L’arte
contemporanea si trova su un bordo che somiglia molto al bordo libero di una
nave in balia delle onde da dove si può precipitare in mare oppure rimanere sul
suo bordo tra un ponte e l’altro. In
questo bilico tra il cadere in mare aperto con il rischio di perdere la vita o
rimanere a bordo della nave dove si sta in equilibrio tra limite e illimite
consiste l’impossibilità di portare a compimento il nulla. L’artista
contemporaneo preferisce stare all’asciutto dimenticando di avere a che fare
con la storia. La perdita di coscienza è una specie di sincope, una
dimenticanza da cui ci si può sottrarre solo attraverso l’offerta sublime
dell’arte: il dono e la sottrazione.
Solo se l’arte
diventa offerta che contiene in sé il gesto del donarsi totalmente, rischiando
la propria sparizione, sottraendosi ai riti nefasti della comunicazione, ci può
essere un discorso vero sull’arte, almeno una sua traccia. Purtroppo oggi si
dona solo la dimensione lussuosa dell’arte, la cupidigia mercantile e non la
dimensione ontologica, la meditazione sull’inaudito che attraversa il mondo. Se
non si ha a che fare con la necessità ontologica di ripensamento del senso nel
prevalere della tecnica, che cosa possiamo pensare intorno all’arte se non in quell’unica
prospettiva del nulla in cui precipita?
Fra’ Arsenio, al secolo Donato Mascagni (Firenze, 1570 circa – 1637) raffigurante Il Conte Ugolino, del 1611
Per l’arte contemporanea la questione dell’impegno verso un’ermeneutica del soggetto come conoscenza di sé e negazione inesausta degli apparati di regime sembra sia stata esclusa, quando invece è questo ripensamento la sua salvezza. La fuga dall’essere è il modo con cui l’arte insieme alla tecnica e al cantiere dell’artificio mettono in atto e s’insediano nel nuovo modo della volontà, della creazione e dei progetti. Scrive Peter Sloterdijk nel suo libro Non siamo ancora stati salvati: Il vecchio essere e il suo ente si vedono superati da un’aggiunta di nuove realizzazioni che hanno sempre più potere, realizzazione i cui prodotti si dispiegano come atti dell’artificializzazione nelle culture degli apparati e delle immagini. Ciò che un tempo si chiamava essere, già da oggi sembra una cappella fra grattacieli, o un cercare la prova dell’esistenza di Dio in una stampa da computer. È la pratica del dono e del suo artificio che deve essere posta al centro di quel fare e non fare, del Dire e non Dire. Se il cammino dell’arte contemporanea è qualcosa che ha a che fare con la vita stessa, con ciò che accade, e non è solo universo rappresentazionale dell’immediatezza, cioè un discorso tecnico, allora le pratiche del sé, dell’uscita dal sé, il discorso vero, assumono un ruolo di primo piano. Il pensiero della fine è il limite stesso. Ciò che realmente finisce è la possibilità di riflettere sulla storia dell’arte, della tecnica e della volontà a partire dalla storia dell’essere. È il bordo dell’arte. Il limite toccato, la vita sospesa, il cuore che batte, la sottrazione, la negatività disperata e insieme l’insonnia che si trasformano in un esilio che non ha più fondamento. È per questo che l’artista vero è inimitabile.
È solo da questa
prospettiva che possiamo comprendere il versante etico dell’arte contemporanea,
l’inimitabilità. L’arte, in quanto rigeneratrice di senso là dove esso non c’è,
riprende un ruolo di svelamento e di interpretazione della natura delle
immagini in un’etica della rappresentazione che non ha volontà ma solo
necessità ineludibile dell’in-essere nel mondo, il che si deve intendere come
“esser dentro”, dentro il segreto dell’inafferrabile.
Si tratta di una
dimensione che ha a che fare non solo con l’etica ma anche con gli stessi modi
del pensare, con la meditazione intorno al mondo, alle pratiche del soggetto e
agli stessi linguaggi dell’arte. Le pratiche dell’arte sono pratiche del senso
d’essere, del discorso vero e anche pratiche di disubbidienza costante e senza
condizioni. E quale può essere questo discorso oggi? Esso si presenta come
interrogazione e come capacità di stare ai bordi del limite e del senza limite,
misura e dismisura fra natura e cultura. L’arte contemporanea non può fare a
meno di pensare l’in-essere, come non può fare a meno di praticare una
disubbidienza nuova verso ciò che abbaglia. La vera luce sta’ dietro ogni
apparenza e si rivela proprio attraverso un donarsi oltre ogni limite.
il discorso artistico
dominante identifica l’arte con il mercato, il protagonismo, il successo
personale e resta cieco davanti a qualsiasi opera prodotta e distribuita
secondo qualsiasi altro meccanismo. In questo senso non si può eliminare il sospetto
che l’esclusione dell’arte non prodotta secondo le condizioni standard del
mercato abbia un solo scopo e cioè la soppressione di ogni elemento critico, la
coercizione della rappresentazione visiva, la disumanizzazione e la
soppressione del pensiero sull’essere.
L’arte, non solo quella contemporanea che ormai è una locuzione spenta,
non può essere un circo all’aperto, un parco giochi dove si sperimentano le
tecniche intermediali del consenso, le formule, i testi e le immagini
dell’intelligenza artificiale ma deve saperci indicare una via differente che
coniughi il presente con la tradizione, il pensiero con la pratica,
riumanizzando il pensiero critico.
È nell’arte come pratica della disubbidienza,
dell’abbandono e al contempo come interrogazione etica che avviene l’offerta
sublime del dono, della storia e dello stesso suo essere spirito che ascolta e
va verso l’altro, soffia sull’altro, modificando la percezione delle cose e
della stessa realtà. Dono che non è mai un donare secondo gli standard televisivi
ma è anche denuncia verso il donatore, offerta di immunizzazione e una
meditazione sull’inaudito. In questo senso è proprio l’arte che rende immune da
ogni controllo, da ogni apparato, da qualsiasi tentativo di conciliarla con
l’esistente.