Friday, August 21, 2020

Niente è cambiato

Sembrava che il Covid-19 avesse potuto portare a un cambiamento di abitudini, a un mutamento virtuoso dei nostri stili di vita, invece purtroppo dobbiamo costatare che niente di tutto ciò è accaduto, niente ha modificato alcunché nel nostro spirito e nei nostri comportamenti. Ancora adesso che l’onda pandemica non si è esaurita del tutto, l’essere umano non ha modificato le proprie abitudini. Continua a divertirsi, consumare, sporcare il pianeta infischiandosi dei cambiamenti climatici e degli altri. E’ triste doverlo ammettere ma proprio in questi giorni ferragostani si è scatenata soprattutto da parte dei giovani un’irresistibile pandemia di divertimento, di assalto alle spiagge, di turismo insensato. La nostra unica preoccupazione sembra essere stata quella di sostenere il turismo di massa, di inebriare le persone con false promesse, di sostenere l’economia, di non chiudere le discoteche, godere ed essere colmi di felicità, anche se quest’ultima, molte volte è a danno degli altri. La nostra società è fondata sul divertimento, le distrazioni, lo svago, la dimenticanza, il consumo, l’impero mediatico, altro che responsabilità cui molti si richiamano. Come non pensare che tutto ciò sembra avere a che fare con una nuova dittatura costruita sul consenso di massa, sull’appiattimento del linguaggio, sui social network, sulla menzogna, sull’immagine, sulla persuasione, come afferma Michel Onfray nel suo ultimo saggio dal titolo Teoria della dittatura. La sua analisi prende a modello quel socialismo che Orwell aveva messo alla gogna con il suo libro La fattoria degli animali. Ora per Onfray questa analisi sembra prendere di mira l’Europa di Maastricht anch’essa colpevole di una visione distorta della realtà che nel nome della giustizia sociale favorisce la produzione aziendale, la disuguaglianza e l’impero dell’alta finanza. Avrei molte cose da obbiettare su questa tesi ma preferisco mantenermi su una dimensione meno revisionista e retorica e più critica. La tesi di partenza di Onfray è molto generalista. Nel criticare il sistema stalinista dell’Unione sovietica Onfray afferma che la dittatura nazifascista è analoga a quella stalinista, sostenendo in sostanza che i campi di sterminio, la Shoah e i gulag sono la medesima cosa; sono tutte alimentate da dittature feroci e da regimi totalitari. In sostanza il suo ragionamento è che nei campi di sterminio si deportavano gli ebrei, gli zingari e gli oppositori politici così come nei Gulag venivano deportati i nobili, gli aristocratici, i dissidenti e dunque non esistono differenze. No, non è la stessa cosa, la logica di sterminio scientifico, sistematico di tutti gli ebrei non è paragonabile, neppure lontanamente, a quella dei Gulag che in qualche modo, anche se in maniera criticabile ed eccessiva, rimaneva in una logica di regime politico, di lotta violenta e totalitaria. Il revisionismo storico ha le gambe corte se non si guardano realmente i fatti, i contesti, le fonti, i documenti, le testimonianze. Bisogna imparare a distinguere, anche se questo costa fatica. L’Europa nata da Maastricht non è per nulla identificabile con le dittature cui abbiamo assistito nel Novecento, né porsi come riferimento per una teoria della dittatura dell’oggi, anche se ciò che lega i paesi europei è solo la questione economica e produttiva. Mi sembra che l’Europa stia facendo dei passi avanti in una dimensione di solidarietà, di lotta alla povertà, di salvaguardia del clima e riconversione economica in senso ecologico, anche se ciò non basta. Tuttavia ci sono aspetti della teoria della dittatura che Onfray analizza nel suo libro degni di nota, per comprendere meglio ciò che sta accadendo nel nostro mondo, senza che nessuno se ne renda conto. Tanto per citarne alcune di queste questioni, faccio riferimento soprattutto all’impoverimento della lingua, la distruzione del lessico, l’eliminazione dei classici, l’abolizione della verità, la strumentalizzazione della stampa, la diffusione di notizie false, la cancellazione del passato, la negazione della natura, l’industrializzazione della letteratura e dell’arte, il divertimento come liberazione da ogni vincolo, la propagazione dell’odio. Questi sono alcuni di quegli aspetti che ci fanno pensare a una dimensione di emergenza per il pensiero. Per tornare alle dimensioni pandemiche che vengono dall’esterno, dalla peste di antica memoria a quella di oggi, si è indotti a credere che le questioni che abbiamo sollevato fin qui non c’entrino niente né con le vecchie pandemie né con il Covid. Quella che stiamo vivendo ora, prima o poi passerà e di nuovo tutto tornerà come prima. Non è così
. La pandemia si propaga con il contagio. Il contatto non è più fisico ma invisibile con ciò che è inafferrabile e che colpisce tutta la comunità. Sergio Givone nel suo ultimo saggio dal titolo: Metafisica della peste scrive che fa parte del nostro destino, quello di essere uomini mortali esposti a ciò che non possiamo né controllare né prevedere. Le pandemie accompagnano le nostre esistenze non solo come realtà che ci infettano portandoci alla morte, ma anche come una colpa che si estende su tutta la vicenda umana fino a infettare il web e toccare così da vicino le nostre esistenze diventando metafora delle paure contemporanee (emergenza, malattia, inquietudine). Al di là dei dati pandemici ciò con cui abbiamo a che fare è qualcosa cui non possiamo sottrarci e che è anche il privarsi di qualche libertà e che chiama alla responsabilità nei nostri comportamenti e nei nostri gesti quotidiani. Ognuno di noi oltre a contagiarsi può divenire un potenziale contagiante. Ciò non può essere eluso con il ritornello tanto prima o poi arriverà un rimedio, poiché le questioni che abbiamo sollevato rimangono, né si risolvono con un nuovo vaccino. Forse una nuova pandemia scoppierà ancora e forse non sarà più possibile, recriminare, o tornare indietro. Gli effetti poi dei cambiamenti climatici sono evidenti a tutti e ormai il processo è irreversibile e impone scelte non solo in campo energetico ma anche nei nostri modi di produrre e creare lavoro. Come abbiamo già scritto nel libro dal titolo Ai bordi dell’arte, pubblicato di recente da ZONE ma anche molto prima del Covid con Inquietudini, denaro , politica e arte, pubblicato da Lanfranchi editore, occorre cambiare il nostro modo di pensare. Bisogna che la responsabilità sia etica e autentica, nel linguaggio che parliamo e nei nostri gesti quotidiani, bisogna rinunciare all’odio, sviluppare argomenti, uno spirito critico, una virtù del commento e non dell’esagerazione, un’etica dell’estetica, interrogarsi sul senso della nostra esistenza e dello stare al mondo, insomma imparare a essere discreti, virtuosi e solidali. Ce la faremo ?

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