Che cosa debbo fare ?
Siamo nella fase più acuta del Coronavirus. Ormai tutti ne
conosciamo le conseguenze. Si pensa già su quella che viene chiamata la fase
due dello sviluppo epidemiologico e dei provvedimenti presi per bloccarlo prima
che si arrivi ad un vaccino che sviluppi gli anticorpi necessari. Orami dopo
quasi un mese di sospensione di ogni cosa, di clausura in casa, di città deserte
sembra che anche nella fase due le restrizioni
e le limitazioni proseguano forse fino a Giugno soprattutto per gli
anziani, i quali sarebbero più esposti all’ondata mortale del Virus. Non voglio qui entrare in merito ai
provvedimenti presi da parte del Governo di concerto con la Protezione civile e
con le autorità scientifiche ma solo rimarcare alcuni nodi problematici che
tali provvedimenti hanno sollevato e alle reazioni che i medesimi hanno provocato da parte delle categorie civili,
istituzionali di questo paese dalle imprese agli artigiani, dai commercianti ai
singoli cittadini.
A tale proposito mi vengono in mente le tre domande
essenziali di Kant
e cioè: Che cosa posso sapere?
Che cosa devo fare ? Che cosa
sperare ? Queste tre domande formulate nel contesto della metafisica
trascendentale ora sembrano funzionare nel contesto drammatico della situazione
attuale. Non perché esse ci riportano ad una dimensione metafisica del sapere
ma proprio perché sono domande che, oltre a porre delle interrogazioni, invitano tutti a ragionare e a riflettere e non a cadere
preda di eccessi e delle consuete
abitudini. A partire da queste premesse mi rivolgerò ad un Mondo che credo di
conoscere e del quale io stesso faccio parte e cioè al Mondo dell’arte. E lo
farò a partire dagli artisti stessi, dal modo con cui hanno reagito e operato
in questa particolare contingenza.
Quella del crollo di certezze ritenute incontrovertibili ha evidenziato la fragilità
con cui l’essere umano risponde alle dimensioni catastrofiche di
situazioni non previste e che si
riteneva appartenessero ad un passato lontano.
La certezza di vivere in un
Mondo altamente tecnologico, in un regno
di sviluppo economico e finanziario sempre più saldamente legato al profitto e
al denaro sembrava poter realizzare
l’aspirazione dei molti alla felicità, al benessere. Le crisi si sarebbero superate
, il mercato avrebbe ritrovato gli equilibri giusti per correggere il sistema e
perfino un’economia sostenibile ci
avrebbe salvato dai cambiamenti
climatici e dalla povertà. Il resto sarebbe stato affidato allo sviluppo del virtuale, della
comunicazione globale, dei network, dei cellulari, delle protesi tecnologiche.
Tutto in una logica di crescita lineare,
produttiva economico finanziaria del capitalismo globale. Quale grande illusione si andava così
registrando. Davanti alle guerre, ai disastri, agli incendi, ai morti per mare,
ai naufraghi, niente poteva reggere davanti alla fede incrollabile del sistema capitalistico
aziendale delle nostre società avanzate.
Oggi con la necessità di dover vivere interamente la solitudine,
ripensare la propria esistenza e non cadere nelle trappole allarmistiche di una
dittatura futura a cui proprio il Coronavirus ci sta abituando, nodi
problematici antichi e odierni tornano al pettine. Con i provvedimenti adottati
dal Governo e da una commissione di esperti, scelta non si sa con quali
criteri, se non con quelli consueti del management aziendale di stato si decide sui nostri comportamenti futuri. Tutto ciò a danno delle libertà di ognuno di noi. Si impedirà anche nel futuro di uscire di
casa, di vedere i propri congiunti se
non appunto autorizzati da un sistema di controllo rigido, Sono a rischio non
solo le libertà ma anche le nostre idee
, i nostri pensieri, la ragione, la nostra testa, tutto questo nel nome di
provvedimenti necessari per salvare la salute pubblica. Si tratta di un
terrorismo inusitato, nuovo e per qualche aspetto inconsapevole che parte da una necessità contingente o ancora
una volta da una paura irrazionale, da una previsione non del tutto sopportata
dai fatti. Niente ancora si sa di questo Virus e fino a quando non venga
trovato un vaccino bisognerà prendere provvedimenti
restrittivi, di controllo su tutto il territorio. Questa è la risposta dell’Organizzazione
mondiale della sanità e anche delle Istituzioni nazionali.
Che cosa è accaduto intanto al Mondo dell’arte prima e
durante il Coronavirus ? Il Mondo
dell’arte fino ad ora non ha fatto altro che seguire le logiche del dominio del capitale
finanziario pensando poi di poterlo cambiare,
badando a difendere la libertà, l’autonomia dell’artista ma sempre
all’interno di una regime della comunicazione mediale ben preciso e
standardizzato. Le logiche del potere e del regime dell’arte erano sempre di
più l’emanazione di un’alleanza indelebile tra il protagonismo dell’artista, il
suo narcisismo e ambizione personale, la conquista del mercato, l’atteggiamento
standardizzato dei suoi comportamenti. E l’opera dov’era ? Essa era sempre di più un prodotto
estetizzato, una merce di scambio, una cosa da fare entrare nel circuito della
diffusione e del mercato dell’arte. Questo era.
E adesso cosa accade,
cosa fanno gli artisti, che cosa pensano ? Già si preparano al dopo. In che modo ? Reiterando
le stesse logiche di prima, gli stessi modelli ? Sembra proprio di sì. Essi fanno a gara per essere nella logica irreggimentata del
sistema televisivo aziendale informatico con interviste, video, aste di
beneficenza, aste televisive, viewing rooms, spazi espositivi sul web, tour
virtuali 3D. Così l'arte rimane aperta al pubblico, disegnando, sembrerebbe, nuovi scenari e modalità di fruizione
Alcuni poi si pongono
in una posizione descrittiva di quello che sta accadendo, come se il
Coronavirus fosse qualcosa di rappresentabile, altri ripercorrono la strada del
sociale, dell’arte sociale, dell’arte di denuncia, della religione. Tutti con
l’ambiziosa tendenza camuffata in una specie di nuova stagione tecnologica di
fruizione al protagonismo personale e accedere
dopo il Coronavirus ad un’altra fetta di mercato, questa volta più solidale,
sociologica, massificata continuando ad avere la nomea che finora gli stessi artisti di successo hanno avuto.
E’ triste doverlo
ammettere ma la risposta dell’arte a partire dagli artisti che la fanno sembra
privilegiare la solita logica della finalità consumistica. Sono tutti
protagonisti, tutti dicono la stessa cosa. Bisogna cambiare ma l’importante è
non perdere la propria posizione come artista nella circolazione dell’arte e
delle sue strategie di mercato. Ma come non era già da prima che queste logiche
apparivano esauste, da superare e che bisognava cambiare ? Questo cambiare
significa per molti artisti essere
protagonisti di questo cambiamento e non un sostanziale cambiare. C’è una bella
differenza. Cambiare vuol dire mettersi in discussione, vuol dire esigere
qualcosa dal linguaggio, esigere di essere, andare verso l’essenza delle cose e
non arrivare prima sul traguardo della realizzazione. E’ quel che Spinoza
definisce nell’Etica con la parola Conatus che non vuol dire solo sforzo ma
esigenza e anche esporsi alla possibilità dello smacco.
Il Conatus non si esaurisce nella realtà
fattuale, come se questa fosse una corsa,
ma contiene un’esposizione al naufragio che va al di là di essa.
Ciò che deve cambiare è il modo di pensare, significa pensare
l’essenza delle cose, rispristinare un contatto con l’opera con la sua voce,
la sua phonè. Se proprio è necessario fare qualcosa è proprio l’esigenza stessa
come materia, ciò che offre un luogo e una sede alle cose che vengono ad essere,
così scrive Agamben nel suo libro: Che
cos’è la filosofia. Questo pensiero sull’essere è ciò che l’artista dovrebbe
cominciare a praticare a partire dallo stesso suo naufragio. Finché egli si
sente centro dell’irradiazione creativa il contatto con l’opera si interrompe,
il dialogo è chiuso. Ciò vuol dire che
il silenzio e la solitudine non sono serviti a niente da un punto di vista di un’etica
dell’arte. Né a liberarci dalle mode, dalle convenzioni sociali, né dagli
schemi di un mondo votato al mercato e al profitto, ma solo a livellarci, a
indurirci di più. Siamo ancora incastrati in una visione chiusa, asfittica della nostra esistenza. Il che fare perciò non si esaurisce con il fare ma su che cosa
debbo fare che è anche la domanda su che
cosa posso sapere nel momento in cui io posso sperare su ciò che mi è
consentito sperare nell’epoca del Coronavirus.
Se una possibilità esiste per l’artista del futuro, essa
consisterebbe nel rinsaldare l’opera con
un progetto etico spirituale, nel concepirla come naufragio del già stato,
scacco di quel che era, appunto Conatus della storia e dell’essenza dell’arte
che appunto così si rivela. Se c’è una lezione da apprendere da questa epidemia
che scopre ancora di più il nervo aperto
di una crisi di valori e di essenze è proprio quella di porsi in una condizione
che trascende i modelli attuali, li disarciona, li rende inservibili. Dal
protagonismo al ritiro, dall’estetica all’etica, dall’eccesso all’interiorità,
dall’ombra alla luce. Il come si fa è una domanda che riguarda gli artisti e a
loro è consegnata la risposta che ora diventa una necessità storica,
genealogica e archeologica. Altro che il
baloccarsi dentro il giardino vuoto del proprio narcisismo e dei giochini
fantasmagorici o nascondersi dietro il salottino delle interviste sociali.
Immagini:
0 Ritratto di Francesco
Correggia
1 Santa Veronica Giuliani
Monastero di città di Castello2 Ivan Kramskoj, Cristo nel deserto., 1872
3 Mattia Preti, Deposizione di Cristo dalla Croce, 1660 ca
4 E. Delacroix, canotto di naufraghi 1846
5 Naufraghi oggi nel mediterraneo
6 Coco Channell Ryder, No panic, 2020
7 Viewing Rooms, 2020
8 Ritratto di Baruch Spinoza
9 Francisco de Goya YHWH, 1772
10 Francesco Correggia, Si cela, 2017
4
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