
La distanza e la parola
sostenibile
Si sta a distanza
quando l’arroganza che alimenta questo mondo è diventata insopportabile. Arroganza
e dimenticanza sono indici della disperazione umana che non sa più riconoscere la
storia, ciò che conta e che quindi fluttua nell’indistinto. E’ meglio starsene
a distanza. La distanza poi non è stare ai margini, anzi è il contrario,
significa essere consapevoli e anche protagonisti. Significa sottrazione e memoria ma anche
prendere parte. Quando niente ha senso,
tutto può avere senso anche le piccole cose, anche starsene lontani, scrivere
quando nessuno ti legge, continuare a pensare che l’opera d’arte possa cambiare
il mondo anche quando non è più così. Starsene a distanza non significa che si
è spettatori neutrali di qualcosa che accade. La dimensione dell’accadere ormai
è precipitata nella dimensione della ripetizione.
Il mondo standardizzato
ha i suoi riti e ciò che accade non è l’accadimento ma solo la ripetizione
dell’eguale. Accadimento è sempre qualcosa che inizia, che fa cambiare o invita
al cambiamento e perciò è sempre incomprensibile. Qui non accade nulla. O
meglio ciò che si ripete è l’immediatezza con la quale tutto ciò che è presente
deve essere pubblicizzato, amalgamato con il resto, sostenuto dal mercato,
dalla spettacolarizzazione, dal consumo.
Ecco perché ormai le parole non
significano più niente. Esse sono state assoggettate alla mera
commercializzazione, al rito mediale della comunicazione di massa della diffusione
e delle vendite a tutto campo, in ogni dove. Ne è un altro esempio non certo rasserenante
la fiera del cibo a Milano: Milano food city, una settimana di
eventi legata al mondo del cibo. Tutto di tutto per questi sciagurati
manager inventori dell'innovativo sistema di match-making che consente
l'incontro tra espositori e compratori.
Non bastavano, la fiera
del mobile, del design, della moda, dell’arte, dell’artigianato, del turismo
ora anche quella del cibo. Ma come il
pianeta è sfinito, agonizza forse non ne può più di noi e noi continuiamo a
ingozzarci senza ritegno, a celebrare il sensualismo del cibo come un cult, un
aspetto della nostra soddisfazione di vivere il piacere, un appagamento del
nostro desiderio ?
Anche il cibo è un
godimento soprattutto se si mangia con ingordigia. La sua importanza nella
sfera umana somiglia a quella del sesso.
Mangiare in maniera sfrenata è la metafora della nostra colpevole presenza
sulla terra, la quale deve essere sublimata, spostata sul piano del piacere.
Solo che il sesso, almeno, non dona solo soddisfazione al gusto, al palato, non
appaga i nostri appetiti alimentari, ma alimenta l’amore, l’eros, il desiderio,
l’attrazione, l’ignoto e l’avventura. Il cibo, al contrario di come si suppone
oggi nei riti festaioli della mondanità, non dona senso alla vita, non espone l’essere
alla sua responsabilità, non è un atto di piacere, di donazione verso l’altro ma
solo una disposizione temporanea di molecole che culmina con la defecazione.
Il cibo nella
digestione avvicina alla morte. Forse si potrebbe dedurne che ciò indica il nostro desiderio di morire davanti all’inarrestabile
vortice distruttivo che l’essere umano ha innescato con lo sfruttamento delle
risorse del pianeta terra. Che alcune specie animali stiano sparendo da questa
terra è la premessa anche della nostra sparizione. Quindi consumiamo felici,
non c’è fretta prima che tocchi a noi ne passerà di tempo.
L’essere umano ha
inventato una nuova strategia per continuare imperterrito a festeggiare e a
divinizzare il denaro, il consumo e il capitalismo finanziario: l’appropriazione
di parole che finiscono per diventare neutre; come con la parola “sostenibile”.
Ora ogni cosa deve essere sostenibile.
Diciamo sostenibile come un tempo usavamo la parola “ecologia” come per dire
che la produzione umana deve esser attenta al pianeta, non inquinante e
rispettosa della natura e della terra. La priorità oggi sembrerebbe andare
verso un’economia sostenibile, un prodotto sensibile, un’arte sostenibile.
Guru dell’arte fanno a
gara per appropriarsene e fanno dell’arte pubblica sociale sostenibile un modo
per resistere al tempo, per essere ancora più presenti nel mercato dell’arte
globalizzato. Che cosa vuol dire questa
sostenibilità ? Usano materiali biodegradabili, riciclati, trasparenti ? No è
il contrario. Essi adoperano tutto ciò che
è utile a diffondere il loro verbo e a far comprare le loro opere, a volte
smodatamente supervalutate e costose. Questi
santoni dell’arte con la parola “sostenibile”, intendono rivelare al mondo la
loro presenza taumaturgica. Essi reclutano fedeli al loro vangelo, ognuno di
loro ne ha uno ad uso e consumo dei partecipanti alla setta.
Questi artisti dai nomi costantemente ripetuti
dagli apparati di spettacolarizzazione dell’arte appagano il loro narcisismo
facendo ancora leva sulle emozioni, anche quando non ne avrebbero bisogno. Si
proclamano particolarmente inclini all’inclusione degli altri, alla salvezza
del pianeta. Fautori di nuovi paradisi, essi in realtà agiscono sulla sfera dei
sentimenti con meccanismi tipici della pubblicità, del camuffamento e a volte
dell’eccesso continuando a inquinare il mondo.
La parola “sostenibile”
tanto abusata finisce per svuotarsi di significato davanti all’inarrestabile
velocità con cui consumiamo e continuiamo a fare quello che facevamo prima anche
se con un po’ più di attenzione. Non ha alcun senso dire che l’alimentazione
deve essere sostenibile, l’arte sostenibile, il mobile sostenibile, il design
sostenibile quando i modelli produttivi di riferimenti sono gli stessi di
prima, quando continuiamo a sprecare, a inondare il pianeta di spazzatura, di
plastica, quando il nostro atteggiamento è votato al proprio egoismo
individuale, ad un tecno-capitalismo finanziario senza controllo, quando l’eccesso
e la menzogna dilagano, dai programmi televisivi a internet.
La parola, invece di
dire l’essenziale e avvicinarci alla verità, nel mondo alla rovescia della
produzione a tutto spiano è usata, replicata, assoggetta alla quantificazione
economica, alla pubblicità in una specie di portale verso il disgusto e la
stupidità. Altro che leggerezza dell’essere qui siamo davanti all’ingordigia,
al gonfiore e alla pesantezza del corpo. Forse è la parola che deve essere
sostenibile e sottratta alla sua falsificazione o forse siamo già dentro
l’inizio della fine della specie umana.
Indice delle
immagini:
1
Francesco Correggia, fermo immagine dal video
Kosmos, 2008
2
Uno stand della fiera del cibo a Milano 2019
3 Fa la cosa giusta: il cibo sostenibile
4 Disastro ambientale
5
Nationmetrix.
Ieva Saudargaitè Douaihi e Roula Salamun, arte sostenibile.
6 Stephane
Clement, questa sobria virtù, 2015
7 Soldato tedesco al fronte prima guerra mondiale
8 Toulouse
Lautrec, prima performance e merda d’artista contro il mondo, 1898
9 Michelangelo
Pistoletto, Venere degli stracci, 1967
10 Gruppo
Gelatin, vorm Fellows - attitude, 2018
11 Piero
Manzoni, merda d’artista, 1961
12 F.
Correggia, La parola, 2008