Sunday, June 2, 2019







Imitatori, copisti ed epigoni

La falsificazione è un problema che ha scosso non solo il mercato dell’arte ma anche le fondamenta istituzionali della sua circolazione.   Ci siamo già espressi sul sistema della falsificazione  dell’arte e dell’arte della  falsificazione nell’articolo su La Stampa in web del 16 luglio 2015 e non vogliamo qui ripeterci. Quel che va ancora segnalato è che insieme alla falsificazione si sta sviluppando una tendenza alla copia, all’imitazione materiale dell’opera di un’artista da parte di un nuovo arrivato  che intende così imporsi nel circuito dell’arte. Fin qui niente di male se a essere ricopiati o li si reinterpreta in maniera autentica e nuova sono i grandi dell’arte moderna.  La questione diventa più preoccupante quando non c’è interpretazione ma solo un ricopiare. Questo triste fenomeno riguarda tutta l’arte contemporanea e non soltanto l’arte  moderna.  Non abbiamo più a che fare con la logica dell’Autsider art o della Street art  ma con quella dimensione ingenua e pericolosa del fare la pittura o meglio del non farla,  tesa invece a imitare senza alcun ritegno  linguaggi e tecniche   di artisti contemporanei ancora operanti.   



L’invasione di falsi quadri e di prodotti confezionati solo per il mercato è purtroppo sostenuta e promossa da parte degli stessi soggetti del mondo dell’arte. Il loro funzionamento sembra oggi derivare dal sistema finanziario che ha tutti gli interessi a elevare a rango d’investimento economico elevato qualsiasi cosa appaia come novità anche ciò che si presenta come rivoluzionaria, antitetica al sistema. Ne è un esempio Banski, un caso che ormai imperversa dappertutto. Banski fa dell’arte di protesta la sua bandiera commerciale, con guadagni incredibili. Egli è uno street artist, vandal, political activist, and film director.  Una sua opera che si autodistruggeva non appena venduta all’asta per centinaia di migliaia di dollari è l’esempio tipico della follia e delle bolle del mercato. Qualcuno sospetta che dietro Banski si nasconda una società finanziaria con le idee molto chiare di ciò che è il sistema dell’arte e di come trarne profitti illimitati.  Quest’arte non è altro che un prodotto del mondo dell’arte, e prodotto è la parola giusta, perché non comporta alcun rischio per l’istituzione, il mercato e il pubblico in un mondo (quello dell’arte) che è diventato fragile, insicuro e senza valori. 

E’ vero che il concetto di valore può essere una tirannia, qualcosa che può diventare vettore di ideologie nel suo porsi come assolutezza ed esclusività e di cui vale la pena liberarsene. E’ comunque altrettanto vero che la nozione di valore cui qui ci riferiamo non è  quella  relativa alle problematiche del sistema economico  ma a quella   dell’etica, o ancora di quel pensiero che origina dall’opposizione tra Terra e Mondo. Pensiero che apre alla verità e alla dimensione del Nomos e non all’arbitrio indiscriminato. 

Alla falsificazione dell’arte dunque si aggiungono questi artisti dell’imitazione,  che copiano le opere di altri artisti senza sentire alcuna gratitudine o debito di riconoscimento. Il saccheggio diventa paradossale poiché questi epigoni/copisti si fanno passare per artisti del presente che, da un punto di vista stilistico, non hanno alcun precedente, ritenendo di essere i soli a usare quella tecnica, quel modo.  Intendo qui chiarire che non mi riferisco ai copisti o amanuensi, definiti scribi nell’antichità che attraverso l’estenuante lavoro della trascrizione hanno permesso la salvaguardia del patrimonio culturale antico ma a quei personaggi che girano nel mondo dell’arte e che letteralmente copiano le opere di un altro artista facendosi passare per gli unici inventori di quello stile, di quel linguaggio. La sostituzione appare perfetta, soprattutto se si aggiunge all’opera copiata il fascino seduttivo dell’artista che la propone . 


Gli epigoni di oggi  non riproducono opere dell’arte moderna con firme false per poi inserirle nel mercato dell’arte ma copiano, con risultati spregevoli, artisti contemporanei diminuendone e svalorizzando la portata significativa della loro opera.  Spesso ahimè sono proprio alcune gallerie, il mercato, le fiere, le aste a ospitare questa merce, a favorirne la diffusione e a decretarne il successo sui media mentre gli artisti veri sono tenuti a distanza e quasi temuti poiché mettono soggezione, costruiscono mondi, sono scomodi e non si sottomettono.   L’importante è comunque vendere. In fondo questi artisti del saccheggio e dell’immediatezza sono in perfetta sintonia con ciò che il mercato richiede e cioè l’assoluto servilismo e compiacenza. 

 

L’elenco dei nomi di questi artisti che copiano è lungo e disarmante. Essi sono degli artieri, artigiani dello spettacolo integrato dell’arte, vogliono sfondare a tutti i costi, guadagnare, fare affari con il loro presenzialismo, con il loro cicaleggio. Essi  s’infilano dappertutto, in tutte le Gallerie, in tutte le situazioni. Il loro verbo è esporre senza alcun ritegno riproponendo lo stesso lavoro per poi passare a un altro diametralmente opposto.


Non si tratta di un’interpretazione dello stile di un altro autore, o dello stesso maestro, il che corrisponderebbe ai meccanismi dell’arte già consolidati ma abbiamo a che fare con impostori, che hanno preso il posto dell’artista preso di mira pretendendo di scalzarlo fino alla sua eliminazione, perfino nella stessa Galleria presso cui lavora.  Il copista  disarciona  l’artista vero  rubandogli  quel modo, quella tecnica, in maniera pessima arrivando perfino a negarne l’identità e l’esistenza.  

 

Questi esperti della copia, emulatori del tratto veloce,  molte volte sono dei giovani, appena usciti dalle Accademie  oppure  non hanno fatto alcun studio specifico, ma sono sostenuti da genitori con amicizie potenti dentro i media televisivi. Talenti del disincanto e degli apparati illusori della comunicazione in rete vogliono farsi largo nel mondo dell’arte solo per raggiungere il successo, fregandosene della storia e di chi l’ha fatta quella storia, dei curriculum e di tutto il resto.  Io sono un artista e l’altro di cui mi parli non lo conosco. Questa è la frase tipica ripetuta da questi sedicenti opportunisti dell’arte quando qualcuno si azzarda a dire che stanno copiando il lavoro di un altro artista ancora in vita.  Tutto ciò è alimentato dalle generalizzazioni con cui leggiamo il mondo dell’arte, dalla non conoscenza, dall’incapacità di definirne gli statuti e il sistema di valori, dallo strapotere dei meccanismi di mercato che inficiano la profondità dell’opera e il suo percorso storico critico, dalla stessa immediatezza con cui oggi viviamo il tempo dell’arte.  Il sistema della copia non riguarda solo questi giovani talenti del mercato, ma anche una gran parte del Mondo dell’arte istituzionale.
 


C’è chi sostiene che è proprio questa libera espressione artistica senza regole e padri putativi cui questi sedicenti artisti si riferiscono che si manifesta qualcosa di nuovo, di inaspettato e ciò aiuterebbe la libera circolazione delle idee. Tale concetto di libertà espressiva non solo è falso ma è anche inquietante poiché dimostra una totale ignoranza delle cose dell’arte; è del tutto astratto , è quindi del tutto incurante della concreta realtà del suo effettivo esercizio.


La parola espressione cui questi persuasori, adepti della menzogna in rete si richiamano è qualcosa ben più importante della faciloneria con cui questa parola viene impiegata. Essa ha a che fare con ogni individuo, con l’essere umano, con la capacità di sapersi esprimere compitamente, con il linguaggio, la dialettica di norme e antinorme, di soggettività e oggettività, del dentro e del fuori e non con l’affermazione del proprio narcisismo, scambiato per interiorità, con la menzogna e la rapina.  La parola “espressione” con la quale giustifichiamo qualsiasi cosa ha si a che fare con l’arte ma in quanto  è sostanza del mondo che rimanda ad altro, senza che questo altro possa essere nominato.  


Nella sfera dell’espressione tocca al  linguaggio un posto preminente. E’ proprio in questo senso che le pratiche dell’arte non appagandosi nel suscitare sempre nuove apparenze fanno intervenire nella catena espressiva, come un doppio sussidiarlo, la parola. Esse sono sempre universi di un sapere teorico e interpretativo sulle cose del mondo,  sono sempre pratiche oggettive, ridefinizioni e ridescrizioni di mondi. Pratiche dove il soggetto nel suo rapporto con l’oggetto  si orienta e si perde, fa naufragio e rinasce.  Espressioni dell’esistenza e non solo del senso. Sono pratiche del conflitto e dell’apparizione, della sparizione e della rinascita, pratiche della sosta e non dell’immediatezza.

La mancanza di regole e l’immediatezza dell’espressione  possono far bene fino a un certo punto, ma poi bisogna accertarsi delle nefande conseguenze, delle violenze cui tali atteggiamenti alla fine conducono. E che cos’è l’immediatezza se non l’istantanea indifferente al tempo, la partenza e l’arrivo colti insieme, l’accadere privo d’interposizioni, senza intervalli, sprezzante di qualsiasi esitazione? Immediato è ciò per cui non esiste qualsiasi frattempo: è  il regno della presa diretta. E’ questo il mondo che abitiamo, costruito per noi dagli IPhone, dagli Smartphone, dai  nostri dispositivi cellulari,  dagli apparati di comunicazione intermediali a cui gli artisti che copiano  corrispondono, nella loro identificazione totale con il presente, la negazione della storia,  e la magica sfera di riproduzione.


L’assolutizzazione di tali aspetti contribuisce alla mancanza d’identificazione di un centro, dal quale partire,  da cui potersi orientare o magari cambiare rotta. Così la modalità del tempo vive della sua negazione e cioè dell’identificazione  fra l’espressione e l’immediatezza, l’immediatezza  e  la realtà. Ciò sottende un inganno e cioè l’illusione che sia possibile abitare con profitto un presente detemporalizzato e despazializzato. Esiste solo il mondo della presa diretta, quell’orizzonte in cui il  mondo stesso può essere reso disponibile senza alcuna  interferenza.


L’autolegittimazione avviene attraverso gli stessi meccanismi dell’immediatezza, attraverso il processo di autovalorizzazione e di autoproduzione infinito e allargato che permette di fare del presente l’unico orizzonte disponibile per ipotesi, progetti e realizzazioni. E’ proprio, in queste fughe in avanti che si disegna il cerchio invalicabile dell’odierno narcisismo. 

Ciò che prevale è il sensualismo  digitale e la riproduzione  dell’immagine  e non dell’arte e della sua essenza. Così spariscono dimensioni come la profondità, la  sosta,  la ricerca,  la durata, la storia. Nell’immediatezza il senso scorre dappertutto, esso è esposto a dismisura. Senso e sensualismo sono la poderosa macchina del regno digitale.  Ciò con cui abbiamo a che fare e di cui dovremmo occuparci,  nel mondo così come nell’arte, non è  più un orizzonte privo di senso, bensì  un senso privo di orizzonte.  





1   Francesco Correggia, L’opera non può che essere, 2004
2  Xart Fingerprint,  il sistema italiano per proteggersi dalle false opere d'arte.
3  Banski edition, Kate Moss, 2005
4  Andy Warhol e imagine di  Jean Clear
5  Glenn Brown the day the world turned Auerbach, 1991
6  Lorenzo-Puglisi Detail of Matteo e l’angelo, 2016
7  Ugo Carrega, decisione, 1962
8  Rapetti Mogol, 2018
9  Damien Hirst, competition instagram painting,  2017
10 Gunther Forg, senza titolo, 2007
11 Shozo Shimamoto, cofondatore del gruppo Gutai, Palazzo Magnani, Pologna
12 Ferruccio D’Angelo, 2017
13 Cecily Brown , the Homecoming, 2015
14 Willem De Kooning,  composition 1955
15 Blek le Rat, Ballerina, 2011
16  F. Correggia, installazione su Kant, 2002

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