Saturday, April 10, 2021

La misura e il tempo

Trascorriamo gran parte del nostro tempo a guardare il trascorrere dei minuti, delle ore, restiamo per ore ad attendere altre ore che non fuggano più il tempo come se avessimo un appuntamento a cui non possiamo mancare. Quale appuntamento e perché continuiamo a controllare il trascorrere di questo tempo che è anche il muoversi, il sostare e lo stesso oziare del corpo? E’ la disperazione che ci coglie quando non riusciamo a trattenere l’istante e lo perdiamo, quando non riusciamo a fermare la fuga del tempo.
Così continuiamo a guardare le lancette dell’orologio, il piccolo schermo del cellulare come se volessimo rendere visibile quel che non è. In realtà è il presente che vorremmo trattenere, quella piccola quantità di presente nascosta fra le lancette del tempo. L’ordine della misura è saltato perciò guardiamo costantemente un orologio, uno schermo per accertarci che l’esistenza scorre ancora anche se la salute vacilla, i nostri sensi perdono la loro linfa e i desideri svaniscono. Il fatto è che non abbiamo più tempo, il che vuol dire che non abbiamo più corpo.
D’altra parte il tempo è insaziabile e non possiamo ridurlo al solo trascorrere delle lancette dell’orologio. E’ qualcosa di diverso. La sua insaziabilità deriva dalla storia che come una gorgone macina, tritura e ritritura gli eventi del mondo e ora del pianeta e delle stesse sue manifestazioni. Scriviamo le pagine del destino attraverso lo scorrere del tempo e così misuriamo anche noi stessi. Ed è proprio questo che ci sfugge. Vorremmo fermarlo questo tempo, intervenire ancora, cambiarlo a nostro favore ma il filo è teso e come dicevano gli antichi potrebbe interrompersi ad ogni istante.
Sembra che il tempo segni il nostro destino e neppure le lancette del tempo, il tentativo di misurarlo possono servire a qualcosa, fermarlo solo per un istante, solo per noi come si fa con un brano musicale, quando vogliamo riascoltarlo. Ma esso fugge via come nel trillo del diavolo di Tartini, o la toccata e fuga di Bach, Esso è diabolico si sottrae all’istante, alla sosta. Vorremmo farlo con la parola ma anch’essa ripiega , si distende ma poi arretra. Non riusciamo mai ad afferrarlo a sufficienza poiché il tempo è legato al nostro di corpo, all’esperienza della nostra vita qui sulla terra. E’ un tempo finito come lo è il nostro corpo. Tempo vissuto che finirà nel nulla.
Questa specie di distanza, di aporia fra le lancette, il cronometro e insomma tutti gli strumenti che servono a misurare il tempo e la sua irriducibilità corporea o metafisica è irrisolvibile. Possiamo ciononostante venirne a capo con la parola, la scrittura, la letteratura, la pittura. Quel che ci viene incontro e potrebbe aiutarci a comprenderlo è proprio il tempo letterario ma sembra che esso non appartenga più ai romanzi contemporanei, a ciò che i giovani narratori, molto pubblicizzati dai media riescono a fare arrivare sugli scaffali delle librerie come Feltrinelli, Mondadori, ecc.. Dov’è andata l’opera scandita dal tempo letterario di un Proust, di un Musil, di un Joyce tanto per intenderci. Lo scrittore contemporaneo ama raccontare piccole vicende televisive, storie banali che neppure hanno a che fare con il contingente, la natura delle cose con la stessa narrazione, con la storia. Esse sono come lo scorrere del tempo scandito dalle lancette dell’orologio. Tutti si riconoscono nella trama del romanzo, nella storiella raccontata e addio letteratura. Bisogna leggere i classici per capire, come scriveva Calvino in Perché leggere i classici, cosa vuol dire il tempo letterario. Ma ormai chi li legge più ?
In questi due anni il Covid ci ha costretti a chiuderci in casa. Avremmo potuto usare meglio il nostro tempo e invece niente. Abbiamo guardato la televisione e osservato scorrere le lancette dell’orologio acquistando i romanzetti suggeritici dalla Maraini in televisione e i libri più venduti sulle pagine di La lettura del Corriere della sera, senza domandarci alcunché sul tempo, sulla parola, sulla letteratura nel tempo della povertà, sulla vita, sul pianeta. In televisione abbiamo visto i soliti personaggi, imbonitori della comunicazione rimbambente. Abbiamo visto sfilare sulla tele, la feccia volgare dei programmi d’intrattenimento, e programmi in cui venivano presentati libri di scrittori da romanzetto sentimentale, autori della superficialità, dell’apparenza e del consenso generalista.
Li abbiamo visti arrivare tutti infagottati dai loro schermi seducenti in programmi che pretenderebbero di far cultura, questi giornalisti, magistrati, virologi tutti a scrivere romanzi, saggi pietosi. Bei volti, donne affascinanti, modelle di regime, caste presentatrici, giochi stupidi, esempi di vanità ed evasione strisciante. Tutto nel nome della pandemia, dello spettacolo televisivo integrato, dei media, della comunicazione di regime. Che miseria. Nessuno approfondimento, nessuna traccia di verità tranne in pochi casi. Ed è così che lasciamo scorrere il tempo illudendoci che esso possa stare tra le lancette dell’orologio, gli appuntamenti televisivi, il sistema pubblicistico, le fake news, tanto per non dire che si tratta della parola falsa, malevole, strisciante, ingannevole che non è solo appannaggio delle reti sociali, ma anche dei media, televisivi e giornalistici.
E che dire del tempo dell’arte e soprattutto del tempo della pittura. Ci hanno vietato di andare per musei, dove finalmente contemplare in silenzio e in raccoglimento le opere dello spirto umano, la sua storia, la sua energia, poter piangere e godere di un’opera d’arte. Anche in questo caso è stata una celebrazione di riti, di falsità, di un mondo dell’arte votato al mercato che non ha niente a che fare con l’arte e il suo pensiero.
Abbiamo visto arrivare in televisione pittori inesistenti, dall’immagine edulcorata e saporifera per un pubblico di massa orami votato alla stupidità del vedere televisivo. Intanto ci hanno vietato di poterci avvicinare a ciò che si mantiene nel tempo, all’essenza stessa del tempo. Non del tempo cronologico ma di quel tempo che rappresenta l’essenza stessa di noi viventi che abitiamo questo pianeta seppure nell’oscurità del presente. Di quel tempo che con l’arte , la poesia e la letteratura ha una continuità, un debito di riconoscenza.
Ci raccontano che tutto a breve tornerà come prima. Come prima come? Forse si tratta di tornare allo stesso sistema economico, alla corruzione, alle feste, alla movida, allo sperpero, ai consumi inquinanti? E’ proprio a ciò che non bisogna tornare, a quel che c’era prima. Non bisogna annullarlo questo tempo con una frase fatta, con la retorica del tempo e del suo superamento ma comprenderlo, come diceva Sant’Agostino, in una rinnovata distensio animi, in uno stare insieme che apra ad un nuovo progetto di vita, rispettoso della natura, dell’ambiente e dell’altro. Non c’è passato, presente, futuro ma solo presente. E’ per tale ragione che il presente è una costante interpretazione.
Non possiamo raggiungerlo questo presente con l’attesa di istanti che non fuggano via, istanti fedeli alla nostra precaria salute. Agostino, dopo aver espresso l’ulteriore dilemma della misurazione del tempo e delle sue difficoltà insanabili, giunge alla sua spiegazione finale, cioè che il tempo si misura nello spirito umano.
Il tempo è perciò il luogo della perdizione, ma anche della salvezza, perché in esso l’uomo decide se attaccarsi ai beni di questo mondo o servirsene per elevarsi a Dio. E’ lo spirito che si mostra nell’arte, nella letteratura, nella poesia. Esso avvicina l’uomo all’eternità, che fa si che il presente che non vogliamo ci sfugga possa trasformarsi in memoria, possa eternarsi.
Non possiamo tornare a essere quel che eravamo con le nostre facezie, i vizi, la ricerca del successo a tutti i costi, la spazzatura televisiva, il protagonismo, il narcisismo, le miserie negando appunto al tempo di farsi corpo dell’essere. All’uomo, dunque, proprio in quanto immerso nel tempo, si presenterebbe questa scelta: chiudersi in esso, al suo scorrere tra le lancette e sugli schermi o trascenderlo, aprendosi all’Eterno. Forse questa aporia bisognerà viverla fino in fondo. La risposta non sta né da una parte né dall’altra, ma dal modo con cui affrontiamo le scelte da fare, ora e adesso in questo tempo, tra storia personale e storia del mondo, tra noi e il pianeta.
Immagini: 1 – Toccata e fuga J.S. Bach 2 – Anselm Kiefer Book 3 – Adesso ce ne andiamo, romanzo, Correggia 2021 4- Michael Borremans, the skirt, 2015 5 - Giuseppe Tartini, ritratto 6 – Seurat, the shore at bas-butin honfleur, 1886 7 . G. Segantini, La sorgente, 1896 8- Martin Agnes, Senza titolo, 1963 9- Fabrice Hibert, approfondir au elargir 1992 10 Patrick Carillon, the flat, 1998 11. Lawrence Weiner, on view, 2020 12- Cy Twomly, at the tate, 2008 13 Francesco Correggia, the day, 2002

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