Thursday, January 16, 2020







Ancora su  M. Blanchot
Arte e letteratura

 

Gli scritti di Blanchot sull’opera letteraria appaiono a distanza di tempo ancora sferzanti,  attuali e al contempo tragici. Si tratta ancora di un autore largamente misconosciuto, anche in Francia, citato il più delle volte forzatamente per attribuirgli un’appartenenza politica che sminuisce la sua imprendibile trasversalità intellettuale, capace di lasciarci una delle più originali riflessioni sulla letteratura di tutto il ventesimo secolo.  Direi che  i suoi scritti  hanno anticipato i tempi  nel loro porsi come sostanza dell’opera, immagine emblematica della realtà in cui viviamo, interrogazione sullo stato di salute del mondo. Nel mondo  in cui  siamo calati e immersi quel che  predomina è appunto il mostrarsi, il fare sfoggio di sé. Importa più essere presenti nei canali di diffusione mediatica, nella circolazione, in rete, nella rete sociale che avere a che fare con la verità. Come se il contemporaneo  fosse il semplice presente dell’immanenza assurta ai vertici di ogni  istanza poetica ed esistenziale . Si fa sfoggio di sé ovunque. L’arte e la moda vanno a braccetto svuotando di senso ogni istanza di libertà e  riflessione. Basti che tutto rientri in quel che si chiama la tendenza. Perfino  i cambiamenti climatici e il tema  dell’ecologia vengono ridotti a moda, a passarella per i fanatici delle vendite, dell’apparizione, della pubblicità e del consumo.  


 

Quel che chiamiamo arte contemporanea e lo abbiamo detto e scritto più volte non è altro  che la manifestazione dell’apparire, del prevalere sull’altro e del successo; non è altro che un prodotto di questa realtà e in quanto tale essa ci vieta perfino di fare esperienza del niente e del nulla e del loro contrario l’assoluto e lo spirito. Ridursi a correre dietro queste  ombre della morte da parte degli scrittori e degli artisti significa  soccombere a un regime misto di  comunicazione, tecnologie  mediali e capitalismo finanziario. Perfino la politica ha abdicato al suo ruolo di visione del mondo, di garanzia etico sociale dei diritti e dei doveri dei cittadini. Che fare ora che risuona ancora come slogan il richiamo alla cultura da parte dei nostri leader politici senza che si capisca cosa questa parola vuol dire ?

 

Ripartiamo da uno dei temi centrali del nostro blog e cioè il rapporto fra letteratura, immagine, arte e politica richiamandoci a un intellettuale e uno scrittore scomodo e dimenticato come  Maurice Blanchot  il quale su questi temi è stato anticipante con la sua scrittura letteraria e la sua critica anti sistemica. Importante è comprendere la sua riflessione sulla natura dell’opera. In questo senso arte e  letteratura si mostrano nella medesima condizione.                

 

Per Blanchot appare essenziale alla natura dell’opera il fatto che essa continuamente sparisca. Contribuire al suo inganno perpetuo è l’unica onestà concessa allo scrittore e all’artista. Essi  non possono che accettare di essere un néant qui travaille dans le néant. Ma la loro tentazione più grande rimane quella di bucare la membrana dell’immaginario che li divide dal mondo, restituirlo come un tutto, impedendo loro tuttavia di influire sulla realtà. Lo scrittore sembra dirci Blanchot si riconosce nella rivoluzione. Non esistono rivoluzioni letterarie come non esiste una letteratura della rivoluzione: la letteratura tutta, nella sua essenza, si riflette nella rivoluzione, vi trova una giustificazione e si fa storia.

 

L’angoscia dello scrittore di fronte al suo lavoro, alla sua opera, deriva dall’impossibilità di trasformare il mondo senza trasformare se stesso. In questo senso la rivoluzione rappresenta perfettamente la tentazione costitutiva del progetto letterario: entrambe implicano una riflessione sulla morte come centro vuoto della libertà assoluta che porta all’accettazione, o alla scoperta, della propria morte come evento banale ma essenziale della condizione umana.

 

Com’è possibile, dunque, la letteratura e con essa l’arte? Esse sono possibili, sembra dirci Blanchot, proprio in quanto impossibili. La letteratura nasce nel momento in cui inizia a porsi in quanto questione e la questione che essa pone è proprio quella del diritto alla morte. L’arte  ha per ideale la rivoluzione come momento storico in cui “la vie porte la mort et se maintient dans la mort même” pour obtenir d’elle la possibilité et la vérité de la parole”.

 

La riflessione sul ruolo dello scrittore negli avvenimenti della sua epoca, sulla sua responsabilità civile, fu molto precoce negli articoli di Blanchot.  Egli avvertì la scomoda dualità, il conflitto oscuro tra la sua attività di giornalista e quella di critico. Ogni silenzio, come rifiuto della politica, è a sua volta politico: proprio nella letteratura, in questa incapacità di uscire dallo scritto, un autore deve saper trovare delle ragioni per agire.

 

Tuttavia, la questione che pone la letteratura è  una questione di linguaggio ed il linguaggio letterario è contraddittorio, rassicurante e al tempo stesso spaventoso;   la poésie ont vu dans l’acte de nommer une merveille inquiétante”. Quando parliamo, è la morte stessa che parla. Per dare  ciò che significa, la parola deve prima poterlo sopprimere, privarlo dal punto di vista dell’esistenza di tutto ciò che gli restituirà sul piano ideale, astratto, dell’essere. Questa “immense hécatombe”  è la condizione necessaria per poter instaurare il regno del giorno, la distanza che, separandoci, rende possibile la nostra intesa come soggetti logici che hanno a che fare con significati universali, uguali per tutti.

 

Quando scriviamo, dice Blanchot, non ci interessiamo al Lazzaro resuscitato, salvato e riportato alla luce, ma a quello della tomba che già emana cattivo odore. La fisicità delle parole  viene a galla ed il linguaggio si rifugia in se stesso, si rifiuta di voler dire: “La littérature est la présence des choses, avant que le monde ne soit, leur persévérance après que lemonde a disparu”.  Il destino della letteratura è quello di un’ossessione,  non può superarsi, andare oltre se stessa, ma è costretta a un’incessante metamorfosi tra il movimento di negazione che le consegna le cose come conoscibili, comunicabili, e la passione per la realtà opaca delle parole prese fuori dal loro senso, quando il senso stesso si fa cosa: . Impossibilità di perdere coscienza, la morte mi si annuncia non solo come la fine con cui ha inizio ogni comprensione, ma come l’eterno ritorno del tormento in seno all’apparenza addomesticata delle cose, come la perdita, oltre che dell’esistenza, della mortalità stessa: morte come impossibilità di morire.

 

Questa è la straordinaria rivelazione di cui ci fa dono la letteratura in quanto linguaggio che, accogliendo l’ambiguità, si fa contraddizione irrisolvibile, possibilità perpetua di cambiare di senso e di segno alle parole. Essa è possibilità di silenzio che nel silenzio dice qualcosa intorno alla verità.

 

C’è una solitudine essenziale, dice Blanchot, che sola può permetterci di capire qualcosa sull’arte, sulla scrittura, a patto che non la si confonda con il dramma esistenziale di un soggetto, né con gli sforzi da lui compiuti per raccogliersi in una dimensione psicologica creativa. Le cose vengono all’essere quando l’essere si ritrae e al contempo esse  esistono ed entrano in relazione solo in quanto separate. Ciò significa  sperimentare l’angoscia al livello del mondo. Scrivere significa invece ritrovare l’essere nel fondo della sua assenza, ovvero ciò che si era dovuto dissimulare per essere un sé.
La solitudine è anzitutto dell’opera stessa, non incomunicabile ma priva di scopo e di esigenze: ni achevée ni inachevée: elle est.

 

L’unica risorsa, l’unica forma di controllo che  rimane  è appunto la parola letteraria, l’unica in grado di imporre un silenzio a questo silenzio che parla, a questo mormorio senza principio né fine:  Là où je suis seul, le jour n’est plus que la perte du séjour, l’intimité avec le dehors sans lieu et sans repos.

La letteratura è, dunque, nei confronti del linguaggio corrente ciò che l’immagine è in rapporto alla cosa che rappresenta: linguaggio che nessuno parla, linguaggio immaginario non perché ricco di metafore ma perché le parole stesse vi si fanno immagine. È il rimosso del nostro vissuto, lo scarto, la zona d’ombra necessaria per edificare un’esperienza di senso, che ritorna e non può non ritornare. Esperienza dell’assenza di esperienza, esperienza limite che ritorna.

 


L’intera avventura del sapere occidentale continua ancora Blanchot  è fondata su un paradigma ottico, che fa della visione la facoltà in grado di fornire all’uomo una mediazione tra l’esperienza e il suo senso, la sua verità. Proprio per questo motivo esso ha costruito il suo logos come una struttura di rimando che fa dell’opposizione e della distanza la condizione di possibilità di ogni relazione conoscitiva. Ma nella solitudine della scrittura l’occultamento tende ad apparire dissimulation tend à apparaîtr. Esso è  legato a una passività originaria, una cosalità materiale e informe. Le parole sono svincolate dall’obbligo di significare, come le immagini da quello di somigliare a qualcosa. L’immagine che Blanchot sceglie di proporre come emblematica di questa situazione straniante non può sorprenderci del tutto: si tratta dell’immagine della morte.

 

Tuttavia questa morte di cui qui si parla non è quella della moda e del suo essere  con la morte, ma la morte del significato, la morte della parola che diventa solo rumore che induce alla sordità, al biancore dell’immagine: immagine della morte che diviene morte mai annunciata ma sempre procrastinata all’infinito in  una nemesi  storica dove il cadavere è destinato a sparire. Ed è proprio il cadavere della letteratura, dell’arte a sparire. Sottrarsi a questa sparizione significa   resuscitare Lazzaro, il suo corpo e  fare mergere il cadavere del nulla e la melliflua menzogna  dell’immaginario; ciò che ci distoglie dalla vera esistenza. Solo il silenzio dice che l’opera è mentre si sottrae al mondo.   Ed è proprio questa la grande lezione di Blanchot.

0. Francesco Correggia,  Fermo immagine dal video, en voiture, 1988

1.  Ritratto di M. Blanchot
2.  Merce Cunningham,  American dancer
3. Michel Foucault on Maurice Blanchot
4. Isadora Duncan, Dance
5. Vito Acconci  Perverse Egalitarianism, 1979
6. German Jauregui, dance 1994
7. Kahlen, frame dal video Body Horizon, 1980
8. Yves Klein, fontenay aux roses, France October 1960
9. Bruce Nauman, Performance,  1976
10. Gina Pane, Azione sentimentale,  1973
11. Rebecca Horn,  In addition to Concert for Buchenwald 1998
12. Martha  Graham, dance, 1982
13. Gilbert e George, Singing, Sculpture, 1992
14. Francesco Correggia, fermo immagine dal video: I turn round to Immanuel Kant, 1996
15 Francesco Correggia, particolare installazione, Hegel, Biennale di Venezia 2009