Arte,
scrittura e oralità nel mondo dei media
Richard Prince, 1994
La domanda che mi pongo sempre più spesso è: che fine ha fatto l’opera d’arte, chi l’ha
fatta sparire ? E’ come se tornassi sul
luogo di un delitto a cercare le tracce
dell’assassino o su quel che è sfuggito all’indagine. Oggi l’arte non è mai
stata così divulgata, esposta, deposta. Essa è dappertutto oltre che nelle
fiere dell’arte e nelle aste internazionali; è nelle
fiere del mobile, del design, nelle sfilate di moda, nei manifesti
pubblicitari, nelle città. E’ un trionfo dell’estetica, delle immagini e di
conseguenza dell’arte quindi la domanda
sembrerebbe senza senso. Eppure non è così. La
maggiore diffusione dell’arte corrisponderebbe proprio alla sparizione
della sua essenza come prassi umana di
liberazione, della sua irriducibilità e del suo fondamento. Dire che l’arte è
dappertutto in un processo di estetizzazione
generale corrisponderebbe a dire che niente è arte. Dove si nasconde il
maledetto omicida o è forse la stessa domanda che gli artisti contemporanei si
pongono ovvero che cos’è arte, che ci ha
disorientati rendendoci colpevoli ? Forse non si è trattato di un delitto come
scrive Jean Baudrillard a proposito dell’uccisone della realtà e della
sparizione dell’arte ma di un suicidio
consapevole, le cui tracce risalgono
all’interno stesso dell’arte moderna.
Trovo che l’argomento sia oggi di grande
attualità in mancanza di un linguaggio, di una perdita di orizzonte o di segno
scritturale che recuperi la dimensione del senso, l’individuazione della realtà
posto che ne esista una e la stessa questione dell’opera. La letteratura e la
filosofia erano i testi su cui gran parte della tradizione e anche del pensiero
moderno sull’arte si confrontavano nel tentativo di descrivere e di far
mondo da parte degli artisti. Essi erano alla ricerca di teorie, di linguaggi sperimentali
poiché le scelte sulle pratiche comprendevano appunto un pensare, un
rivolgersi al pensiero sull’arte e alla sua parola. Ora questo universo sembra
decisamente sepolto.
Andres Serrano, Morgue 1992
La conseguenza di tale sparizione è stata che ora guardiamo le cose
dell’arte e del suo proporsi senza alcun
rapporto con la sua dimensione etica e la stessa storia. Si veda a
proposito il mio libro: Le diarchie dell’arte fra etica ed estetica pubblicato
da Mimesis nel 2014. Ciò che osserviamo nella
giungla espositiva di oggi è che tutto si somiglia, tutte le cose dell’arte
sembrano uscire da un medesimo salotto, un tempo si chiamava atelier. I quadri,
le installazioni, le fotografie, le performance, l’arte ambientale, sciale e relazionale hanno perso qualsiasi
profondità, qualsiasi distinzione dal resto delle cose, qualsiasi spirito critico e ricostruttivo del senso
dell’opera. Essa è sparita e con essa sono sparite anche le sue parole, e va
bene così, non bisogna poi alterarsi per una questione che oggi è di così poco conto. Siamo ricaduti in una
specie di simbolismo prescientifico, di oralità secondaria e sembra che tutti
ne siano soddisfatti. La banalità ha livellato tutto in una dimensione
turistica dell’arte anche se al contempo ha
appiattito le nostre menti rendendole incapaci di pensare. Che vogliamo di più ?
Tony Cragg Tongue in Cheek
Tempo addietro avevo in mente di
scrivere una specie di archivio di
parole da salvare, da transitare nel nuovo
millennio. Parole che conservavano una loro profondità e che non potevano
essere anestetizzate. Esse avrebbero dovuto testimoniare il tempo, l’importanza
del verbo, la significazione stessa; parole da traghettare nel futuro. Le vedevo come gocce di sangue che
si depositavano nascoste sul mondo mentre le cose mutavano. Mi ritrovai invece a
scrivere intorno all’opera d’arte, alla sua genealogia, al suo rapporto con le
immagini.
Francis Bacon, Three Studies for Self-portrait, 1976
La passione per la scrittura mi
divorava. Avevo bisogno di scrivere, non per diletto o per ricongiungermi agli
altri per una sorta di supponenza autoriale o per consegnarmi agli editori ma
per necessità, per forzare la pittura, per ricercare possibilità inesplorate,
per scrivere sull’arte come un critico o un curatore non avrebbero mai potuto scrivere. Ne avevo già abbastanza con i galleristi,
figuriamoci con gli editori. Ciò che mi possedeva era invece una necessità
legata anche al lavoro di pittore.
Tale necessità derivava da una constatazione, l’assenza, oggi e non ieri, di qualsiasi identità interpretativa sull’origine dell’opera d’arte. Sembrava che l’esercizio critico con l’arrivo della miracolosa locuzione arte contemporanea fosse del tutto sparito. Bisognava fare ammenda del passato, del modernismo, della storia e far parte di una delle scuderie di curatori, artisti santoni e di nuovi manager dell’arte. Si, qualcuno mi dirà, era così anche nel passato negli anni sessanta settanta. Devo dire essendone stato un testimone che non era così. L’artista era ascoltato e tenuto in considerazione per le sue indagini critiche e analitiche sul rapporto tra apparizione e realtà, visibile e invisibile, sulla letteratura e il grado zero della scrittura. Fare pittura per qualcuno che appunto avesse voluto farla in profondità significava ancora agire all’interno della visione, dell’immagine o di ciò che sta dietro l’immagine, alternando il proprio lavoro con la scrittura, la lettura e non rincorrere l’ottica del mercato. Di quegli anni ormai non rimane che la celebrazione rituale delle vendite on line, delle aste, del mercato e le aste prestigiose. I nomi ripetuti per qualsiasi occasione sono sempre quelli. Per carità il mercato dell’arte con i suoi valori, le sue bolle speculative e finanziarie non è da condannare ma non può essere tutto qui, in una giungla di venditori, falsari e intermediari come scrive Donald Thompson in Bolle, Baraonde e avidità, libro pubblicato di recente
Roni Horn, Key and Cue, No. 288, 1994–2004.
In questo senso scrivere testi per un artista
non è una scappatoia, una sconfitta, o
una ritirata ma un esercizio fondamentale di approfondimento, un’analisi ininterrotta che risponde all’assenza di
giudizio, di storia, di fondamento, un sottrarsi al buco nero della sparizione
dell’arte. La parola scritta può rappresentare un punto importante nella nostra
relazione con il mondo. Forse è anche una questione di identità, una
contrapposizione al dominio visuale. I libri sono una metafora del viaggio,
sono il centro del mondo. La domanda che si dovrebbe porre ad un artista è
proprio questa: quali sono i tuoi libri? E non quale tecnica stai usando.
Wunderbare, alte Bücher, old Books
Scrivere un libro è ancora qualcosa di
diverso, non è come stampare parole da inserire sulla superficie pittorica, ma
una pratica di senso affine alla pittura: una pratica linguistica e visionaria
che fa della parola una specie di comandamento, di presenza. E’ sempre la
scrittura che comanda le parole e non viceversa. Scrivere vuol dire lasciarsi guidare da quel flusso
ininterrotto di parole e immagini che non può avere padroni e che pure va
organizzato, risistemato, ricontrollato senza che vada sprecata una sola goccia
di desiderio, di volontà, di possibilità. E’ così che il libro prende forma.
Sylvie Blocher la violence c'est le lisse, 2011
La scrittura sembra fare a meno della pittura, anche se lo
scrittore molte volte fa riferimento al
vedere e alle opere dei pittori, come se dovesse in qualche modo richiamarsi
allo sguardo, giustificarne l’assenza.
Il fatto è che ciò che sembrerebbe mancare alla scrittura e che la pittura
possiede è visibile nella parola, nella
sua alterità, direi nel suo sguardo proteso verso l’invisibile. La verità è che
non c’è una differenza sostanziale tra pittura e scrittura, da un punto di
vista della genealogia dell’opera, bensì solo un’asimmetria linguistica, una
differenza di sguardi.
Il buco nero fotografato di recente
Pittura e scrittura hanno sì le proprie
regole, pratiche, materiali e contesti differenti ma poi nel loro fondo
finiscono per richiamarsi, rimandarsi, rispondersi in maniera del tutto sorprendente nella dimensione stessa del farsi dell’opera. Ciò che le accomuna è il senso dell’opera, l’asimmetria fra
parola e sguardo come questione
inscindibile dal senso d’essere, l’opera come sostanziale trasversalità
illuminante. L’opera pittorica non rimanda solo allo sguardo, ma alla sua
nebbia, al suo tastare l’invisibile. I pittori vedono l’invisibile a cui manca la parola mentre lo scrittore fa
intra-vedere ciò che allo sguardo sfugge e che la parola della scrittura sembra
portare alla luce.
Sophie Rickett studium landascape 2003
Non può esserci differenza d’intensità fra
l’opera pittorica e l’opera letteraria, scritturale. Al centro c’è sempre il
testo ma anche l’aporia. Si tratta di
una dualità che non può arrivare ad una sintesi. Essa emerge da un doppio
testo, quello visivo e quello verbale; sta all’incrocio. Ma c’è qualcos’altro a
cui il curatore o il critico
letterario non potranno mai avvicinarsi
e che gli scrittori e gli artisti
possiedono: la solitudine, la
distanza dal mondo, lo sguardo zoppicante che costringe l’autore a essere nel mondo in assenza di mondo.
Huang Yong Ping, 'Two Baits', 2012
Non sono mai stato un uomo pratico o
almeno un uomo abituato a guadagnare dalle opportunità, dalla realtà, dalle
convenzioni e scambiare la mia esistenza
con il denaro. Perciò vivo in un costante naufragio che mi fa essere sgombro di acciacchi fisici e morali, fino a
quando isole di senso e tasti della realtà inusitati mi portano a un approdo
che a volte sembra una salvezza, ma che poi si rivela un’isola di morte. Questo
tempo dura poco poiché è forte la spinta
verso un altro naufragio. La vera realtà è la pittura che non si può barattare.
Essa è come un pensare, un saper cogliere l’essere, un sorvolo sulle cose del
mondo mentre si guarda il niente. Da
questa prospettiva potrebbe esser proprio la pittura a scoprire la realtà,
dissotterrarla e portarla alla visione.
Jean_Baudrillard
La pittura
è come un approdo possibile, un modo di vivere, un gesto che infrange le
regole e dove niente è lasciato al caso, dove occorre la distanza, la
sconfitta, l’amore, la sottrazione, la donazione. In maniera analoga nella
scrittura c’è un cosmo che si dipana attraverso intrecci, sorprese, predizioni.
Se il caos, l’avventura, la disseminazione sono coessenziali allo scrivere
tuttavia la parola fa di quei segni un
universo dove la verità si mescola con l’ineluttabile ambiguità. Così essa
rivela mentre nasconde, s’innalza mentre sembra deviare e cedere ad altri
spazi. Se la scrittura cerca la lettura che scoraggia e a volte stanca, la
pittura non indugia mai, continua in tentatavi estenuanti percorrendo strade
difficili e complicate per fare vedere meglio ciò che solo il pittore sa riconoscere.
Raoul-De-Keyser.-euvre.-Installation-view- 2018.-
Quando la scrittura rimane in attesa,
paziente, lo scrivere la precede riversandosi su fogli, su taccuini
improvvisati, su carte cotonate, ovunque
una superficie possa accogliere la sua ansia indistinta di testimonianza. E’ lo
stesso che accade alla pittura quando l’artista prima del dipinto riempie di
appunti, disegni, parole i suoi fogli, oppure quando dipingendo enti cerca di
sviare l’osservatore dal comune guardare. Il suo gesto rompe norme acclarate e consuetudini del
vedere e sembra rispondere al che cos’è dell’arte.
Erwin Wurm she-living-sculptures, Middelheim 2011
La pratica dello scrivere si trasforma in un
libro scritto quando l’indistinto esce dalla sua soglia obliqua e si tramuta in
un cosmo, in un universo a cui il lettore può accedere, pur nell’interdizione
della parola, la quale a sua volta si separa dalla voce divenendo segno,
espressione del senso. Di conseguenza la scrittura, allora come adesso, non può
che essere un disegnare, un portare luce in quelle zone d’ombra che s’incuneano
fra un senso e l’altro, tra linguaggi e contesti.
Oratorio
Se vogliamo tornare al perchè della
sparizione dell’arte dobbiamo visitare il suo sepolcro. Levare la polvere
dell’oblio, dal marmo dentro cui è racchiusa. Bisogna scrivere e fare pittura,
guardare alla pittura del passato. Dobbiamo
soprattutto guardare all’opera come a un testo. Esso è un intreccio di luoghi,
di rimandi tra parola e immagine, visivo e verbale, tra tempo ed essere. Se pensiamo al testo
come tessitura o come orizzonte della ipertestualità dobbiamo far riferimento
alla trasformazione elettronica dell’espressione verbale. E’ essa che ha
accresciuto quel coinvolgimento della parola nello spazio che era iniziato con
la scrittura. L’ipertesto ha
innescato una nuova cultura quella di un ritorno all’oralità secondaria. Mentre
l’oralità primaria era senza scrittura, evento puro, contatto fisico, suono e
voce, l’oralità secondaria è il dopo della
scrittura che lascia la pagina del libro e si avvia nel mare infinito delle scritture. La
scrittura non ha chiuso del tutto con l’oralità. Essa è ancora voce, suono che ripropone la
parola dell’evento, dell’inizio, è mito
e universo, racconto e lettura che continuano a cercarsi, a bramarsi nel
rincorrersi dei nessi, dei sensi. L’ipertesto è la nave che ci tiene ai bordi della navigazione
in rete, in quel cambiamento epocale dove tutti i nostri sensi sono coinvolti e
la voce si fa parola.
Musella e Paolo Mazzarelli , Strategie fatali, dramma ironico, foto di Parollo
Infine le pratiche della pittura come quelle
della scrittura sono ridescrizioni del mondo,
non sono solo universi della rappresentazione visiva o letteraria
ma sono anche fatiche d’essere a cui non
si può rinunciare. Sono un mestiere di vivere, come avrebbe detto Cesare Pavese
e come pensava Mark Rothko prima che entrambi si suicidassero, come se neppure
più la scrittura e la pittura avessero quel potere, tanto acclamato di
liberarci dalle convenzioni, dal mal d’essere, dall’angoscia del vivere. Noi
vogliamo fortemente pensare che sia la pittura sia la filosofia e la
letteratura, anche nell’avvento delle nuove tecnologie, siano sostanze imprescindibili del farsi dell’arte. Sono
questi intrecci, queste sovrapposizioni che sottraggono l’arte alla sparizione
e la fanno tornare ad essere il luogo della proliferazione di segni
all’infinito, il luogo stesso del giudizio e della parola. Amiamo ancora supporre che le scritture in web,
l’ipertesto insieme al ritorno dell’oralità
quel potere di esprimere libertà e trascendenza, continuino a elargirlo come una manna dal cielo, attraverso la
scrittura e lo sguardo, l’occhio e il
suono, il detto e l’interdetto, nonostante tutto.
Dalla serie traslochi, Francesco Correggia, 2001
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