto / un cielo limpido / l’ombra negli angoli / e la malinconica certezza / di un non ancora / Un prete solo / pregava / tra vestiti nuovi / Il soffitto / delle parole mai dette / La mensa isterica del popolo / la terra / la vita / la caduta e il cielo / Tutti i lamenti / scivolano  al vento / in palafitte di speranze

 


L’urna

 

Un fiume scorre / svanisce / lungo sentieri inauditi / come un canto che m’abbandona

/ Poggiare la testa / su un cumulo di vimini / e ascoltare il senso delle cose

mentre l’universo si arena nel gorgo / Il sogno all’improvviso / scopre

l’ombra di una presenza umana / Appare / Tu addormentata / nuda al mio fianco

nell’urna gelida / del caso / Il tuo nome / sillabato lontano / mormora le tue grazie / ed io  gemo / come un infante assetato / La sera declina / nel vino rosso / in una ripetizione di gesti / sempre uguali / Questo rimpianto / lasciato correre / su  un’onda tumultuosa / Ora la tua bocca / scorre sul mio corpo / come in  un vagone vuoto / mentre raccolgo certezze / esauste / Mi sei rimasta sulla pelle / come una farfalla

 

Alba

All’alba un uomo si sveglia / barcolla tremante / l’acqua bagna il dolore

del suo viso / La soglia lo separa / dalla strada intrisa di pioggia / Un autobus si ferma / cerca un passeggero / sguardi incerti / l’accompagnano / Cose segnate / parole inesplorate / luccicano nel caos / L’infanzia ha le forme smarrite / di una donna esile / come un giacinto / la chioma d’oro al vento / Il giardino delle idee / piegate / L’uomo ha rimorsi / le mani dure / incallite / da laceranti abbandoni / La notte c’è un posto / anche per lui / nella sua libertà murata / Un foro rosso in testa / gorgoglia

 

 

 

 

 

 

 

                            

 

 


Friday, January 5, 2024

Blog Poesie 1974 / 1977

Vorrei iniziare questo anno con la pubblicazione di una raccolta di poesie degli anni settanta. Li ho sempre tenuti nel cassetto ma ora ritengo che sia giusto pubblicarli. Non mi rivolgo ad una delle case editrici importanti che ormai pubblicano solo autori conosciuti nel mondo dei media e dell’apparato mediale editoriale ma preferisco offrirli al pubblico senza alcuna mediazione che non sia quella dell’offerta, del dono. Si tratta di poesie che ho scritto nell’età giovanile ma che hanno avuto per me un’influenza determinate per quanto riguarda la mia pittura che ha sempre inteso rapportarsi con la scrittura e con la stessa poesia. I miei esordi nell’arte infatti, come d’altra parte ben documentato nella mia vicenda artistica è legato alla poesia visiva e alla pittura scrittura. Ogni mese pubblicherò sul mio blog dieci poesie che sfideranno l’ottica contemporanea della comunicazione nella speranza che qualcuno li legga e vi trovi conforto. 1974/1977
Perdono
Ho chiesto perdono / per essere nato/ ma tutto restava / immobile / senza sguardo / Ho chiesto perdono alla luna / alle stelle / ai sudari / Mi hanno riso in faccia / senza un perché / Mi sono lasciato andare / dormiente / su uno scoglio / in mezzo ai marosi del tempo. 
L’agguato
L’agguato del sogno / contorto / incerto / La menzogna del tempo / si allunga / come un’impronta improbabile / L’anima allungata / insegue la preda / Il freddo implacabile / gela la mia stanza / L’insetto del nulla / sul balcone di casa / mi osserva / L’uomo sorride / è fiero dei suoi sogni.
Infanzia 
Salgo le scale / dell’indicibile paura / dove stanno occhi / senza luce / voci senza suono / Scivolo lentamente / in un passato ancora sottile / dove un bambino / raccoglie i suoi giocattoli di carta / e ti guarda / Aspetta che tu apra una finestra / da cui prendere il volo / E finalmente sarà un giorno / dolce senza parole 
Basta
Foglie cadevano cupe / in un mattino / di grigia foschia / Vado cercando l’essere / sulla terra bagnata / d’inutile fragore / Cerca parole di senso / dice la terra / coperta d’immagini / Mentre trascino il mio / inesperto dolore / nel vuoto d’acacia / per poi dire / basta a tutto / alle cose / agli oggetti / alle facce tinte / d’umano colore / al tutto 
Portami via
Fuori il freddo / la fame e colori epilettici / Consumi senza guardare / Un tempo sarai selvaggina / anche tu / Portami via / da questo scorrere del tempo / che occorre dire di più? 
Fuga
L’acqua / la carne / il cibo in locande / profumate di vino / Viviamo in cerchi / concentrici di speranze / butterati di orgoglio / in celle dove la luce / si piega appena nell’apparenza / Il ferro penetra / nei corpi sofferenti /piegati dall’ombra / e dall’incerta speranza / Mozziconi ardenti di fumo e bottoni / nelle sale umide di pioggia / Destrieri / pallidi come angeli / ci portano via sul mare / liberati finalmente / dal sognare rifugi illusori / lastricati di anemoni. 
Quel silenzio
Non mi resta che dormire / tacere / lasciare che il tempo / trascini le cose / Io resterò in attesa / a guardare / a scrutare / sognare / Sarò più solo / più libero / lontano / da questi vegliardi arrabbiati / da questi vogliosi pavoni che s’arrampicano sui cespi / Fuori c’è tanto silenzio / che ascolta / aspetta e osserva lontano / Io sarò quel silenzio / e sarò finalmente parola che dice.
Un sogno
Un uomo cammina / lungo la strada / infetta di laceranti abbandoni / in uno giorno cupo / come un velo di Iside / Ci sono colpi di campana / cavi / secchi / speculari / L’uomo dal viso / unto di bianco / pensa / Pensa alla pianura di fili sospesi / ai cuori lacerati / e ai fili pendenti / di possibili glicini / dai riflessi azzurrini / L’uomo pensa / al battito d’ala / di quel sogno smarrito / che mai più verrà 
Forse 
Ho raccolto i miei cenci di malato / sotto un albero di selci / Torno a vivere nel buio / braccato dal desiderio / di un corpo a me negato / inseguito dalla schiuma dei marosi / accecato da volti / rigati dal vento marino / tormentato da passi scolpiti di luce / al sole del mattino / stordito da canti ed urla di vivi / in un mondo di morti / Nel silenzio / traccio segni e gesti / Torno a vivere nel sogno / scoprendo le ceneri di un ricordo / mentre tu sorridi / fra recinti di tempo / Prendo a calci l’umida terra / e inalo il suo sapore / La stanchezza riempie gli spazi riflessi / le pareti si muovono / ogni cosa diventa uno specchio / Un bambino mi corre dietro / a coprire i miei passi e cercare / un volto assente / Mi muovo / tra gesti aridi e senza senso / per non pensare più a nulla / per morire più in fretta / Forse 
Vocianti 
Legato ad un suono / ad un attimo / di breve agonia / vivo aggrappato ad un muro / Inerme cerco uno sguardo / ricoperto di fiori e silenzio / Immagini sorde scorrono / su petali esangui / in un viale / dove il vento / scuote gli alberi arsi / Scrivo immerso in una coltre di nebbia / in mezzo ad insetti e gabbiani vocianti / Incubi mi cercano / mentre aspetto la notte /nel varco sottile del nulla

Thursday, November 23, 2023

considerazioni sull'arte contemporanea

Bisognerebbe avvicinarsi all’opera dell’artista con discrezione, con pazienza e umiltà e non come si fa ora cercandone le quotazioni sul mercatino delle aste o affidandosi alla simpatia dell’artista. Tale riflessione sull’opera chiama in gioco anche quel che vuol dire un’opera d’arte e quando questa essenzialmente si manifesta. Sono domande un po’ lontane dal modo di procedere e di pensare nei nostri giorni.
Sia l’artista sia il collezionista non guardano più all’opera ma al suo status, alla sua resa economica. Ciò ha involgarito lo stesso sistema dell’arte posto che ne esista uno. Da parte del collezionista occorrerebbe mettersi alla ricerca dell’artista non guardare gli opuscoletti ma scavando nella sua vita, incontrandolo, parlandoci, visitare il suo studio e occorre farlo con estrema cautela.
L’opera sfugge sempre ad un’interpretazione univoca ed esaustiva, Essa si manifesta come problema, come possibilità aperta che richiede uno sforzo, uno sguardo attento e soprattutto una capacità interiore di comprenderla là dove essa sembra rifugiarsi. Gli artisti da parte loro dovrebbero dedicarsi all’opera che non è solo da esporre in galleria ma deve essere pazientemente sorvegliata, accudita, alimentata dal gesto pubblico dell’artista e dal suo rifiuto ad essere consenziente alla violenza e al narcisismo. È lui che all’inizio deve sottrarla al suo inevitabile processo di banalizzazione, il che significa esercitare la virtù. Quel che si chiama opera d’arte si manifesterà, quando appunto essa è autentica, da sola senza bisogno di essere pubblicizzata.

Tuesday, October 10, 2023

La poetica della réverie

La decisione di cambiare casa è stata presa. Non so dove andrò ad abitare e in quale luogo sistemare i miei quadri. Mi sono già messo al lavoro, Ho riadattato la mia camera da letto in studio e smontato le librerie. Il corridoio è ancora ingombro di quadri grandi che non so dove sistemare. Intanto i libri li ho messi in fila l’uno sull’altro appoggiati al muro verso l’alto. Ho potuto gustare il piacere di riguardarli e ricordare le date e il periodo in cui li avevo letti. Fra questi mi è capitato fra le mani un libro che mi ha accompagnato per molto tempo nei miei anni giovanili. Subito la copertina mi ha sollecitato immagini del passato. Ho sfogliato il prezioso libro con avidità, Le pagine erano vissute e segnate con alcuni miei appunti. Ne ho rilette alcune e subito mi è sembrato di viaggiare nel tempo. Il libro a cui mi riferisco e che ha risvegliato la mia anima ha per titolo: La poetica della réverie di Gaston Bachelard. Perché proprio questo libro mi ha commosso e aperto universi che avevo già vissuto rispetto ad altri libri ben più importanti che hanno influenzato il mio pensiero e il mio modo di essere?
Sono sempre stato un sognatore. Fin da bambino mi divertivo a giocare senza giocattoli inventandomi oggetti, cose e nomi che riempivano la mia stanza. Dov’è finito quel ragazzo? No, non è proprio sparito. Egli è ancora qui con me, mi conforta e mi aiuta e la scoperta di questo libro me lo conferma. Quel libro quando l’avevo letto per la prima volta mi aveva aperto un mondo razionalizzando e raccontando quello che solitamente consideriamo una sfera inconscia irrazionale che non sempre ci appartiene, quella del sogno e della sua poetica. Il sognatore di quel tempo giovanile e quello di adesso ora sembrano ricongiungersi in una nuova orbita poetica.
La formazione di Bachelard fu prevalentemente scientifica (laurea in Scienze matematiche ma il suo insegnamento alla Sorbona nel (1940-1954) ebbe carattere filosofico ed epistemologico tanto da influenzare pensatori come Foucault, Derrida, Deleuze, fino ad Althusser e Lacan. Eppure sembra oggi abbastanza dimenticato.
La réverie è uno stato straordinario di veglia. Solitamente prende i sognatori al mattino. Non si è ancora svegli e la nostra coscienza sembra riprendersi, ciononostante siamo in quella condizione in cui siamo ancora dormienti. Si continua a sognare abbandonandosi al suo flusso quasi ad occhi aperti. Non sogniamo veramente, fantastichiamo, immaginiamo, godiamo di quel flusso che ci lascia vivere in un cosmo nuovo. Esso ci rigenera. La differenza fra sogno e réverie è che in genere scrive Bachelard i mostri appartengono alla notte, al sogno notturno mentre nella réverie, l’universo riceve un’unità di bellezza prima di svegliarci del tutto. Ciò che si presenta ai nostri sensi è una specie di cosmo, immaginazione che crea immagini, bellezza che ci prende per mano e ci accompagna. La réverie è femminile, è accogliente mentre il sogno è maschile, irruente a volte distruttivo. Ad ogni modo nella réverie sembra stabilirsi un patto, un’armonia creativa dove femminile e maschile si completano. È l’arte di vedere bello come la volontà del pittore al lavoro.
Esiste, scrive ancora Bachelard, una réverie dello sguardo vivo, una réverie che si anima nella gioia di vedere, di vedere chiaro, di vedere bene, di vedere lontano e questa gioia è più accessibile, al poeta e al pittore, anche se Bachelard nel suo libro accorda più importanza al poeta. Del resto gli sfuggiva che il pittore ha una poesia tutta sua, non soltanto visibile ma invisibile dove la parola stessa diventa visione. È lo sguardo che abbraccia la parola e diviene visione, principio cosmico. Non è forse un cosmo che il pittore vuole farci contemplare e non è forse il medesimo lo stesso cosmo dei poeti? Ciò che li accomuna è proprio il progetto poetante, la réverie poetica. Tutto ciò che brilla vede e non c’è nulla al mondo che brilli più di uno sguardo, così si traduce il teorema della réverie di visione. Il sognatore ad occhi aperti non è passivo nella contemplazione ma si fa corpo del mondo. Nella vita cosmica, immaginata, immaginaria i diversi mondi spesso si toccano, si completano. Le réverie dell’uno spesso chiama la réverie dell’altro. L’uomo nella réverie si ritrova a incontrare il cosmo. Quel cosmo il cui lo spazio è senza orizzonti, in cui il soggetto si perde e si ritrova nei suoi elementi ancestrali. Qui il presente si confonde con il passato una verticale che ci fa incontrare esseri sconosciuti, disincarnati ma dei quali conserviamo traccia. La réverie poetica è questo cortocircuito fra l’esperienza quotidiana e l’aldilà, il che ci fa vivere momenti di straordinaria bellezza. È di questa che abbiamo bisogno senza di essa il fare dell’arte diventa spento, esercizio retorico e banale della ripetizione standardizzata. Nell’epoca delle nuove tecnologie robotiche avremmo bisogno di un tuffo nel cielo, sognare non macchine, ma universi ancestrali, mondi, isole, le prime parole. È la réverie poetica che ridà vita al mondo.
Ho sfogliato il libro con ingordigia. Ai miei tempi giovanili era molto letto e citato, ora sembra sparito inghiottito da quella melma oscura dei social, degli schermi, della realtà virtuale, Una malinconia ha afferrato la mia anima scorrendo quelle pagine che avevo sottolineato cercando di catturarne il senso, Mi sono sentito come un assetato appena arrivato alla fonte di Lethe, il fiume della dimenticanza narrato nel mito di Er di Platone nella Repubblica. Occorre bere poco l'acqua del fiume per ricordare, chi beve troppo dimentica tutto ed è costretto a reincarnarsi. Il flusso della memoria mi invitava a non bere di quell’acqua altrimenti avrei perso quel dono di conoscenza poetica e sarei dovuto tornare indietro, Mi sono trattenuto. Mi è sembrato che l’acqua e il cielo si fossero congiunti in quella malinconia. Ho portato con me quel libro come fosse un pharmakon tra cura e veleno come sostiene quell’altro importante libro di Derrida, dal titolo la Farmacia di Platone. Poi l’ho riposto in fila fra i libri che si erigevano verso l‘alto come cimeli, cattedrali nel deserto. Ricordare è rivivere insieme il passato, il presente e il futuro in una réverie poetica. Questo è il senso della nostra esistenza. Ora devo solo cambiar casa.
Immagini: Opere e installazioni di Francesco Correggia

Wednesday, July 26, 2023

Il cambiamento climatico tra negazionisti e allarmisti

Un nubifragio ha colpito Milano la notte del 25 luglio alle ore 4,00. La città è stata devastata dalla forza del vento, dalla pioggia e dalle grandinate. Alle 8 del mattino molte strade erano bloccate dagli alberi caduti, spezzati, addirittura sradicati dalla furia del vento. Tegole sulle strade, automobili distrutte e sfondate. Questo era lo scenario allucinante che si presentava al mattino ai milanesi.
Al sud invece si continuava ad assistere al fenomeno opposto, un caldo tropicale, afa e incendi. Davanti a questi fenomeni estremi si continua con la solita cantilena televisiva e giornalistica. Tutto ciò è dovuto al cambiamento climatico o ad una situazione eccezionale di temperature impazzite peraltro già evidenti nelle statistiche climatiche del nostro pianeta? Insomma assistiamo ancora una volta ad una sceneggiata che evita di dire come stanno le cose e affrontare seriamente il problema dell’emergenza climatica dovuta alle attività umane. Già la conferenza sul clima delle Nazioni Unite nel 31 ottobre aveva chiarito che non era più possibile tergiversare sulle politiche ambientali e che bisognava intervenire subito. E allora perché oggi ne continuiamo a parlare cercando scuse e vie alternative che non sono alternative di alcunché invece di considerare seriamente il problema ?
Una larga parte dei cittadini illogicamente alimentata dalla politica di una certa destra irresponsabile e rissosa continua a pensare che ci sono sempre stati periodi caldi per il pianeta anche nel passato e, dunque, le temperature di oggi non sono nulla di speciale e perciò il cambiamento climatico è un problema inesistente, il che non fa che generare falsi miti e considerazioni statistiche che non sempre si dimostrano veri. Non vorrei entrare in questo agone già gonfiato in tutti i modi da negazionisti, generalisti e allarmisti televisivi ma solo ribadire la mia condivisione su quello che gli scienziati ormai da 30 anni continuano a dire sul cambiamento climatico e cercare di ragionare.
Le considerazioni intorno al peggioramento climatico non sono un’invenzione giornalistica o il solito pessimismo di una sinistra incapace che non giova al paese e alle imprese e alle prospettive di lavoro ma sono la semplice constatazione di quanto ormai gli scienziati vanno dichiarando da decenni e cioè che l’era industriale, lo sfruttamento delle risorse naturali e ambientali, hanno causato, già da tempo, gravi conseguenze sul clima aumentando considerevolmente la temperatura del pianeta. Nessuno oggi può essere in disaccordo, tranne quelli con i paraocchi, che rispetto al passato oggi inquiniamo molto di più, complice uno sviluppo industriale e tecnologico senza freni mai visto prima e che ha raggiunto tutti gli angoli del mondo.
Come porre rimedio? Certamente riducendo l’inquinamento, l’uso dei carboni fossili e del petrolio, l’emissione di CO2 nell’atmosfera con accordi internazionali che ne limitano l’uso. Ma ciò non basta. Occorre cambiare non solo i modi di intendere il progresso, il lavoro e il benessere da parte di chi ci governa scegliendo la strada di una riconversione industriale ed ecologica immediata, ma modificare i nostri stili di vita. Siamo una società fortemente legata ai consumi, ai prodotti pubblicitari, alle tendenze, alla moda, allo spreco e al denaro. Il successo sembra l’unica cosa a cui l’uomo sembra aspirare. E come lo si raggiunge se non depredando gli altri e purtroppo anche la natura e la terra stessa?
Siamo assillati non solo dal benessere ma dal denaro e del farlo come se ciò potesse condurci all’immortalità. Abbiamo bandito il pensiero, la spiritualità, la concentrazione interiore, la libertà d’essere con l’altro. Abbiamo contraffatto la stessa esistenza ad un mercimonio, se per esistenza intendiamo quel movimento che porta un esistente verso il Bene, il che non è, come scrive Levinas, una trascendenza attraverso la quale l’esistente s’innalza ad un’esistenza superiore». Per innalzarsi verso il Bene, non basta superare la nostra condizione finita per accedere a una forma d’esistenza più completa, addirittura infinita. Tale movimento di trascendenza consiste unicamente nel «cercare un rifugio» in un’altra regione dell’essere, permanendovi. Per questa ragione si deve compiere un gesto più radicale, che Levinas definisce con il neologismo «ex-scendenza [excendance] ». Con questo termine descrive il movimento che porta «al di là dell’essere», verso il «Bene, il tempo e la relazione con altri», con la terra, la natura, le altre specie.
Oggi la competizione economica, gli apparati multimediali hanno trasformato l’essere umano in un cliente da convincere, da tenere in pugno, da sfruttare aumentando la confusione babelica dei saperi individuali e collettivi. Nella dimensione cibernetica contemporanea insieme agli apparati di persuasione di massa, l’uomo non è l’altro che mi sta davanti e che mi invita a pensare, ma è diventato lui stesso una merce da scambiare. Egli è diventato cieco. Come si fa a interrompere questa catena del controllo globale del mondo? Il cambiamento climatico anche se ci sembra paradossale fa parte di questo intreccio nefasto fra sviluppo, mercato finanziario, cibernetica, commercio del visibile e mercato dello sguardo.
Se vogliamo fermare l’aumento delle temperature nell’atmosfera e cambiare la tendenza distruttiva del clima dobbiamo intanto smettere di discreditare il nemico con false interpretazioni senza ragionare e seminando odio. Poi cercare di cambiare per prima le nostre abitudini di vita a partire dai nostri gesti quotidiani. Occorre rinunciare al superfluo, all’eccessivo a ciò che non è necessario, fare a meno del lusso e delle nostre ambizioni personali che non tengono conto dell’essenziale. Bisogna guardare alla natura come a un bene prezioso e inalienabile e non guardarla con finalità utilitaristiche, commerciali di un turismo di massa spettrale.
Continuare a fare infiniti ed inutili selfie sulla nostra vita, nei nostri viaggi e su ciò che accade non serve a niente, né alla nostra esistenza né a quella degli altri se non al nostro narcisismo. Mentre continuiamo a girare, anche quando non ne abbiamo bisogno, con le nostre automobili gli smartphone di ultima generazione, non riusciamo ad avere coscienza di dove stiamo e dove stiamo andando. È proprio la coscienza individuale e collettiva che abbiamo perso nei circuiti dei nostri cellulari, negli schermi di realtà aumentata. Lo sviluppo tecnologico ha messo in campo meccanismi di seduzione e di dominio inimmaginabili. È difficile sottrarsi all’organizzazione scientifica tecnologica e mediale del mondo dei consumi e della concentrazione delle ricchezze.
Non dico che bisogna rinunciare completamente ai consumi, agli algoritmi, all’intelligenza artificiale ma solo che bisogna essere più parchi, più discreti; accompagnare tale sviluppo con scelte etiche, con una morale planetaria che sappia fare bene all’uomo e al pianeta. Senza un registro etico e responsabile, una riconversione dei valori, una finalità rivolta al bene questa poltiglia di tecnica, pubblicità, divertimento, comunicazione e media televisivi ci porterà al disastro.
Siamo un mondo votato alla distruzione tanto da non sapere neppure comprendere i messaggi che la natura con la sua forza illimitata continua a offrirci? No, forse non stiamo andando verso la distruzione, o meglio, non ancora. Ci sono ancora dei margini di possibilità, di comprensione vera del problema. Intanto per prima cosa bisogna saper comprendere dove è andata a finire quella che un tempo si chiamava coscienza, risveglio etico. Saperla trovare in noi stessi, interrogarla e farla diventare natura di tutte le cose di quelle finite e di quelle infinite. Ritrovare come dicevano gli antichi il molteplice nell’uno, l’altro in noi stessi e il noi nell’altro, saper rinunciare all’effimero, al superfluo, saper limitare la nostra voglia sconfinata di possesso. È da qui che dovremmo ripartire.
Immagini: Foto dal mio cellulare e alcune mie opere pittoriche.

Thursday, June 8, 2023

L’arte contemporanea, l’ecologia e l’emergenza climatica

Di recente mi sono imbattuto in due libri diametralmente opposti fra loro per contenuto, pensiero e scrittura. Tuttavia mi hanno molto fatto riflettere sulla condizione umana e soprattutto sul pensiero dell’arte, posto che oggi se ne possa parlare. Proprio perché opposti, la lettura dei due libri, debbo confessare, è stata molto faticosa. Si ratta del libro recente di Hans Ulrich Obrist dal titolo: A che cosa serve l’arte e del libro di Gunther Anders (Stern) L’uomo è antiquato. Il libro di Obrist è stato di facile lettura, l’ho letto in due giorni. In realtà avevo dei dubbi se comprarlo o no poi mi sono deciso.
Il titolo si spiega già da sé. Fa parte dei numerosi libri sull’arte contemporanea che pretenderebbero di dire qualcosa sul senso e sull’utilità dell’arte e che poi si esauriscono in risposte non risposte, in manuali di consenso, in pubblicità dei nomi degli artisti di cui si parla con cura nel libro. È la solita réclame di un prodotto. Qualcosa di spettrale tra l’ingenuo e il sofisticato. Eppure i due volumi di interviste di Obrist pubblicati anni prima furono non solo una fonte d’informazione notevole ma centrarono molto bene il bersaglio su che cosa intendevano fare gli artisti, perché lo avevano fatto e su che cosa pensavano. Ho poi ritirato dalla biblioteca Sormani i due volumi dal titolo: L’uomo è antiquato di Gunther Anders (Stern), libro che avevo già letto in gioventù e che avevo bisogno di rileggere proprio in questo periodo così difficile. Si tratta di un filosofo tedesco allievo di Martin Heidegger e Edmund Husserl. In questi due saggi il filosofo analizza l'inadeguatezza dei sentimenti umani in relazione alle macchine e alla tecnica.
Perché ho deciso di scrivere qualcosa a proposito di queste due mie recenti letture? Per metterli a confronto? No di certo. Quello di Obrist è un volumetto semplice, quasi un racconto delle sue imprese, niente a che vedere con lo spessore dei due volumi del filosofo Anders. Non è su questo che mi voglio soffermare bensì sulle note dolenti e contradditorie di alcune tesi di Obrist scaturite dopo una riflessione dei saggi di Anders. Obrist scrive che viviamo in un mondo fatto di discipline che in realtà sono industrie, e anche il mondo dell’arte è un’industria. Gli altri settori, dalla musica alla letteratura, all’architettura hanno seguito questo modello e le industrie confinano le persone in settori diversi che non sono capaci di avviare una conversazione fra loro, un confronto su questioni essenziali per il nostro pianeta come l’emergenza climatica. Su questo non ci piove. L’obiettivo di Obrist è spezzare queste catene invisibili, creando delle situazioni in cui sia possibile mettere in comune le conoscenze. Certamente questo è un nobile obiettivo se non fosse che l’industria oggi ha a che fare non più con persone ma con macchine, calcolatori intelligenti, algoritmi, modelli di sviluppo, piani aziendali di investimento e guadagni. L’arte è diventata un’industria suo malgrado con il consenso degli artisti sempre più accecati dal successo. Dunque, come si fa a sostenere che gli artisti contemporanei con la varietà dei loro linguaggi possano introdurre nel mondo una forma di speranza, una forma di resistenza al progressivo uniformarsi dei modi di vivere, cercando una specie di salvezza con il tema dell’ecologia e dell’emergenza climatica? Sono in malafede o non si rendono conto?
C’è aria di conformismo in tutto questo. Si tratta di un conformismo mascherato degli esegeti dell’arte contemporanea e degli stessi artisti che li seguono nel loro furore di riconoscimento e di visibilità immediata. Essi vanno sbandierando l’ecologia come tema dell’arte non comprendendo del tutto la tragedia di questo nostro mondo che va verso l’apocalisse. Che cosa dice Obrist, tra l’altro sostenuto da un curatore nostrano dal nome di Gianluigi Ricuperati di tanto sconcertante? Si capisce che sono della stessa squadra e lo si intuisce dal nome degli artisti osannati dal libro.
Ora veniamo al dunque. Obrist sostiene che gli artisti contemporanei affrontano la questione ecologica sollevando il tema dell’ambiente e del cambiamento climatico e ciò fa ben sperare per il futuro. L’arte contemporanea per lui sarebbe chiamata a creare le condizioni in cui è possibile avviare degli archivi di queste conoscenze, delle maratone di saperi condivisi dove ci si interroga sul futuro. Fa un lungo elenco di artisti che lavorano in questo senso. Arte e Architettura, narrazione non lineare ed evoluzione cognitiva, scienza, arte e musica s’intrecciano magicamente in una maratona continua che dovrebbe aprire le coscienze individuali sulla questione dell’ambiente, del cambiamento climatico e della salvezza del pianeta. Obrist si è inventato spazi improbabili, dalla cucina del suo albergo a hotel di lusso fino ad arrivare a curare mostre alla Serpentine gallery, noto spazio istituzionale londinese e ora lancia una nuova sfida attraverso quelli che lui chiama Archivi del futuro. Obrist è certamente una figura di curatore notevole nel panorama attuale dell’arte contemporanea e la sfida da lui lanciata fa riflettere e apre questioni importanti.
Lasciatemi dire che, nonostante apprezzi molto la sua capacità di seguire gli artisti ed inventarsi spazi espositivi nuovi e molte volte fuori dal circuito dell’arte, mi sembra che le sue tesi siano una specie di trovata dell’ultima ora, un atteggiamento oggi abbastanza diffuso che consiste nel tentativo di avere attenzione dai media, di cavalcare l’onda mediatica su problematiche complesse e di enorme attualità. Vorrei ricordare ad Obrist che non sempre la tematizzazione porta in primo piano la complessità del tema e che c’è una certa differenza fra tema e tematizzazione come scrive Levinas in totalità e infinito. Tematizzare molte volte non vuol dire riconoscere, portare a conoscenza, ma sfuggire, annebbiare chi legge. Certo gli artisti citati nel libro sono orientati verso una ricerca oggi ineludibile su che cosa fare per frenare il cambiamento climatico. È altrettanto vero che anche questo affrontare un tema così decisivo appare come un tentativo di far colpo nel mondo dell’arte, sui collezionisti e sullo stesso sistema finanziario e arrivare al successo e alla visibilità, al narcisismo mediatico. Dopo la sceneggiata iniziale tutto rimane inalterato e le Istituzioni culturali e lo stesso mercato dell’arte non fanno altro che annullare la portata significativa del tema che si vorrebbe annunciare continuando nel rito dell’appiattimento globale, nel trattare l’opera d’arte come merce. Non è certo vestendo l’abito del monaco che si fa un monaco oppure costruendo giochi come se ciò fosse una cosa seria. Ci vuole ben altro. In questo senso mi è sembrato straniante e insieme istruttivo rileggere i due libri di Anders .
La riflessione di Anders sui pericoli che corre l’umanità intera mi è sembrata all’improvviso, appropriata per smontare alcuni luoghi comuni e vizi interpretativi che nel libro di Obrist appaiono evidenti. Il primo fra tutti è continuare a pensare che l’arte debba avere un senso o non averlo proprio: il famoso senso e non senso. Nell’era delle macchine e degli apparecchi che producono immagini delle immagini a pieno ritmo, non solo non vale più la pena richiamarsi al senso ma è inutile, poiché è proprio in questo meccanismo riproduttivo dominato da fantasmi che esso è sparito e non tornerà mai più. Il consumismo, le macchine e la pubblicità hanno ridotto l’uomo ad un servo. Servo di che cosa? della produzione macchinica, dei media tecnologici dell’alta finanza. Il senso di oggi è un monopolio a cui siamo costretti e non una ricerca della verità che appare inconfessabile. L’arte contemporanea non è più un ritrovare un senso, un gioco serio ma uno specchiamento della tecnica uno strumento di propaganda ripetitivo che riconsolida il conformismo delle pratiche dell’arte. Il senso non è più un segreto da disvelare bensì un’etichetta ben preparata e confezionata. Ne abbiamo fatto un progetto senza nessuno che progetti, l’abbiamo de-deificato, scrive Anders. Esso è diventato un mezzo e non un fine, di che cosa poi se non dello stesso mezzo che riproduce sé stesso un’infinità di volte? Non è giocando a scacchi che si risolve la questione della sfida che ci attente. Non c’è più tempo per continuare con giochi e sogni.
Anders per raccontarci tutto ciò parte da lontano e cioè dalla vergogna che lui chiama prometeica davanti lo strapotere della tecnica e dell’era digitale. L’uomo è schiavo delle macchine che non può più controllare poiché l’intelligenza artificiale, la macchina robotica, il mondo della tecnica e delle immagini ci comandano, non solo riproducendosi, ma annullando le cose e il sentimento della natura attraverso la riproduzione costante di copie delle copie del reale. L’uomo, novello prometeo scrive Anders è subalterno rispetto al mondo delle macchine che lui stesso ha creato e che non riesce più a controllare. Egli va verso l’automatizzazione scivolando nell’abisso dell’incomprensione e dell’autoannientamento. L’uomo va verso l’apocalisse perché è il sistema produttivo ed economico, fondato sulle leggi del mercato, del capitalismo finanziario che ha fatto scempio della natura sfruttandone fin troppo le risorse e provocando un disequilibrio ambientale mai visto prima. Ed è proprio questo sfruttamento, questa capacità tecnica di dominio che ha portato al cambiamento climatico e forse ci porterà alla fine del genere umano. Produciamo sempre più armi sofisticate e distruttive. Il nucleare è ancora una minaccia incombente e il petrolio continua ad essere la nostra bestia nera mentre nuovi scenari di guerra si prospettano all’orizzonte.
Le stesse macchine sono come sibille pirotecniche che ci assediano e non ci fanno pensare. Esse producono immagini, fantasmi sostanzialmente irreali di fronte ai quali siamo passivi. Non sono più al nostro sevizio per aiutarci a superare le difficoltà e migliorare il genere umano. Il mondo dell’arte contemporanea di cui scrive Obrist non fa che seguire questo intreccio fra immagini e tecnologie, persuasione e fallacia, verità e falsità, seduzione ed edulcorazione. Quello che lui chiama la molteplicità dei linguaggi nell’arte contemporanea, la sua mondializzazione non è altro che standardizzazione, adesione a un principio unico, la sottomissione dell’uomo al consenso e al conformismo. Ecco perché nell’arte ci sono fatti senza interpretazioni. Il fatto è che ciò che sembra accadere non accade veramente ma si presenta come un fantasma tradendo lo stesso accadimento che diventa insensato se non nella sua insensatezza finale e cioè la distruzione. In questo senso i media e il consenso generalizzato sono i prodotti del nostro vivere quotidiano che traducono il mondo in immagini, la realtà in farsa consegnando l’uomo alle macchine e al monopolio di un regime mediatico perfetto. Si tratta di prodotti incandescenti destinati a sparire e a riprodursi in altra forma continuamente nella logica fatale del consumismo, delle vendite, della pubblicità e delle guerre trasmesse nelle reti televisive come prodotti del trattenimento di massa, come merce.
Non è avviando una conversazione o scambiandoci letterine sulla salvezza del pianeta o giocando a scacchi secondo le regole del gioco che riusciremo a risolvere il mostruoso enigma che oggi si ripropone e invertire la rotta del disastro ambientale. Stiamo diventando tutti operai e servi di questo potere irrazionale e macchinico che si riproduce. Siamo come apprendisti stregoni di spiriti che una volta evocati non avranno pietà di noi. La razionalità del mondo produttivo si trasforma in irrazionalità incomparabilmente peggiore di qualunque altro precedente. Distruzione o salvezza, quale senso dare alla vita? Questa è la domanda che dovrebbero porsi oggi gli artisti sul che cosa fare.
Cambiare la propria vita, sottrarsi ai media, e allo splendore della tecnica, un fare arte che si sottrae allo stesso fare, sottrarsi allo sfarzo spettacolizzato, praticare l’umiltà, con virtù etica, fare a meno della réclame del proprio lavoro, della spettacolarizzazione integrata, interrogare la pittura, oppure adeguarsi al conformismo, alla logica del consumismo spettrale, alla logica distruttiva dei modelli dominanti e perire. Insomma si tratta di cambiare la propria vita. Gli artisti sono davanti a questo bivio, ancora una volta come davanti al bivio di Heracle raccontato nei Mirabilia da Senofonte. Ci vuole ben altro per sensibilizzare le coscienze di tutti sul cambiamento climatico. Ci vuole un atteggiamento etico sostanzialmente virtuoso e irriducibile fuori dagli schemi uniformi e convenzionali dell’arte contemporanea.
Immagini: 1 - Dominique Gonzales Foerster, Tapis-de-lecture-2000 2 - Emilio Prini, allestimento Osart-Gallery 3 - Jan Cheng, Cheng’s Emissaries trilogy 2015 4 - Douglas Gordon Play Dead Real Time 2003 6 - Tacita Dean, The Wreck of Hope, 2022 7 - Donald Sultan, big yellow, 2014 8 - Hans-Peter-Feldmann- Frauen-Tipibookshop 9 - Gustav Metzger , demonstration of auto destructive art 2004 10- Koo Jeong – A, Cedric Tate gallery 2003 11- Etel-Adnan-Landscape-2014 12 - Francesco Correggia, hospital, 2020

Friday, December 9, 2022

Cultura ed etica

Come aveva intuito Georg Simmel, l’uomo deve abbandonare quella separazione tra etica e cultura che ancora domina il soggetto. La questione non sta solo nei termini di una responsabilità comune che è anche istanza di libertà e dovere, ma di una riconversione dei valori che investe tutti e tutto. La corrispondenza fra etica e cultura ora investe direttamente il tema del rapporto dell’uomo con la natura. L’avvento delle nuove tecnologie, la crisi del pianeta, e una guerra alle porte dell’Europa ripropongono il tema della riflessione etica intorno alla responsabilità comune e alla rottura del rapporto fra l’uomo e la natura. Tali concetti appaiono non solo rovesciati ma quasi determinanti rispetto alle attuali pratiche sociali come il web e le piattaforme digitali. Il mondo standardizzato e in rete sembra aver messo in dubbio ancora di più l’unità fra etica e cultura, il che è anche rapporto dell’uomo con le altre specie del pianeta. I media non fanno altro che ampliare questa distanza alimentando la totale assenza di virtù etica e di responsabilità che rende impossibile una nuova ottica geopolitica.
Occorrerebbe aprire una seria discussione sulla validità dei sistemi economici, finanziari e giuridici che dominano il soggetto, soggiogandolo asservendolo o almeno concepire una riflessione sui modi del vivere quotidiano, sullo stesso visibile e sullo sguardo che non percepisce più le cose, il mondo, la realtà. Invece non accade assolutamente nulla. Sembra che al margine di tale situazione ci sia solo l’abisso che non è il vuoto da cui poi si rinasce e si ritorna ma la totalità nullificante dell’inerzia, l’annullamento di quello spirito che aveva fatto credere che potesse esistere una possibilità etica, discorsiva e soprattutto, un’arte capace di rinsaldare, l’essere con il tutto, restituire la trama tra visibile e invisibile. Non, dunque, quell’inerzia angosciosa che apre ad una dimensione letteraria e poetica salvifica e rigenerante di quella coscienza che appartiene all’essere umano, al suo vivere con la natura, con la sua essenza. e non solo col suo apparire bensì una conoscenza/coscienza altra, una renovatio del corpo e dello spirito verso l’altro da sé, una cultura immersa nella natura e con essa solidale. Una creazione verso un’instaurazione del legame tra Dio e mondo, creatore e creatura, riorientamento del mondo e rottura con le logiche del capitalismo finanziario. Dobbiamo ora cominciare a pensare ad una creazione continuamente rinnovata, una epifania dello sguardo che palpeggia il mondo non solo guardandolo ma assumendolo in una dimensione interiore, spirituale.
Il rapporto tra natura e cultura, estetica e politica sembra ridiventato il tema dominante di molta arte contemporanea così come appare preminente il farsi avanti di un altro tema fondamentale: il rapporto fra arte e democrazia. Abbiamo a che fare con una discesa nel simbolico che presuppone una caduta e una risalita ciclica. Si tratta di un processo di sostituzione, dall’archetipo e dalla cifra trascendentale all’incarnazione della mente, ad una simbolica delle sensazioni e le emozioni, ad un canale cinestetico (embodiment) caratterizzato dai nuovi media L’universo in cui siamo immersi con le sue logiche comunicative, mediali, biotecnologiche sembra aver bisogno di una soggettività tutta nuova in direzione di un riconoscimento, di un’autorità, di nuovo del corpo del sovrano. Il ritorno dei nazionalismi all’interno della comunità europea ne è una prova evidente. E l’arte come prolungamento di un mercato globale sembrerebbe promuovere tale logica con un ethos che viene dalle merci, le quali costituiscono il grande ornamento della realtà. Nell’arte contemporanea, nelle installazioni, nelle performance, riconoscimento, identità, immagine e corpo si sovrappongono. Così accade che la differenza fra simbolico e realtà non ci sia più come non è più percepibile quella fra immagine e corpo. Tutto è visibile ed esposto.
Il trascendente si piega alla terra, al nomos. La simbolizzazione e il capitalismo estetico si sostituiscono al Katéchon, al potere che frena Il katéchon (in greco “colui o ciò che trattiene”) è una misteriosa figura introdotta dall’apostolo Paolo nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Paolo rimprovera agli abitanti di Salonicco di comportarsi come se la fine dei tempi sia davvero imminente, con la conseguenza di trascurare i loro doveri mondani. L’apostolo ricorda quindi che, come già anticipato da lui in altre occasioni, devono verificarsi alcune condizioni prima del ritorno di Cristo. Intanto deve realizzarsi il trionfo del falso Messia, l’Anticristo (destinato ovviamente a essere sconfitto da quello vero nella battaglia finale), ma prima ancora deve essere spazzato via, appunto, ciò che “trattiene” l’Anticristo dal manifestarsi, il katéchon. Esso svolgerebbe una funzione di freno nei confronti dell’auspicato ritorno di Cristo e della sua vittoria finale. Se così fosse l’Anticristo non verrebbe mai svelato e così l’avvento di Cristo sarebbe rimandato all’infinito.
Al di là della polemica fra Blondet e Cacciari su chi fa il tifo per l’avversario cioè per Satana si viene a delineare la fine della simbolica trinitaria padre figlio e spirito santo che aveva caratterizzato la teologia politica e l’estetica della modernità con una lunga agonia del senso della storia. La dissoluzione nostalgica del katéchon che allungava i tempi della fine in attesa del Messia porta ad una specie di desiderio di reincamtamento, di riallineamento dei sensi. Il problema è che, anche se tale riallineamento del desiderio sia quasi salvifico, esso sembra negare la natura e guidarci verso un regime mediale estetico dilatandosi a dismisura. C’è voglia di imperi nella vecchia Europa e le nuove guerre ne sono una conseguenza. La separazione fra occidente ed oriente si fa sempre più netta. E d è da questo contesto di crisi e di rischio di una guerra nucleare che la nostalgia del Katéchon appare dal fondo del nostro mondo ma anche nelle pieghe dell’arte contemporanea. Arte che sembra diventare sempre più pubblica, partecipativa ed abbracciare i problemi del pianeta mentre in definitiva essa appare sempre più resistente, legata ad un’economia che la vincola alle forze produttive ed economiche del sistema finanziario e speculativo. Quelle stesse forze che schiacciano il pianeta e si contrappongono alla natura. Anche se le dichiarazioni della politica sono per un cambiamento, per una prospettiva ecologica e umana, per una riconversione industriale, tale soluzione è negata dai fatti, poiché il capitalismo si è trasformato in estetica che ormai scivola dappertutto senza limiti abbagliando i sensi, così che anche quel potere che frena (katechon) non è più possibile se non con una ritrovata mistica che sappia di nuovo ricomprendere, riascoltare, raccogliere.
Ci stiamo avviando verso lo svelamento dell’Anticristo, ‘avvento che precede l’arrivo del Messia oppure siamo immersi nella logica del potere che frena? La rivelazione sostengono i mistici rinnova la creazione primigenia nel presente che viene sempre nuovamente creato, poiché già quella creazione primigenia altro non è che la profezia suggellata che Dio giorno dopo giorno rinnova: l’opera dell’inizio. Questo inizio si rinnova poiché l’uomo prima ancora di essere soggetto, è preso in una relazione con altri uomini, relazione che è etica prima che sociale o politica. Per E. Lévinas, ciò che caratterizza l’uomo è la sua “inevitabile possibilità” di rapportarsi all’Altro, il che non può essere ricondotto all’io, perché resta sempre esteriore alla coscienza, situato al di là di essa. L’epifania, e dunque la manifestazione dell’Altro, avviene nel dialogo, nel faccia a faccia. L’Altro è quindi una rivelazione concessa in particolare dal volto, che è il mezzo di comunicazione primo e lo strumento attraverso il quale l’umanità di ciascuno si palesa. A quanto pare è proprio il faccia a faccia ad essere inghiottito dal mondo digitale. Il colloquio fra uomo e natura si è interrotto, il margine si è rotto. Ora dilagano i torrenti. I fiumi si sono gonfiati, i ghiacci si sciolgono, il mare conquista pezzi di spiagge, le inondazioni sommergeranno interi quartieri e pezzi di paesaggio, mentre imperterriti ci avviamo ad un riarmo massiccio, alimentando guerre, dispute e odio. Ciò che l’uomo aveva sapientemente costruito ora viene distrutto. Il neoliberismo mostra il suo vero volto: la negazione dello spirito, la supremazia sulla natura e perfino la negazione dell’uomo.
Siamo lontani non solo da ogni epica ma anche da ogni attribuzione di valore. Esserne lontani significa non avere più valori fondanti e neppur valori nuovi da condividere, quelli formali, linguistici, etici, discorsivi. Lontani da ogni senso e da un’etica dei valori, tutto si riduce ad una celebrazione narcisistica, al rito della menzogna dichiarata, di una narrazione superata, desueta, priva di spiragli di luce, di parole vere, di tristizia lieta e feconda. Siamo nella melma. Il valore etico deve sussistere come valore particolare nella funzione dell’agire stesso. Deve trovarsi cioè nel motivo, nel principio vitale del volere. Il volere stesso, scrive Simmel, è etico. Esso non consiste nel contenuto distaccato dal valore. Non è che venga realizzato un contenuto il cui valore viene accettato da qualche altra parte, ma è l’eticamente fondato di valore, a permettere che il contenuto venga realizzato.
Ci sono, dunque, contenuti che possono venir realizzati soltanto attraverso la negazione della volontà e divenire così specificamente etici ed estetici. L’etica non è solo una questione di rapporto tra cultura e natura ma il fondamento stesso dell’agire che fa, diviene contenuto. Il punto non è più la necessità di essere narrati, riconoscersi in un passato in una dimensione antropologica: tutti noi esprimono questo desiderio. La stessa dimensione linguistica di questo agire non è più sufficiente a liberare l’arte dalle mille storie e narrazioni che si sovrappongono l’una all’altra nell’universo mediatico poiché essa deve essere intesa all’interno del contenuto stesso, all’interno cioè di quell’etica della rappresentazione del volere che è la vera essenza del vivere sociale e dell’Estetica in generale.
Ritrovare di nuovo un rapporto che sempre si rinnova e riposiziona tra etica e cultura, etica e dimensione tecnica, etica ed estetica, cultura e natura ora appare quasi ineludibile nel nostro rapporto con la dimensione tecnologica e la stessa prassi digitale del contemporaneo. È qui che si misura la capacità dell’essere umano, di potere invertire la rotta del disastro. È ancora, la stessa parola dell’uomo e l’arte come interiorità ad aprirci ad una nuova stagione estetica. Siamo noi, la nostra specie ad essere chiamata a questa nuova responsabilità fatta di contenuti ed eticamente discorsiva.
È attraverso una nuova riscoperta dei sensi e non solo del senso d’essere che si deve avviare una conversazione, un colloquio con l’altro da noi, con quell’assolutamente altro che neghiamo costantemente. In una vera democrazia l’arte deve tornare ad essere rivelazione anche illegittima del senso d’essere rispetto al dominio delle classi dirigenti e al regime estetico politico e finanziario; deve infine ritornare ad essere trasversale, obliqua opponendosi al Katéchon, di nuovo al potere che frena. La strada che apre al ritorno del vero messia è aperta, l’anticristo è qui con noi e nessun potere lo frena.
Immagini 1 – Francisco Goya, Procession of Flagellants, 1815 2 – Eugene Thirion , Triumh of faith, 1830 ca 3 - Anish-Kapoor-Biennale-Venezia 2022 4 - David-Tremlett, Barolo nelle langhe, estate 2019 5 – Terry Atkinson, galleria Six, Milano, 2022 6 - Goldschmied & Chiari,, biennale di Venezia, 2022 7 – Massimo Cacciari, il potere che frena, libro. 8 – Cristopher Wool, oil and silkscreen on paper, 2018 9 - Damien Hirst, Truffle, 2016 10. Francesco Correggia, ex libris Kant la metafisica dei costumi, 1999