Salvare il nostro pianeta
Sicuramente il cambiamento climatico ci fa riflettere sulla possibilità di una fine immediata del genere umano e ci costringe a pensare che il nostro pianeta è un bene, una casa, la nostra casa. Lo abbiamo sfruttato, considerato come una pattumiera, un’inesauribile risorsa per i nostri affari, i nostri sporchi traffici. Il problema dell’inquinamento e del degrado ambientale è ormai da qualche decennio all’ordine del giorno. La salvezza del pianeta e la questione ecologica si sono incrociate inevitabilmente.
Barry Flanagan, 1967
E’ già da decenni che le problematiche dell’ambiente e del clima sono state poste da scienziati seri e competenti, ma anche da artisti come Joseph Beuys con il suo progetto in difesa dell'uomo e dell'ecologia, le installazioni di Hans Haacke, Michael Heizer, Robert Smithson, Richard Long, Barry Flanagan, Dennis Oppenheim, e poi le sculture di Vito Acconci, le installazioni di Mona Hatoum, la ricerca più recente di Brandon Ballangée, Marjetica Potrc, Nikola Uzunovski, e tanti altri. A nulla sono bastati i numerosi convegni di scienziati, accademici, pensatori per fermare la tendenza alla distruzione, fare un passo indietro, invertire la rotta della ricerca tecnologica verso energie pulite, alternative.
Mark Dion, birds of an twerp, 2007
Abbiamo continuato come se niente fosse a immettere nell’atmosfera CO2, sprecando, inquinando, sboscando e desertificando. Abbiamo continuato a comprare automobili e a servirci ancora del petrolio addirittura in qualche caso del carbon fossile. I pochi esempi di energia pulita sono sembrati antesignani di una produzione costosa e difficile, fatta solo per ricchi e aziende che hanno fatto della riconversione industriale il loro marchio distintivo per continuare a fare grandi guadagni. Ora la coscienza mondiale sembra destarsi. La ragazzina svedese che con un candore incredibile appare in televisione invitando tuti a salvare il pianeta nel nome delle future generazioni, sembra uscita da una loggia del paradiso per parlare a noi miseri mortali.
Carl Grossberg The paper machine 1934
Ci costringe finalmente a guardare in faccia la realtà, a prendere atto dell’enorme mostruosità che sta accadendo. Folle di giovani e non più giovani senza un’identità politica finalmente sono scese in piazza non per una protesta giovanile qualsiasi, per rivendicare qualcosa, ma per dirci esattamente la verità, ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi e che si annuncia con un cambiamento climatico irreversibile. Salviamo il pianeta, questo è il loro slogan. Questa dichiarazione è come un annuncio irrevocabile, sembra un imperativo categorico. Un imperativo alto che impone non una scelta, ma una salvezza, non per noi ma per quelli che verranno dopo di noi, per i nostri figli, nipoti. Essi ci guardano e chi chiamano alla responsabilità. Parola abusata e accerchiata da politici insensibili corrotti e ignoranti.
Ozu Yasujiro, Viaggio a Tokyo, 1950
Questi giovani e non giovani ci dicono precisamente: l’ora sta per scoccare. In questa semplice avvertenza e cioè salvate il pianeta ce n’è in fondo un’altra che suona: nessuno verrà a salvarci, non ci sarà un intervento divino che interverrà al posto nostro. Siamo noi i responsabili del disastro ambientale e dobbiamo essere noi gli artefici della salvezza e rinascita del nostro pianeta. Per tornare ai temi ecologici appare sempre più evidente che esso è un problema intrecciato con altre questioni altrettanto importanti come l’economia, il denaro e la finanza da una parte e dall’altra la genetica, la cibernetica, la bioetica. Le questioni sono così complesse che, da un punto di vista dei media e della divulgazione televisiva, sembrano confondersi assumendo un aspetto così generalizzante da farle apparire vaghe, indefinite, esoteriche.
Carl Gustav Carus Flusslandschaft im Rosental bei Leipzig, 1825
Ciò non fa altro che eludere il problema, l’urgenza, gli interventi sostanziali che sono utili per fermare il disastro ambientale e climatico. Non bastano le immagini televisive e qualche talk show o programma di intrattenimento per creare una nuova sensibilità e costringere i governi a intervenire, a fare sul serio e così fermare il disastro incombente. Le parole televisive, come le immagini restano mute, non hanno alcun senso, appaiono vuote così come le altre parole e le altre immagini che marcano i nostri atti. Siamo alla ricerca di parole nuove, semplici e che vanno al cuore del problema, che non siano esorcizzanti o convenienti ma che ci fanno realmente pensare altrimenti, cambiando la logica della nostra esistenza, del linguaggio che usiamo e di conseguenza ad agire nel rispetto della natura, dell’ambiente. Siamo noi che dobbiamo cambiare, con il nostro modo di vivere, di sprecare, di parlare. Siamo noi e non altri che dobbiamo sacrificare qualcosa della nostra vita, rinunciare al lusso, alla smodatezza con cui consumiamo, con cui alimentiamo il disastro. Sappiamo bene che non bastano i dibattiti, i convegni sullo stato del pianeta, i richiami di responsabilità a far cambiare rotta ad abitudini, passioni, desideri quando ancora guerre e desolazioni, terrorismi, fanatismi e razzismi giganteggiano nel mondo. Non si tratta soltanto di essere-nella-relazione con la Vita e la Natura; compiere adeguate connessioni tra le informazioni provenienti degli svariati campi della conoscenza e dell’esperienza; e sviluppare di conseguenza una propria Weltanschauung. Qui, al contrario della visione antropocentrica, è necessario fermare la mano dell’uomo che contamina la stessa sua casa e la rende inabitabile.
Anthony Goicolea, Last supper, 2008
La possibilità di un mondo che si rinsalda con la vita del pianeta passa da una dimensione di pensiero che sappia prendere le distanze dai modi con cui finora abbiamo sfruttato il pianeta, rovesciando, in buona sostanza, i rapporti di forza finora consolidati tra il fanatico mercato globalizzato e l’emergere delle problematiche ambientali. Per farlo bisogna interrogarsi sul presente, frenare il ritmo delle distruzioni che si operano nel nome del rendimento, della demografia e della produzione. Occorre una cultura virtuosa, nel senso indicato da Vladimir Jankélévitch, che non si avvita su se stessa nel cercare un contatto con una divinità che ci giustifica dall’errore, ma si alimenta del dinamismo del colloquio con la seconda persona singolare, con la propria responsabilità personale senza per questo richiamarsi alla pluralità. La virtù, scrive Jankélévitch, compone il tutto con gli umili fatti di cronaca della quotidianità domestica, come l’ape fa il miele; per esempio, il sincero non conosce grandi e piccole circostanze, ma semplicemente una problematica giornaliera che esige un sacrificio da ogni minuto. Insomma la virtù dovrebbe essere continua e dinamica e la stessa vita morale è qualcosa che si ripete tutti i giorni del mese e a tutte le ore del giorno, pur esigendo una dialettica, una presa e una messa in discussione del pensiero.
Riccardo e Ruben giocano a scacchi, 2002
Altrimenti essa che morale sarebbe se non quella di un dilettante che esercita la virtù solo la domenica e gli altri giorni continua a fare ciò che faceva prima? La morale dell’io pensante non vuol dire imbarcarsi in una soggettività che non sa guardare, che non sa svincolarsi dalla staticità del proprio sé egoico, che non sa essere oggettiva. No, al contrario, è proprio questo io rimarginato dal pensiero e sempre lacerato che conosce, e nel conoscere sa che l’altro è qui con noi e ci impone una scelta. Il che cosa della scelta non è mai imposto o subìto ma viene fuori da una coscienza storica che è volontà etica. Volontà che agisce e si dispiega continuamente nel rispetto di una memoria e non in una sorta di parodia del cominciare sempre daccapo.
Andrea Arnold Red Road, 2014
E’ così che la soggettività si avvia verso un’oggettività feconda. Per costruire una reciprocità d’intenti e di proposte adeguate veramente incisive per far cambiare il verso negativo del mondo occorrono codici condivisi, intese linguistiche e sforzi non comuni altrimenti tutto diventa una brodaglia di slogan che non portano a niente. Soprattutto dovremmo cambiare i modelli di riferimento in cui sono percepite tutte le cose del mondo che viviamo, il che vuol dire sapere cambiare per prima noi stessi, la nostra vita, le nostre relazioni. Occorre sfuggire alla tendenza di una tematizzazione che riduce la questione ad un protagonismo mediatico. Tematizzare un argomento come quello della salvezza del pianeta nei media televisivi può voler dire imprigionarne il significato, banalizzare il gesto di rottura con i vecchi schemi e di conseguenza annullare la portata di cambiamento che il solo gesto di una locuzione come “salvare il nostro pianeta” porta con sé. .
Francesco Correggia: Turn on n the light 2014
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