Wednesday, March 27, 2019






                                    Che cosa possiamo dire a proposito dell’amore.

                                            Lorenzo Lotto, Venere e cupido  1540

Che cosa possiamo dire dell’amore, della sua energia, della sua capacità di farci vivere, del suo compimento? Si vive per amore sembra esser questo il motto di oggi. Di quale amore stiamo parlando? Di quello verso Dio, del corpo assente, del corpo desiderato, dell’altro, dell’immagine? In tutti i casi l’amore sembra confliggere con la ragione. Parliamo dell’amore riferendoci a quella  forza che ci fa sragionare che impegna senza riserve tutto il nostro essere,  che ci porta  verso l’oggetto del nostro desiderio,   ci spinge ad aspettare mentre l’altro non aspetta mai. Che cosa vuol dire  amare un viso, un corpo  o un’immagine di corpo, aspettando  che  l’altro o l’altra ci ricambi ?
L’amore s’incunea dentro di noi all’improvviso e ci fa deviare, ci costringe a pensare e ad agire in maniera diversa, ci cinge di desiderio e ci fa essere solo per l’altro, per quella persona, per quello sguardo, per quell’attesa. L’altro che desideriamo e che pensiamo di amare ci fa soffrire, ci getta nella disperazione. La sensazione che si prova quando l’essere che amiamo non ricambia è quella di una vera e propria catastrofe. Siamo sbalorditi, la disperazione s’impossessa di noi. Le cose che sapevamo di potere fare ora non le sappiamo più fare. Borbottiamo, inciampiamo, zoppichiamo, arrossiamo davanti all’essere amato.  Ma è proprio così o ci siamo stiamo sbagliando e l’amore al quale spesso ci riferiamo è solo un’invenzione letteraria, cinematografica, televisiva di cui possiamo parlarne in senso narrativo e  psicoanalitico e quel che ci accade pensando di amare è solo un  nostro disturbo, un qualcosa che può essere curato ?  

                                                            Liu zheng three country strippers, 2002

Parliamo dell’amore e non possiamo fare a meno di pensare che nel momento in cui ne parliamo esso diventa un discorso. Forse è un modo di parlare di noi agli altri o forse ancora nel mondo amoroso non vi sono pulsioni e neanche piaceri, desideri e pelle ma solo un’attività di parole travolgente e inconfessabile. Lo abbiamo visto di recente in televisione con le parole di Massimo Recalcati che sul tema dell’amore ha imbastito una commedia infinita. Recalcati nelle sue conferenze e seminari ha sempre fatto il pieno di signore dell’alta società. Signore eleganti, belle, sensuali e conturbanti che lo guardano, lo adorano s’invaghiscono delle sue parole, delle sue citazioni letterarie e filosofiche, forse se ne innamorano, colte da un raptus sensuale ed erotico. 

                                                     Barbara Seiler You talkin to me, 2017
Niente da dire, Recalcati oltre a sapere aprire all’immaginazione poetica e sensuale delle signore è anche un bell’uomo.  Parola e immagine qui convivono bene offrendo alla platea di ricche signore un armentario di metafore, allitterazioni, simboli, livelli narrativi piacevoli e conturbanti. L’amore non è più trattato come una malattia ma come un sintomo di qualcos’altro, un segno della nostra esistenza, un modo per entrare in contatto con la vera essenza della sua natura, con il nostro inconscio, le nostre paure e angosce. L’amore è libertà d’essere, è rivelazione.   

                                          
                                           Daria Martin   from minotauro  2008

Senza le parole le immagini sono come le nuvole. Esse sfuggono non appena ci sembra di vederle. Così è anche per l’amore.  Esso vive dell’assenza dell’altro, della mancanza, della sottrazione. Nell’amore dei mistici verso Dio è l’offerta del proprio corpo, la sua negazione o la sua trasmutazione che prevale senza alcun pentimento. L’essere in Dio coincide con la pienezza assoluta dell’amore. Non esiste altra passione della stessa intensità. Quella che cancella ogni dubbio e che ci fa salire ai vertici della passione è l’amore verso Dio. 

                                     Everett Millais, Ophelia, 1851


L’amore qui consiste proprio nella preghiera, nell’osservazione rigorosa dello schema religioso. Amore come un dono, un donarsi senza mediazioni. Esso diviene ancora più potente proprio per non poter essere ricambiato, né con un gesto né con uno sguardo se non con una promessa, con l’attesa, con il superamento del presente e la negazione della carne. La parola prevale sul corpo anzi si fa sostanza del corpo. Essa è carne dello spirito.  E’ l’ascesi mistica. L’abbandono del corpo come carne e pelle che si concede all’altro, a quel Signore che vuole la tua completa ubbidienza. L’estasi raggiunta si tramuta in un orgasmo, nel massimo dei piaceri come accade in Santa Teresa d’Avila così ben rappresentata nella celebre scultura di Bernini la Transverberazione di Santa Teresa d'Avila.  In quest’opera Eros e Thanatos sono tutt’uno, sono la totalità dell’essere.    

                            Lorenzo Bernini, l'estasi della beata Ludovica Albertoni ca 1670

Per tornare alla natura dell’amore umano dobbiamo riferirci a un piccolo essere divino che nella mitologia greca è Eros.   Generato da Ares (dio della guerra) ed Afrodite (dea della bellezza), fratello di Anteros, (dio dell'amore ricambiato), Armonia, Deimos e Fobo,  egli è armato di un arco col quale scaglia le infallibili frecce agli umani dalla cui ferita provocata nasce il mal d’amore. Sembra che appena nato,  a Zeus bastò guardarlo in viso per capire che quel piccolo sarebbe stato fonte di innumerevoli guai. Per questo motivo cercò di convincere la madre a sopprimerlo ma Afrodite per salvarlo lo abbandonò di nascosto in un bosco dove fu nutrito da bestie feroci. Questo è quello che racconta il mito. Fu da solo che egli si costruì l’arco per portare lo scompiglio nel genere umano lanciando le sue frecce,  accendendo il fuoco amoroso e facendolo ardere fino alla fine, al quasi annientamento del malcapitato o della malcapitata.  
Il fanciullo divino porta scompiglio nell’ordine precostituito, scaglia le frecce senza curarsi di chi colpisce, il ricco e il povero, il potente e lo schiavo, la ragazza e il delinquente, giovani e anziani. Li fa innamorare fino all’annientamento. A volte si diverte a fare innamorare uno di loro condannandolo a non essere corrisposto costringendolo alle cosiddette pene  d’amore, fino ad uccidersi per amore, oppure a subire violenza.   Eros è rivoluzionario o forse meglio è un rivoltoso. Non ascolta il padre,  ma agisce per conto suo, protetto da Afrodite.

                                      Scultura epoca romana

Abbiamo sempre pensato a questo aspetto rivoltoso dell’amore al suo risvolto erotico, sessuale che fa stare insieme persone non sempre affini, per identità, cultura, ceto, età. In realtà non è proprio così almeno in questo tempo. Siamo in un’accelerazione temporale in cui dire ti amo senza conoscere veramente cos’è l’amore è molto più facile di appena cinquanta anni fa. I media e le tecnologie mediali, gli smartphone hanno reso tutto molto più semplice. La parola “amore” circola in rete senza alcuna conseguenza. Ci si innamora dell’altro perché l’altro è più bello, o bella, affascinante, attraente perché è un’immagine seducente che ci arriva dallo schermo oppure perché è semplicemente ricco sfondato o per lo meno così ci sembra. Diciamo ti amo ad un’immagine che ci fa fantasticare. Abbiamo perso l’uso del corpo.  Tutto il resto sono fandonie adatte a un pubblico credulone e incapace di un vero rapporto con la realtà delle cose e dei corpi.  

                                        Sophy Rickett Vauxhall Bridge 1995

L’amore a cui ci si riferisce nella pubblicità, in televisione, nelle farse televisive  è solo mito, menzogna, letteratura. Anche  coloro che stanno insieme da molto e di cui sono pieni i programmi televisivi si amano per abitudine, per convenzione, per stanchezza, per non stare soli. Non si è comunque innamorati veramente ma solo del lato convenzionale dello stare insieme, nel fare l’amore ogni settimana con lo scadenzario, nel fare la spesa insieme, nel tradire. Si tradisce non per trasgredire o per una passione amorosa ma per fare sesso, per  rompere una consuetudine per poi  tornare indietro al nostro ovile, alle sicurezze giornaliere.  Tutto secondo schemi ben collaudati. Niente di esaltante, di glorioso, di mistico, di veramente erotico. Si fa l’amore per abitudine, per convenienza. L’amore sessuale l’abbiamo confinato nella pornografia che forse è l’unico momento rivoluzionario di ciò che chiamiamo amore. La pornografia non è solo qualcosa che circola nei circuiti pornografici attraverso i dvd o in internet ma è qui davanti a noi.  

                               Jacques Antoine Vallin tre ninfe nei pressi della foresta 1770

L’esibizione dei corpi che fanno sesso nasconde la mancanza di amore in un universo attraversato non dalla follia dell’amore o dalla disperazione ma dal lusso e dal denaro, qualcosa che ha invaso la nostra vita quotidiana.   La pelle è abolita ora bisogna penetrare i corpi,  implementarli,  farne delle macchine Nel futuro forse faremo sesso con i video giochi e dell’amore come follia d’amore, come capovolgimento delle nostre certezze, come forza incandescente ed esaltante   non rimarrà più nulla se non qualche esperienza letteraria. Forse finiremo per amare un robot. Allora rileggeremo con malcelata nostalgia il libro di Barthes dal titolo Frammenti di un discorso amoroso pubblicato nel lontano 1977,  allora considerato dallo stesso autore fuori moda. Oppure ascolteremo lo Psicanalista dotto,  il Recalcati di turno   che ci farà viaggiare in mondi immaginari, nel passato e nel presente, seducendoci e ammaliandoci con le sue transitorie parole.  

                                                             Braissai Parigi di notte 1925 

Ora che l’amore è declamato, celebrato ed è diventato di  moda, non c’è amore in questo mondo ma solo esibizione, denaro e lusso ed è di questo che ci si innamora e non dell’altro da noi. Ci si innamora del nostro spietato narcisismo.  Non si è innamorati che  di un’immagine. Il colpo di fulmine quello che si chiama invaghimento si compie attraverso un’immagine. Quella che ci rapisce è un’immagine visiva in azione. E’ la situazione che finiamo per amare e verso cui scatta la passione. Non si tratta di una questione irrazionale che all’improvviso s’impossessa di noi ma di puro calcolo. Occorre che l’immagine appaia nel suo contesto, bisogna che essa sia in situazione perché scatti la figura dell’amore.

                                              L'ermafrodito, statua romana

 L’amore come passione amorosa come forza  del cambiamento e come essenza presupporrebbe un sacrificio una dedizione una sofferenza, un passo indietro, un’umiltà,  una pazienza, di cui ormai non siamo più capaci.  L’amore verso l’altro o l’altra significa un corpo altro che chiede di essere ascoltato e amato per quello che è,  nella sua nudità interiore ed esteriore e non per la  fascinosa bellezza o  il denaro che l’amato evoca o per  come si presenta e appare. Amore vuol dire significazione che ci fa toccare quella  pelle dell’invisibile che ci cambia e apre al vero corpo dell’amore, alla voluttà d’amore. Significa rinunciare al senso e alle certezze, amare l’amato o l’amata senza condizionamenti senza calcolo. Significa infine  rivoltare la nostra vita, tornare ad esistere.  Essere per amare e non amare per fare finta di esistere.   


  
  Fermo immagine da un Video di Francesco Correggia, 2004 

  

     







Friday, March 22, 2019


Salvare il nostro  pianeta

Sicuramente il cambiamento climatico ci fa riflettere sulla possibilità di una fine immediata del genere umano e ci costringe a pensare che il nostro pianeta è un bene, una casa, la nostra casa. Lo abbiamo sfruttato, considerato come una pattumiera, un’inesauribile risorsa per i nostri affari, i nostri sporchi traffici. Il problema dell’inquinamento e del degrado ambientale è ormai da qualche decennio all’ordine del giorno. La salvezza del pianeta e la questione ecologica si sono incrociate inevitabilmente.

                                         
                                          Barry Flanagan,  1967
                           


 E’ già da decenni che le problematiche dell’ambiente e del clima sono state poste da scienziati seri e competenti, ma anche da artisti come Joseph Beuys con il suo progetto in difesa dell'uomo e dell'ecologia, le installazioni di Hans Haacke, Michael Heizer, Robert Smithson, Richard Long, Barry Flanagan, Dennis Oppenheim, e poi le sculture di Vito Acconci, le installazioni di Mona Hatoum, la ricerca più recente di Brandon Ballangée, Marjetica Potrc, Nikola Uzunovski, e tanti altri. A nulla sono bastati i numerosi convegni di scienziati, accademici, pensatori per fermare la tendenza alla distruzione, fare un passo indietro, invertire la rotta della ricerca tecnologica verso energie pulite, alternative.

                              
                               Mark Dion, birds of an twerp, 2007

Abbiamo continuato come se niente fosse a immettere nell’atmosfera CO2, sprecando, inquinando, sboscando e desertificando. Abbiamo continuato a comprare automobili e a servirci ancora del petrolio addirittura in qualche caso del carbon fossile. I pochi esempi di energia pulita sono sembrati antesignani di una produzione costosa e difficile, fatta solo per ricchi e aziende che hanno fatto della riconversione industriale il loro marchio distintivo per continuare a fare grandi guadagni. Ora la coscienza mondiale sembra destarsi. La ragazzina svedese che con un candore incredibile appare in televisione invitando tuti a salvare il pianeta nel nome delle future generazioni, sembra uscita da una loggia del paradiso per parlare a noi miseri mortali.


                                   
                                    Carl Grossberg The paper machine 1934


Ci costringe finalmente a guardare in faccia la realtà, a prendere atto dell’enorme mostruosità che sta accadendo. Folle di giovani e non più giovani senza un’identità politica finalmente sono scese in piazza non per una protesta giovanile qualsiasi, per rivendicare qualcosa, ma per dirci esattamente la verità, ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi e che si annuncia con un cambiamento climatico irreversibile. Salviamo il pianeta, questo è il loro slogan. Questa dichiarazione è come un annuncio irrevocabile, sembra un imperativo categorico. Un imperativo alto che impone non una scelta, ma una salvezza, non per noi ma per quelli che verranno dopo di noi, per i nostri figli, nipoti. Essi ci guardano e chi chiamano alla responsabilità. Parola abusata e accerchiata da politici insensibili corrotti e ignoranti.

                                       
                                       Ozu Yasujiro, Viaggio a Tokyo, 1950

 Questi giovani e non giovani ci dicono precisamente: l’ora sta per scoccare. In questa semplice avvertenza e cioè salvate il pianeta ce n’è in fondo un’altra che suona: nessuno verrà a salvarci, non ci sarà un intervento divino che interverrà al posto nostro. Siamo noi i responsabili del disastro ambientale e dobbiamo essere noi gli artefici della salvezza e rinascita del nostro pianeta. Per tornare ai temi ecologici appare sempre più evidente che esso è un problema intrecciato con altre questioni altrettanto importanti come l’economia, il denaro e la finanza da una parte e dall’altra la genetica, la cibernetica, la bioetica. Le questioni sono così complesse che, da un punto di vista dei media e della divulgazione televisiva, sembrano confondersi assumendo un aspetto così generalizzante da farle apparire vaghe, indefinite, esoteriche.

                                   
                                     Carl Gustav Carus  Flusslandschaft im Rosental bei Leipzig, 1825

Ciò non fa altro che eludere il problema, l’urgenza, gli interventi sostanziali che sono utili per fermare il disastro ambientale e climatico. Non bastano le immagini televisive e qualche talk show o programma di intrattenimento per creare una nuova sensibilità e costringere i governi a intervenire, a fare sul serio e così fermare il disastro incombente. Le parole televisive, come le immagini restano mute, non hanno alcun senso, appaiono vuote così come le altre parole e le altre immagini che marcano i nostri atti. Siamo alla ricerca di parole nuove, semplici e che vanno al cuore del problema, che non siano esorcizzanti o convenienti ma che ci fanno realmente pensare altrimenti, cambiando la logica della nostra esistenza, del linguaggio che usiamo e di conseguenza ad agire nel rispetto della natura, dell’ambiente. Siamo noi che dobbiamo cambiare, con il nostro modo di vivere, di sprecare, di parlare. Siamo noi e non altri che dobbiamo sacrificare qualcosa della nostra vita, rinunciare al lusso, alla smodatezza con cui consumiamo, con cui alimentiamo il disastro. Sappiamo bene che non bastano i dibattiti, i convegni sullo stato del pianeta, i richiami di responsabilità a far cambiare rotta ad abitudini, passioni, desideri quando ancora guerre e desolazioni, terrorismi, fanatismi e razzismi giganteggiano nel mondo. Non si tratta soltanto di essere-nella-relazione con la Vita e la Natura; compiere adeguate connessioni tra le informazioni provenienti degli svariati campi della conoscenza e dell’esperienza; e sviluppare di conseguenza una propria Weltanschauung. Qui, al contrario della visione antropocentrica, è necessario fermare la mano dell’uomo che contamina la stessa sua casa e la rende inabitabile.

                                         
                                   
                                             Anthony Goicolea,  Last supper, 2008

 La possibilità di un mondo che si rinsalda con la vita del pianeta passa da una dimensione di pensiero che sappia prendere le distanze dai modi con cui finora abbiamo sfruttato il pianeta, rovesciando, in buona sostanza, i rapporti di forza finora consolidati tra il fanatico mercato globalizzato e l’emergere delle problematiche ambientali. Per farlo bisogna interrogarsi sul presente, frenare il ritmo delle distruzioni che si operano nel nome del rendimento, della demografia e della produzione. Occorre una cultura virtuosa, nel senso indicato da Vladimir Jankélévitch, che non si avvita su se stessa nel cercare un contatto con una divinità che ci giustifica dall’errore, ma si alimenta del dinamismo del colloquio con la seconda persona singolare, con la propria responsabilità personale senza per questo richiamarsi alla pluralità. La virtù, scrive Jankélévitch, compone il tutto con gli umili fatti di cronaca della quotidianità domestica, come l’ape fa il miele; per esempio, il sincero non conosce grandi e piccole circostanze, ma semplicemente una problematica giornaliera che esige un sacrificio da ogni minuto. Insomma la virtù dovrebbe essere continua e dinamica e la stessa vita morale è qualcosa che si ripete tutti i giorni del mese e a tutte le ore del giorno, pur esigendo una dialettica, una presa e una messa in discussione del pensiero.


                              
                              Riccardo e Ruben giocano a scacchi, 2002

 Altrimenti essa che morale sarebbe se non quella di un dilettante che esercita la virtù solo la domenica e gli altri giorni continua a fare ciò che faceva prima? La morale dell’io pensante non vuol dire imbarcarsi in una soggettività che non sa guardare, che non sa svincolarsi dalla staticità del proprio sé egoico, che non sa essere oggettiva. No, al contrario, è proprio questo io rimarginato dal pensiero e sempre lacerato che conosce, e nel conoscere sa che l’altro è qui con noi e ci impone una scelta. Il che cosa della scelta non è mai imposto o subìto ma viene fuori da una coscienza storica che è volontà etica. Volontà che agisce e si dispiega continuamente nel rispetto di una memoria e non in una sorta di parodia del cominciare sempre daccapo.


                                 
                                        Andrea Arnold Red Road, 2014


 E’ così che la soggettività si avvia verso un’oggettività feconda. Per costruire una reciprocità d’intenti e di proposte adeguate veramente incisive per far cambiare il verso negativo del mondo occorrono codici condivisi, intese linguistiche e sforzi non comuni altrimenti tutto diventa una brodaglia di slogan che non portano a niente. Soprattutto dovremmo cambiare i modelli di riferimento in cui sono percepite tutte le cose del mondo che viviamo, il che vuol dire sapere cambiare per prima noi stessi, la nostra vita, le nostre relazioni. Occorre sfuggire alla tendenza di una tematizzazione che riduce la questione ad un protagonismo mediatico. Tematizzare un argomento come quello della salvezza del pianeta nei media televisivi può voler dire imprigionarne il significato, banalizzare il gesto di rottura con i vecchi schemi e di conseguenza annullare la portata di cambiamento che il solo gesto di una locuzione come “salvare il nostro pianeta” porta con sé. .



 Francesco Correggia:  Turn on n the light   2014