Milano ha imboccato ormai da anni la strada della esagerazione senza porsi dei limiti. Così assistiamo ad una serie di eventi, mostre, inaugurazioni, passarelle di tutti i tipi, tutte grandi, tutte fuori dall’ordinario senza che qualcuno possa spiegare cosa sia l’ordinario rispetto all’eccezionale, l’estetica della città rispetto a quell’altra estetica, quella della verità. Oramai in questa citta assistiamo al tutto pieno, al mito della bellezza, al glamour, all’eccesso, alla invadenza professionale, alla celebrazione senza porsi alcuna domanda se tutto questo sia giusto, se corrisponde alla realtà delle cose, se ha a che fare con l’umano procedere? Si fa finta di niente e si risponde evasivamente, la città cresce, la crisi abitativa non c’è e anche se ci fosse è normale che ci sia, considerando l’attrazione che questa città ispira ai giovani professionisti, agli studenti e adesso anche ai turisti, al richiamo della moda, al design. Se li affitti sono alti, bene, vuol dire che quelli che non se lo possono permettere possono fare i pendolari andando a vivere fuori Milano. D’altronde è il mercato a dettare le regole del gioco e ciò giustifica l’aumento vertiginoso dei prezzi degli affitti. Lo spettacolo è salvaguardato; evviva lo spettacolo. Quanto di più falso e irragionevole pensare ad un mondo spettacolarizzato e inconsapevole, schiavo di desideri indotti, invaso da turisti, da una finanza selvaggia, da un narcisismo esasperato e fuori da ogni logica se non quella del profitto a tutti i costi.
La grande BreraÈ inutile fare il confronto con la Milano di un tempo che certo era una città imprenditrice, con una vocazione industriale, dedita al commercio ma almeno aveva spazi, possibilità di cambiamento, promuoveva imprese culturali. Non c’era la grande Brera ma c’era Brera. Un luogo dove sono cresciute generazioni di artisti. Era in luogo dell’avventura poetica esistenziale, dove gli artisti, i poeti s’incontravano, discutevano. Era appunto un vero luogo con una sua estetica un suo progetto etico. Non basta dire che non è più così. La Grande Brera è da anni che se ne parla, fin dagli anni settanta. Ora arriva in ritardo e non basta a dare uno slancio culturale al quartiere che ormai è diventata un’isola turistica e modaiola. Il mondo cambia e anche Milano è cambiata con tutte le problematiche che appartengono ad un mondo globalizzato, dominato dalla tecnica e dal lusso come in fondo sono tutte le capitali del mondo. La globalizzazione ci ha appiattiti ad un sistema unico, ad un pensiero unico. E allora? Suonerebbe la risposta di chi vede un progresso, un movimento ininterrotto di possibilità in una città che si è al contrario denaturata, che si è appiattita a mere logiche di profitto, in ogni settore perfino nel rendere grandi e lussuose le topaie, una città che è diventata brutta proprio puntando sul lusso. Là dove prima c’era condivisione, sostegno, comprensione, etica ora c’è solo sfruttamento, speculazione, guadagno immediato. Cos’è accaduto siamo tutti impazziti? La tecnica mostra la sua vera natura. Siamo stati tutti inghiottiti dagli schermi, schermini, da monolocali ridotti, da box, intercapedini? È probabile.
Vittore Carpaccio , Visione di Sant'AgostinoNon c’è più spazio. Spazio caret diceva
Sant’Agostino. Ex illo ergo, quod nondum
est, per illud, quod spatio caret, in illud, quod iam non est. Quid autem
metimur nisi tempus in aliquo spatio? E cioè: Da ciò che ancora
non esiste, attraverso ciò che manca di spazio, a ciò che non esiste più. Ma
cosa misuriamo in uno spazio se non il tempo? Siamo quindi assistendo ad una
logica drammatica di sottrazione, ad una involuzione dell’esistenza umana, ad
una limitazione del corpo, ad una morte di lusso. Milano, la capitale della moda e del design
ha occupato tutti gli spazi perfino quelli dell’altra estetica e della stessa etica
che ormai non si sa più cosa sia.
La grande Brera
E veniamo ad uno di quegli aspetti non
secondari della dimensione umana e moderna e cioè la casa, la ricerca di una
possibilità abitativa. Di chi è questa
responsabilità di un aumento indiscriminato dei prezzi? Un monolocale di appena
14 metri quadri, con un canone mensile di 850 euro è semplicemente vergognoso. Il
piccolo spazio, che include un ingresso, una cucina e un letto, privo di
finestre, solleva non solo interrogativi sulla vivibilità e sul valore degli
affitti nella capitale economica italiana, ma porta con sé anche una
responsabilità nuova sul rapporto fra cittadini e ambiente, cittadini e
politica, pubblico e privato, politica e morale. Di chi la colpa di questo
aumento indiscriminato dei prezzi, degli immobiliaristi che ormai soffocano
Milano, dei proprietari assetati di guadagni, degli Architetti, della finanza
immobiliare, dello stesso mercato?
Uno sviluppo deve sempre accompagnarsi a
un’etica altrimenti è solo menzogna, sfruttamento. Che cosa dobbiamo dire che
Milano non ha più una sua etica? È con il sostantivo grandezza che si misura lo
sviluppo di una città? Grandezza rispetto a che cosa? Occorrerebbe una nuova
responsabilità civile, etica, discorsiva e politica. Le stesse nuove
potenzialità dell’agire esigono nuove regole dell’etica oltre che di una nuova estetica
e forse perfino di una nuova responsabilità. Essa entra in scena in quanto
istanza regolatrice di ogni agire sotto la guida del bene e del lecito.
Responsabilità vuol dire saper rispondere alle domande essenziali dei
cittadini, saper rispondere alle necessità ineludibili di una comunità, cercare
una risposta. Se la politica ha da tempo abbandonato ogni valore di
responsabilità etica, ciò non vuol dire che dobbiamo rinunciarvi. Il principio
etico dal quale la dimensione valoriale trae la propria validità, suona: non si
deve mai fare dell’esistenza o dell’essenza dell’uomo una posta in gioco nelle
scommesse dell’agire economico senza equilibrio e del mercimonio.
L’attività illimitata del
moderno è semplicemente ripetizione, che conduce l’uomo lontano da
se stesso, verso una città animale, un perfetto e definitivo formicaio.
Quel metodo che ha reso l’uomo moderno non una realtà
cristallizzata, bensì un sistema di riferimenti capace di
costruire un’armonia fra le differenze, in primo luogo fra le differenti
facoltà che vivono all’interno dello spirito stesso, cioè fra sensibilità e
intelletto, tra ragione e retorica, tra descrizione e decostruzione è andato
distrutto. Lo spazio simbolico, dove ciascuno ha indubbiamente la propria rete
di rinvii immaginativi e affettivi, connessi alle singole esperienze e alle
loro forme di vita, la singolarità dei vissuti non può dimenticare di doversi
fondare su “costanti di senso”, che siano cioè comuni e condivisibili.
È in questo senso che la
casa è uno di quei diritti dell’essere umano che gli consentono di esistere, di
sentirsi un cittadino libero e consapevole. Uno di quegli spazi che mette
insieme cultura e memoria. La casa, dunque,
non è solo uno spazio ridotto all’osso dove si specula nel nome del lusso o di
una vicinanza all’Università o alla Grande Brera ma un abito, uno spazio
simbolico, aperto dove si misura l’equilibrio delle nuove responsabilità,
l’orizzonte e la verticale e non un loculo. È proprio ciò che deve essere
tutelato nell’interesse sia del proprietario che dell’affittuario; nell’interesse
di tutti. Non è solo l’affittuario che deve dare delle garanzie economiche e sociali
ma anche il proprietario nel nome dell’onestà e del diritto pubblico, nel nome
di quell’etica a cui ci siamo richiamati. Accorrerebbe una specie di codice
etico condiviso ma in questo senso che fa il grande Comune di Milano? Si
silenzia o meglio fa finta di niente, si volta dall’altra parte oppure si
richiama ai numeri, nuove case, nuovi edifici per gli studenti, i giovani, grande
futuro per tutti mentre le file dei disperati aumentano.
L’ultima mini-casa di lusso meneghina viene mostrata nel
corso del programma Zona Bianca. È l’ennesima follia di una Milano che tocca il
fondo giocando al rialzo sul prezzo degli affitti. Una speculazione che
colpisce studenti e lavoratori a tempo determinato in primis, ma che si
ripercuote sulle famiglie e sulla difficoltà di trasferirsi. Chi propone
l’abitazione in affitto la mostra nel corso del programma di Rete 4: si tratta
di una stanza di 19 metri quadri (con bidet). Nei pensili della cucina di 2
metri e venti c’è lo scaldabagno, mini lavatrice e mini lavastoviglie e anche
macchina del caffè. C’è un piccolo tavolo allestito per due persone, una
finestra con vista sulle case d’epoca di milano, un divano a due posti che
diventa anche letto, due armadi e un bagno senza finestra con mini-sanitari e
box doccia, manca solo una bara per andare nell’altro mondo,
ma su questo ci penserà Elon Musk .
No comments:
Post a Comment